Tumore maligno alle ovaie: percorsi su misura al Policlinico di Milano


Sono circa 50mila le donne che in Italia sono in cura per un tumore alle ovaie, due piccole ghiandole che fanno parte del sistema riproduttivo femminile

Uno studio del Cnr scopre il processo a cascata alla base dell’invasione metastatica del carcinoma ovarico e della formazione di invadopodi, che coinvolge il recettore dell’endotelina e della b-arrestina1

Quello alle ovaie è un tipo di cancro insidioso, perché negli stadi iniziali non presenta particolari sintomi o ‘campanelli d’allarme’ e anche nelle fasi più avanzate questi non sono specifici. Inoltre, al momento non esistono strumenti di prevenzione o test di screening: spesso quindi la diagnosi avviene quando la malattia è in fase già avanzata e le possibilità di cura sono minori. Anche per questo la diagnosi quanto più precoce e la prevenzione sono fondamentali: ne parla Giovanna Scarfone, responsabile della Ginecologia Oncologica alla Clinica Mangiagalli del Policlinico di Milano.

Quanto è diffuso il tumore all’ovaio?        

Si contano circa 5.200 nuovi casi di malattia all’anno in Italia. Il cancro ovarico è al 10° posto tra le forme tumorali più diffuse, è l’8° tumore più comune nelle donne nel mondo, costituisce il 3% di tutte le diagnosi di tumore maligno.

Ne esiste un solo tipo? 

In realtà i tumori maligni dell’ovaio hanno una natura eterogenea. Il termine “cancro ovarico” non si riferisce a una singola malattia ma ad un diverso gruppo di neoplasie che possono originare dall’ovaio. Distinguiamo tumori epiteliali (90%), tumori dei cordoni sessuali, dello stroma e tumori germinali (10%), ma ci sono varianti più rare come il carcinosarcoma e il carcinoma a piccole cellule. Il carcinoma ovarico, in particolare, è meno frequente ma è la forma più aggressiva tra i tumori epiteliali.

I carcinomi epiteliali dell’ovaio possono essere suddivisi in due grandi categorie, denominate di Tipo 1 (25%) e di Tipo 2 (75%), sulla base di dati clinico-patologici e di genetica molecolare. Il Tipo 1 (ad insorgenza per lo più ovarica) è un carcinoma a lenta crescita, voluminoso, diagnosticato più frequentemente in stadio iniziale, mentre il Tipo 2 (ad insorgenza tubarica) è un carcinoma a rapida crescita, di volume variabile, più frequentemente diagnosticato in stadio avanzato.

 

Chi colpisce il carcinoma ovarico?

L’80-90% dei tumori ovarici insorge in donne di età compresa tra i 20 e i 65 anni; il 15-20% è maligno di questi il 90% è diagnosticato in età superiore ai 40 anni con un picco di incidenza tra i 55 e i 75 anni. L’elevata mortalità è dovuta essenzialmente alla mancanza di una diagnosi precoce. In un numero ristretto di donne ha origine familiare (10-15%), mentre nella stragrande maggioranza dei casi è sporadico (non è, cioè, ereditario). La forma ereditaria si manifesta in donne più giovani di circa dieci anni rispetto al cancro sporadico.

Quali sono i sintomi?

E’ una malattia silente e di difficile diagnosi perché presenta sintomi e segni aspecifici. I sintomi differiscono a seconda che il tumore, al momento della diagnosi, sia confinato all’ovaio o si sia già disseminato provocando metastasi nella pelvi o nell’addome a volte, più raro ai polmoni e/o pleura con versamento (liquido neoplastico tra pleura e polmone). La neoplasia in fase iniziale può provocare dolori o anche nulla e talvolta è visibile (ecografia trans addominale o transvaginale) e palpabile una tumefazione addominale, ma più spesso è asintomatica e la diagnosi è generalmente occasionale. Se la neoplasia è invece in fase avanzata si evidenzia più frequentemente un aumento del volume dell’addome dovuto alla massa tumorale e/o ad una raccolta di liquido chiamata ascite neoplastica. Una buona percentuale di donne si presenta senza evidenza di espansi addominali ma con liquido neoplastico, ovaie per dimensione nella norma e carcinosi: piccoli noduli tumorali diffusi sugli organi addominali e pelvici e più precisamente sul peritoneo (tessuto che riveste tutta la cavità addominale compresi gli organi). La rapida formazione di una ascite in una donna in pieno benessere è un evento che deve far sospettare la presenza di una patologia anche neoplastica quale il tumore maligno dell’ovaio.

