Gilles Yahfa dà voce ad un’intera comunità in cerca di accettazione e rispetto con “LETTERA DI UN AFROITALIANO”, un inno alla valorizzazione della diversità culturale
«Cresciuto lontano da casa, disperso tra gente non mia. Voglio l’amore non cerco il rispetto. Ho una storia però la rinnego». Con queste parole inizia “Lettera di un Afroitaliano“, il nuovo singolo di Gilles Yahfa. Un’opera che mette a nudo l’anima dell’artista, raccontando l’esperienza degli afrodiscendenti in Italia. Attraverso liriche crude e incisive posate su un beat cupo dal forte impatto emotivo, Yahfa ci invita a riflettere sulla ricerca di identità, sull’amore per se stessi e sulla necessità di riscoprire le proprie radici.
“Lettera di un Afroitaliano” è un grido di denuncia e risveglio di coscienza, in cui il suo autore comunica con fermezza la condizione della comunità afrodiscendente in Italia. Il rapper bergamasco, noto ai più per aver partecipato alla dodicesima edizione di X Factor Italia, cerca di sensibilizzare e scuotere anime e menti, incoraggiando gli ascoltatori, specialmente gli afroitaliani, a sapersi amare, rispettare e valorizzare, senza sentire il bisogno di venire considerati italiani al pari degli italiani stessi, poiché questa accettazione non arriverà mai in modo autentico e pieno. Yahfa sottolinea la necessità di cercare il rispetto degli italiani, ma senza rinunciare alla propria cultura. Come gli italiani sono fieri della loro identità, anche gli africani dovrebbero esserlo della propria, senza cercare di essere altro, altro da se stessi.
Un invito autentico e toccante a riconnettersi con le proprie radici: nel pezzo emerge chiaramente l’immagine di africani nati in Italia, totalmente disconnessi dalla loro storia, che si sforzano costantemente di essere identificati come italiani. «Pretendo l’amore di chi mi odia senza manco amare me stesso» è uno dei passaggi più toccanti del testo, che evidenzia quanto gli afrodiscendenti non siano solidali tra di loro, ma pretendano la solidarietà dell’Italia.
Una critica diretta e senza mezzi termini, in cui viene messa in luce l’ipocrisia di chi è pronto a solidarizzare con cause lontane, trascurando il dramma della propria terra. «Se riguarda gli altri sono solidale, non parlo del Congo ma della Palestina»: qui, Yahfa, accusa con coraggio e senza filtri la sua stessa gente per il mancato sostegno alla Repubblica Democratica del Congo, che subisce un genocidio con più di 6 milioni di morti e milioni di sfollati. Gli afroitaliani, secondo l’artista, sono impegnati unicamente a parlare del genocidio in Palestina, senza domandarsi: quanti arabi hanno mai parlato del Congo? La verità è che non esistono guerre di serie A e di serie B. È impensabile pensare di essere solidali verso gli altri quando il proprio popolo, come in Congo, Sudan, e nella schiavitù dei neri ancora attuale in Libia, Mauritania e Tunisia, continua a soffrire ogni giorno senza trovare voce ed eco nelle parole e nel cuore della propria gente.
Altro punto importante sollevato nella traccia riguarda gli africani che si vergognano della loro pelle, comprando prodotti per schiarirsi, ignorando che tali preparati sono cancerogeni. «Le mie sorelle scambiate per prostitute, senza parrucche non sanno uscire» recita uno dei versi più suggestivi del brano, parlando delle donne africane che fanno di tutto per nascondere i loro veri capelli, indossando unicamente parrucche per sentirsi accettate. La mancanza di accettazione, secondo Yahfa, è il motivo principale che spinge gli africani ad odiare se stessi e fare di tutto per somigliare ai bianchi. Questo è un trauma della schiavitù, ma Gilles ci invita a riflettere:
«Come può il bianco rispettarti se tu per primo ti vergogni di ciò che sei? Bisogna essere .
L’importanza della diversità è il fulcro del pezzo: la diversità esiste ed è una ricchezza.
«Diciamo sempre che il mondo è bello perché vario – prosegue l’artista –. Gli Afroitaliani non saranno mai italiani. Ogni popolo ha la sua storia e le sue caratteristiche, le sue tradizioni, usi e costumi. Ma l’africano in Italia non conosce nulla di tutto ciò perché troppo impegnato a farsi accettare dagli altri e voler essere ciò che non sarà
“Lettera di un Afroitaliano” è anche un toccante omaggio alle vittime di razzismo. Gilles Yahfa, nelle sue barre, ricorda africani caduti a causa dell’ignoranza e della discriminazione come Mohamed Sow, Alika Ogochukwu, Abdul William Guiebre “Abba”, uomini e donne che hanno perso la vita per mano della stessa gente a cui molti africani vogliono per forza somigliare in tutto e per tutto. Insensibili alle guerre del proprio continente, secondo Yahfa gli Afroitaliani non ne parlano mai. E tutto questo, per essere più italiani possibili, per un pezzo di carta: la cittadinanza italiana.
La copertina del singolo è un’opera d’arte a sé stante. Il rapper è ritratto con uno sguardo intenso, marcato da simboli che richiamano l’antica tradizione africana. Il volto dipinto, i dettagli dei gioielli e del vestito, tutto parla di una cultura ricca e profonda, che l’artista vuole portare alla luce. Seduto con dignità e orgoglio, Yahfa rappresenta un richiamo visivo alla necessità di riscoprire e abbracciare le proprie radici.
«L’idea di “Lettera di un Afroitaliano” – afferma, in conclusione – è nata dall’osservazione delle difficoltà quotidiane che molti di noi afrodiscendenti affrontano. Volevo creare qualcosa che parlasse direttamente alla nostra comunità, per risvegliare la consapevolezza e l’orgoglio delle nostre radici. Dobbiamo imparare ad amarci e rispettarci per primi, solo così potremo ottenere il rispetto che meritiamo dagli altri.»
Con “Lettera di un Afroitaliano”, Gilles Yahfa non solo racconta la sua esperienza, ma dà voce a un’intera comunità che lotta per trovare il proprio posto in un mondo che spesso la etichetta come estranea. Una canzone che invita alla riflessione, alla consapevolezza e all’azione, per costruire un futuro in cui ogni identità culturale sia rispettata e valorizzata.