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Malattie reumatiche: si cercano opzioni per sostituire glucocorticoidi

mal di schiena

Malattie reumatiche: i glucocorticoidi sono ancora molto utilizzati, anche se sempre più si cerca di ridurne i dosaggi e i tempi di utilizzo per limitare i molti potenziali rischi

Nonostante siano farmaci molto datati i glucocorticoidi sono ancora molto utilizzati, anche se sempre più si cerca di ridurne i dosaggi e i tempi di utilizzo per limitare i molti potenziali rischi per la salute, in attesa di nuovi farmaci che possano finalmente sostituirli. La questione è stata oggetto di un lungo dibattito in occasione del congresso 2024 della European Alliance of Associations for Rheumatology (EULAR).

«Pur essendo farmaci così vecchi ne abbiamo ancora molto bisogno e non sono ancora stati sostituiti. A basse dosi, i glucocorticoidi sono altamente efficaci come agenti antinfiammatori e antidistruttivi nell’artrite reumatoide e in molte altre malattie» ha osservato Josef Smolen, reumatologo, immunologo e professore emerito presso la Medical University of Vienna, Austria. «Ma anche dopo tutto questo tempo i meccanismi che portano all’efficacia rispetto alla tossicità devono ancora essere chiariti. Questa distinzione potrebbe fornire ulteriori spunti per le future opzioni di trattamento».

Le opinioni dei clinici divergono su quello che la ricerca afferma sulla tossicità e sul dosaggio e se un’opzione a basso dosaggio a lungo termine sia praticabile. Sono in fase di studio terapie alternative, ma questi sforzi sono ancora nelle prime fasi di sviluppo.

Anche se i glucocorticoidi sono ancora utilizzati cronicamente in molti pazienti, i medici dovrebbero sempre tentare di interromperne l’uso quando possibile, ha detto Frank Buttgereit, professore di reumatologia e vicedirettore del dipartimento di reumatologia e immunologia clinica presso la Charité – Universitätsmedizin Berlin, Berlino, Germania. Fino al 60% dei pazienti nei registri ne fa uso e molti soggetti con artrite reumatoide precoce o conclamata entrano in studi clinici randomizzati sui glucocorticoidi come terapia di mantenimento.

L’ubiquità del loro uso deriva in parte dalla prescrizione eccessiva da parte di medici non reumatologi che potrebbero non avere accesso o non essere a conoscenza di nuovi farmaci biologici o farmaci antireumatici modificanti la malattia (DMARD). «Vediamo molti pazienti che assumono glucocorticoidi a lungo termine, con un uso cronico per molti anni» ha affermato Giovanni Adami, reumatologo presso l’Università di Verona e coautore di diversi studi sull’uso di questi farmaci.

Ridurre al minimo l’uso di glucocorticoidi o interrompere la terapia
I glucocorticoidi sono stati associati a un lungo elenco di eventi avversi, in particolare sindrome di Cushing, ipertensione, malattie cardiovascolari, osteoporosi, miopatia, ulcera peptica, insufficienza surrenalica, infezioni, disturbi dell’umore, disturbi oftalmologici come la cataratta, disturbi della pelle, necrosi settica mestruale e pancreatite. Anche la dose è importante, poiché alcuni studi hanno rilevato come dosi cumulative di 1.000 o 1.100 mg aumentano i rischi.

«Dal momento che un’elevata attività della malattia è associata a un rischio di mortalità altrettanto elevato, dobbiamo bilanciare le necessità di trattamento con i rischi di effetti collaterali, soprattutto nei paesi che hanno meno accesso alle terapie moderne rispetto alle regioni occidentali più ricche» ha sottolineato Smolen.

Le società di reumatologia generalmente concordano sul fatto che i medici dovrebbero cercare di ridurre al minimo l’uso di glucocorticoidi o eventualmente interrompere la terapia. L’American College of Rheumatology raccomanda di non utilizzarli come parte del trattamento di prima linea dell’artrite reumatoide, e comunque per meno di 3 mesi, riducendoli gradualmente fino a sospenderli e utilizzando la dose più bassa possibile» ha fatto presente Adami.

La raccomandazione dell’EULAR consente l’uso di una dose inferiore ma offre ai medici più scelta su come vogliono gestire i glucocorticoidi. Nella gestione del lupus eritematoso sistemico, una task force EULAR ha raccomandato che il tipo e la gravità del coinvolgimento dell’organo dovrebbero determinare la dose, con un obiettivo a lungo termine di mantenerla entro i 5 mg/giorno o eventualmente sospenderla.