Altri sintomi possono essere una sensazione di pesantezza a livello del bacino,dolore addominale (verso il basso), variazioni di peso (dimagrimento), dolore alla schiena inspiegabile che peggiora nel tempo e non risponde ai comuni analgesici, eccesso di gas (meteorismo), nausea, vomito e/o perdita dell’appetito, disturbi dell’alvo (stipsi e/o diarrea) e della minzione.

Esistono fattori che proteggono da questi tumori, o al contrario che ne aumentano il rischio?

L’uso di contraccettivi orali, la gravidanza sono i maggiori fattori protettivi, alcuni studi dimostrano che anche l’allattamento al seno sembra avere un effetto  protettivo. Proprio ad un maggiore utilizzo della pillola anticoncezionale può essere attribuito il lieve calo di incidenza del carcinoma ovarico rilevato negli ultimi decenni.

Invece un elevato indice di massa corporea (BMI), la menopausa tardiva o il menarca precoce, l’impiego di una terapia ormonale sostitutiva (di solo estrogeni) in post-menopausa sono considerati fattori di rischio per l’insorgenza di tumore ovarico maligno.

Esiste però un altro fattore di rischio importante: le mutazioni ereditarie nei geni BRCA1 e BRCA 2.Secondo i dati della Società Europea di Oncologia Medica (ESMO),una percentuale compresa tra il 10 e il 25% circa dei tumori maligni dell’ovaio presenta una mutazione in tali geni. Il rischio di sviluppare un tumore ovarico aumenta del 15-45 % circa nelle donne che hanno ereditato una mutazione in BRCA 1 e del 10-20% circa in quelle che hanno ereditato una mutazione di BRCA 2. E’ importante sempre ricordare che i tumori ovarici ereditari rappresentano però una piccola percentuale dei tumori maligni dell’ovaio.

 

Come avviene la diagnosi precoce? Si può parlare di prevenzione?

Non esistono, al momento, programmi di screening scientificamente affidabili per la diagnosi precoce del tumore ovarico ciononostante alcuni studi hanno dimostrato che una visita ginecologica annuale e l’ecografia transvaginale di controllo possono facilitare una diagnosi precoce.

Non esiste, quindi, una strategia clinica se non nel caso specifico di donne con mutazione ereditata (BRCA 1 e BRCA2) per le quali è importante invece sottoporsi ad una consulenza di follow-up  per discutere le opzioni per ridurre il rischio di sviluppare un tumore ovarico (o della mammella, un tumore anch’esso associato a mutazione in questi geni). Tra le opzioni di prevenzione, in questi casi, vi è l’asportazione chirurgica delle ovaie ma soprattutto delle tube di Falloppio (salpingectomia): questo porta ad evidenti benefici per la paziente e potrebbe essere una delle strategie per evitare l’insorgenza di tumori ovarici di Tipo 2 (ad insorgenza tubarica) che incidono per il 90% dei decessi per carcinoma ovarico.

In donne portatrici di mutazione ereditata nei geni BRCA1 tale indicazione è consigliata dopo i 40 anni di età e soprattutto una volta esaudito il desiderio di una gravidanza, mentre nelle donne con mutazione BRCA2 dopo i 45 anni.

Un’altra possibilità è rappresentata da una prevenzione primaria farmacologica, assumendo la pillola anticoncezionale per 5 o più anni: questa strategia riduce il rischio di carcinoma ovarico di circa il 50%.

 

Come si può trattare il carcinoma ovarico?

