Tumore al polmone: terapie a bersaglio molecolare allungano la vita dei pazienti


Tumore del polmone: le terapie a bersaglio molecolare, nuova frontiera della lotta alle neoplasie, regalano anni di vita ai pazienti

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Sbarrare la strada al tumore in tutti i modi. È questa la parola d’ordine trasversale ai tanti studi presentati all’edizione 2024 del congresso dell’American Society Of Medical Oncology (ASCO), che ha appena chiuso i battenti a Chicago. Ma per farlo è necessario conoscere il cancro nei suoi dettagli più fini, quelli scritti tra le pieghe del DNA il tumore, per evidenziare la presenza di quelle mutazioni, quelli errori di battitura del DNA, che fanno sviluppare e crescere i tumori, ma che sono anche il loro tallone d’Achille, aggredibile oggi con tante terapie a target. È il caso delle mutazioni EGFR e di quelle ALK, presenti in una piccola percentuale di pazienti con il tumore del polmone (l’EGFR in meno del 10% dei pazienti, l’ALK nel 4% circa), ma che possono fare la differenza in termini di sopravvivenza e di qualità della vita.

“Oggi abbiamo a disposizione tante nuove possibilità terapeutiche per i pazienti che presentano queste mutazioni – spiega il professor Giampaolo Tortora, Ordinario di Oncologia all’Università Cattolica del Sacro Cuore e direttore del Comprehensive Cancer Center di Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli IRCCS -. È dunque fondamentale ricercare questi bersagli terapeutici nel tessuto tumorale (biopsia o pezzo operatorio), già alla prima diagnosi. La profilazione molecolare dei tumori è qualcosa che qui al Gemelli abbiamo cominciato a fare in maniera sistematica perché è un settore della diagnostica davvero fondamentale in oncologia. E questo perché quei sottogruppi di pazienti che espongono questi bersagli molecolari hanno oggi a disposizione un ventaglio di terapie rilevanti, selettive e in grado di superare i meccanismi di resistenza del tumore”. Molto interessanti a questo riguardo i risultati dello studio di fase III LAURA, presentati nella sessione plenaria (la più importante del congresso) del

l’ASCO 2024, con pubblicazione contemporanea sul New England Journal of Medicine. Osimertinib, un inibitore di EGFR, somministrato dopo radio-chemioterapia nei pazienti con tumore del polmone non a piccole cellule (NSCLC) ha migliorato in maniera estremamente significativa la sopravvivenza senza progressione di malattia (39,1 mesi contro 5,6 mesi del gruppo di controllo). È la prima volta che un inibitore di EGFR mostra un risultato del genere nei pazienti con tumore del polmone in stadio 3, EGFR-mutato, non operabile, dopo radio-chemioterapia. “Avevamo già a disposizione osimertinib – ricorda il professor Tortora – per la terapia di prima linea nel tumore del polmone metastatico e in terapia adiuvante (cioè dopo l’intervento chirurgico). Lo studio LAURA ne ha dimostrato i benefici anche nel tumore del polmone in stadio 3 localmente avanzato non operabile, con implicazioni che possono cambiare l’attuale pratica clinica. In questa edizione dell’ASCO – commenta il professor Tortora – sono stati presentati studi che hanno esteso l’utilizzo di farmaci già utilizzati in terapia, in setting di pazienti diversi, passando dalla malattia metastatica, alla terapia adiuvante (dopo l’intervento chirurgico), fino ad arrivare al setting neo-adiuvante (prima dell’intervento chirurgico)”.

Sempre in sessione plenaria sono stati presentati risultati molto importanti anche nel microcitoma polmonare, una delle forme più aggressive in assoluto. “Anche in questo caso – commenta il professor Tortora –  era stata già dimostrata l’efficacia dell’immunoterapico durvalumab nella malattia metastatica; lo studio ADRIATIC ne dimostra per la prima volta l’efficacia anche nella malattia limitata”. Somministrare durvalumab subito dopo la radio-chemioterapia, riduce il rischio di morte del 25% e porta la sopravvivenza mediana a 4,5 anni (contro i 2,7 anni del gruppo di controllo); la sopravvivenza libera da progressione di malattia è stata di 16,6 mesi con il durvalumab contro i 9,2 mesi del gruppo placebo.