Molti medici ritengono che dosi molto basse tra 2 e 4 mg/die siano un’opzione terapeutica realistica per l’artrite reumatoide, e un uso medio giornaliero <5 mg potrebbe essere utilizzato per un periodo più lungo con un rischio relativamente basso, come mostrato in alcuni studi (GLORIA e SEMIRA nell’artrite reumatoide, LoVAS e PEXIVAS nella vasculite associata ad anticorpi citoplasmatici antineutrofili).

«I glucocorticoidi a basso dosaggio sono meno tossici di quelli ad alto dosaggio» ha osservato Joan Merrill, professoressa presso l’Arthritis and Clinical Immunology Research Program dello University of Oklahoma Health Sciences Center, Oklahoma. «Potrebbero causare un minore aumento di peso, meno acne e meno rischi per tutti gli effetti collaterali più lenti e più pericolosi per gli organi. Il lupus può essere tenuto sotto controllo per anni, utilizzando glucocorticoidi costanti a basso dosaggio. L’unica cosa che sappiamo è che funzionano, tuttavia nel corso di molti anni potrebbero comunque verificarsi dei danni».

Riduzione graduale nelle diverse patologie
I reumatologi continuano a valutare le opzioni di riduzione graduale dei glucocorticoidi e le combinazioni di trattamento che ne possono diminuire l’uso cumulativo nel tempo, adottando soluzioni personali in funzione delle condizioni che trattano.

Buttgereit ha suggerito che gli attuali approcci terapeutici per l’artrite reumatoide potrebbero essere troppo limitati quando non considerano la possibilità di includere dosi molto basse di glucocorticoidi. «Perché non dovremmo utilizzare una combinazione che preveda per esempio il metotrexato più un JAK inibitore o un biologico più una dose molto bassa di glucocorticoidi < 5 mg/die?» ha chiesto.

In risposta Adami ha sostenuto che in genere tende a evitare i glucocorticoidi in caso di attività di malattia non grave (in base al DAS28) e se il paziente ha un punteggio del dolore sulla scala analogica visiva < 7. «Tuttavia anche nei pazienti con una malattia più grave eviterei di usarli per più di 3 mesi. Di solito li utilizzo per un mese per poi ridurli rapidamente e interromperli» ha aggiunto. «Tutti i pazienti dovrebbero ricevere un’adeguata strategia di trattamento mirato con DMARD sintetici convenzionali (csDMARD) e farmaci biologici, se necessario».

«Un paziente che si presenta in clinica con un’artrite reumatoide difficile da trattare e che usa cronicamente glucocorticoidi merita un’attenzione speciale. La priorità è la protezione delle ossa con un farmaco anti-osteoporosi» ha osservato. «Ho scoperto che i KAK inibitori in alcuni casi sono di aiuto nell’interruzione degli steroidi, soprattutto nei soggetti con dolore residuo, quindi penserei di cambiare farmaco».

Per la polimialgia reumatica la maggior parte dei medici cercherà probabilmente di ridurre gradualmente i glucocorticoidi intorno alle 52 settimane, in modo simile alle linee guida ACR/EULAR, secondo Robert Spiera, direttore del programma Scleroderma and Vasculitis presso l’Hospital for Special Surgery di New York City.

«Di solito sfido i pazienti con una riduzione graduale più rapida, sperando di farli smettere di assumere glucocorticoidi in 6 o addirittura 4 mesi in alcuni casi, tenendo tuttavia presente che molti avranno una riacutizzazione e potremmo dover aumentare la dose» ha affermato.

Ridurre al minimo l’utilizzo è un obiettivo importante che dovrebbe essere preso in considerazione e perseguito in ogni singolo paziente, ha fatto presente Sebastian Sattui, professore associato di medicina e direttore del Vasculitis Center presso la University of Pittsburgh School of Medicine. «Così come bisognerebbe tenere conto del rischio di tossicità, valutando le comorbilità cardiometaboliche dei pazienti, le malattie metaboliche ossee e il rischio di infezione, tra molti altri. Tuttavia attenersi a un protocollo specifico di riduzione graduale potrebbe non essere realizzabile per ogni singolo soggetto in base alle caratteristiche della malattia, alla risposta e ad altri fattori».

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