Il trattamento standard del carcinoma ovarico è costituito dalla chirurgia e dalla successiva chemioterapia. Il primo obiettivo è una stadiazione citoriduttiva (rimozione dell’apparato genitale e di organi o superfici che rivestono le sedi tipicamente interessate dalla malattia) ottimale della neoplasia, che si attua attraverso una sistematica esplorazione degli organi addominali, asportazione di utero, ovaie e tube, biopsia di tutte le lesioni sospette, asportazione dell’omento (un tessuto che fa da ‘grembiule’ agli organi addominali) e, in alcuni casi selezionati, la rimozione dei linfonodi. Lo standard chirurgico attualmente tende a portare il residuo di malattia quanto più vicino allo zero o meglio residuo di malattia assente.

La chemioterapia standard (il tumore dell’ovaio è molto chemiosensibile), consiste nella somministrazione endovenosa di carboplatino e taxolo, a cui si possono aggiungere farmaci specifici o così detti “target” che secondo il profilo biologico della malattia rendono quanto più efficace il trattamento medico in termini di risposta ma soprattutto di sopravvivenza.

Nonostante ci sia un’ottima risposta a questi trattamenti di prima linea, circa il 60% delle pazienti allo stadio III/IV andranno incontro a una recidiva di tumore, generalmente in un tempo variabile tra i 6 mesi e i 3 anni.

Il 70% circa dei casi si presenta allo stadio III e IV alla diagnosi e questo spiega la bassa percentuale di sopravvivenza per le pazienti con questo tumore se confrontate con le altre neoplasie dell’apparato genitale femminile. Nonostante gli sforzi chirurgici e di terapia medica, la sopravvivenza a 5 anni varia dall’80-90% del I stadio, al 35-20% del III/IV stadio.

Anche per questo la diagnosi il più possibile tempestiva può incidere positivamente sulle probabilità di sopravvivenza. In particolare la presenza di mutazioni dei geni BRCA1/BRCA2 meglio caratterizza il profilo biologico della malattia per alcune donne che possono giovare di trattamenti medici dedicati come per esempio i Parp-inibitori.

 

Quali sono i campanelli d’allarme?

Se il tumore è a uno stadio iniziale, può provocare dolori e talvolta è visibile (ecografia trans addominale e/o trans vaginale) e palpabile una tumefazione addominale. Più spesso è asintomatico e la diagnosi è generalmente occasionale;

Se è già in fase avanzata, può causare un aumento del volume dell’addome dovuto alla massa tumorale e/o da una raccolta di liquido chiamata ascite neoplastica (spesso pur essendo uno stadio avanzato non vi sono masse ma solo carcinosi,piccoli noduli disseminati nella cavità addominale).

Altri sintomi possono essere un decadimento organico generale rapido, dolori addominali o pelvici, disturbi dell’alvo e della minzione.

 

Esistono fattori protettivi, o che ne aumentano il rischio?

Sono fattori protettivi l’uso di contraccettivi orali, le gravidanze e l’allattamento al seno, la rimozione chirurgica di tube e ovaie in casi selezionati.

Aumentano invece il rischio un elevato indice di massa corporea (BMI), la menopausa tardiva e l’impiego di una terapia ormonale sostitutiva in post-menopausa con solo l’uso di estrogeni, le forme ereditarie.

Si può fare prevenzione?

Non vi sono ad oggi linee guida, ma è possibile dare alcune indicazioni:

– farmacologico, attraverso la pillola anticoncezionale: se assunta per 5 o più anni, riduce il rischio di carcinoma ovarico di circa il 50%

– chirurgico, in casi selezionati, con la rimozione delle tube senza asportare l’ovaio: questo evita l’insorgenza di tumori ovarici per lo più di Tipo 2(con insorgenza tubarica), che incidono per il 90% dei decessi per carcinoma ovarico.

Ricorda: la diagnosi il più possibile tempestiva in centri selezionati può incidere positivamente sulle probabilità di sopravvivenza!

FONTE: POLICLINICO MILANO