Molto importanti anche i farmaci di terza generazione contro il bersaglio molecolare ALK, come lorlatinib, utilizzato nello studio CROWN. “All’ASCO – ricorda il professor Tortora – è stato presentato l’aggiornamento dei dati di questo studio a 5 anni che dimostrano un aumento del 60% della sopravvivenza libera da progressione di malattia nel tumore del polmone non a piccole cellule (NSCLC) ALK+ in stadio avanzato, con una riduzione dell’81% del rischio di progressione o di morte e una riduzione del 94% della progressione delle metastasi cerebrali, rispetto ai pazienti trattati con crizotinib”. I farmaci a bersaglio molecolare funzionano bene anche in combinazione con altre terapie. È il caso ad esempio dello studio MARIPOSA (studio su adenocarcinomi del polmone EGFR-mutati, localmente avanzati o metastatici), “dove l’anticorpo monoclonale (amivantamab, un anticorpo bispecifico contro i recettori dell’EGFR e del MET) – ricorda il professor Tortora – è stato utilizzato insieme ad un inibitore chinasico (lazertinib), in modo da coprire più bersagli e da interferire anche con mutazioni che normalmente conferirebbero resistenza alle terapie”.

Di amivantamab è stata messa a punto una formulazione per via sottocutanea (quella testata nel MARIPOSA era endovena), sperimentata all’interno dello studio PALOMA-3, presentato all’ASCO 2024, che ha dato risultati di efficacia molto interessanti, con risparmio della cosiddetta time-toxicity perché la somministrazione per via sottocutanea evita ai pazienti i lunghi tempi necessari alla somministrazione endovenosa. La profilazione molecolare dei tumori sta attraversando un momento di grande trasformazione, perché le vecchie tecniche (immunoistochimica) usate ad esempio per la quantificazione dell’espressione del recettore HER2 sulle cellule di tumore della mammella (ma anche dello stomaco, dei colangiocarcinomi e del colon) si stanno dimostrando superate, in quanto molto legate alla soggettività della lettura che ne dà l’anatomopatologo. E c’è anche un problema di eterogeneità tumorale.

“Noi facciamo affidamento sulla singola biopsia – spiega il professor Tortora – ma sappiamo che frammenti di tumore anche molto vicini tra loro, sia nel tumore primitivo e ancor più nelle metastasi, hanno una diversa espressione di alcuni geni e mutazioni”. La speranza di superare questi problemi di diagnosi, fondamentali per instradare un paziente verso le terapie a target (o per escluderlo da questi trattamenti) è riposta nella biopsia liquida.

“Da un prelievo di sangue – spiega il professor Tortora – si può vedere con maggior precisione e completezza tutto quello che sta avvenendo all’interno del tumore; la biopsia del tessuto consente di vedere solo cosa succede in quel punto; quella liquida rappresenta la somma di tutto e dà un quadro d’insieme più preciso. Qui al Gemelli crediamo molto in questo approccio diagnostico che è al centro di un nostro grande programma di sviluppo”.

ASCO 2024 ha dunque evidenziato ancora una volta l’importanza della profilazione molecolare, fatta da professionisti competenti, cioè dagli anatomopatologi. “In un momento di così grande sviluppo di questo campo della diagnostica – riflette il professor Tortora –  è paradossale che l’anatomia patologica sia una delle specialità disertate dai laureati in medicina, forse perché considerato un lavoro che si svolge ‘dietro le quinte’, senza un contatto diretto col paziente, dunque poco riconosciuto dal pubblico e forse anche non adeguatamente remunerato. Ma la fuga dei medici da questa specialità è in controtendenza rispetto ai bisogni crescenti che abbiamo di bravi anatomopatologi sempre più moderni e proiettati nel mondo della medicina molecolare, della medicina di precisione”.

FONTE: POLICLINICO GEMELLI