Lupus: terapia sequenziale belimumab-rituximab meno efficace del previsto


Lupus: l’aggiunta di un ciclo di trattamento con rituximab a belimumab non ha migliorato in modo statisticamente significativo la maggior parte degli outcome

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L’aggiunta di un ciclo di trattamento con rituximab al trattamento settimanale con belimumab  non ha migliorato in modo statisticamente significativo la maggior parte degli outcome delle persone affette da lupus eritematoso sistemico (LES). Ciò nonostante, i livelli di alcuni biomarcatori di attività di malattia sono migliorati in modo significativo con l’aggiunta di rituximab.

Queste le conclusioni di BLISS BELIEVE, uno studio di fase III recentemente pubblicato su ARD, che suggerisce che il protocollo di trattamento specifico utilizzato potrebbe non essere ottimale e non chiude ancora del tutto alla possibilità di poter ottenere chiari benefici clinici con la combinazione rituximab-belimumab.

Razionale e obiettivo dello studio
Come è noto, il ricorso alla terapia tradizionale (ST) nel lupus, che si basa sull’impiego di corticosteroidi, antimalarici e immunosoppressori, non impedisce, purtroppo, che una percentuale significativa di pazienti affetti da lupus eritematoso sistemico (LES) non raggiunga il controllo a lungo termine della malattia.

Dato che l’esposizione prolungata ai glucocorticoidi aumenta il rischio di accumulo di danni d’organo, le linee guida per la gestione del LES raccomandano di ridurre i corticosteroidi a ≤5 mg/die o di sospenderli del tutto, quando possibile. Inoltre, anche la comunità medica degli esperti di LES ha recentemente abbracciato l’approccio terapeutico basato sul “treat-to-target”, secondo il quale, oltre al raggiungimento di una bassa attività di malattia, gli obiettivi del trattamento dovrebbero prevedere anche la remissione in corso di terapia e, cosa ancora più ambiziosa, la remissione al di fuori della terapia.

Nonostante questi obiettivi ambiziosi, il raggiungimento del controllo della malattia senza corticosteroidi rimane un obiettivo terapeutico non raggiunto, ma nessuno studio randomizzato ha mai utilizzato questi endpoint. Questi obiettivi potrebbero essere raggiunti con terapie “disease modifying”, che mirano alla patogenesi sottostante del LES.

Le cellule B svolgono un ruolo chiave nella patogenesi del LES. Lo stimolatore dei linfociti B (BLyS) promuove l’attivazione e la differenziazione delle cellule B, e livelli sierici elevati di BLyS sono associati ad una maggiore attività di malattia, a recidive e ad un incremento del numero di plasmacellule secernenti autoanticorpi.

Si ritiene che i linfociti B mal funzionanti siano alla base del LES; pertanto, la ricerca sulla possibilità di ottenere una remissione duratura si è concentrata sul contenimento di questa attività anomala dei linfociti B.

Belimumab rappresenta uno di questi approcci terapeutici – ha come bersaglio un fattore di attivazione noto come stimolatore dei linfociti B o BLyS – tuttavia, negli studi clinici, solo circa la metà dei pazienti ha ottenuto le cosiddette risposte SRI-4. La maggior parte dei pazienti che non rispondono così bene deve poi rimanere sotto corticosteroidi a lungo termine, con una serie di effetti negativi.

Un’ipotesi avanzata nell’ambiente scientifico è stata quella di raddoppiare la soppressione dell’attività dei linfociti B. Il modo più ovvio per farlo è quello di eliminare le cellule B. Il modo più ovvio per farlo comporta l’impiego del rituximab, un agente che depleta le cellule B. Diversi studi di fase II presenti in letteratura hanno documentato che la combinazione belimumab-rituximab è in grado di migliorare le misure cliniche e di laboratorio di attività del lupus.

Per avere ulteriori conferme della bontà di questa ipotesi, in questo nuovo studio i ricercatori si sono proposti l’obiettivo di valutare l’efficacia, la sicurezza e la tollerabilità di belimumab con o senza un singolo ciclo di rituximab, interrompendo gli immunosoppressori concomitanti e riducendo il dosaggio dei corticosteroidi in pazienti adulti con LES, utilizzando endpoint di controllo della malattia nuovi e rigorosi.

Disegno dello studio e risultati principali
BLISS-BELIEVE, questo il nome del nuovo studio di fase III, ha arruolato 263 pazienti con LES attivo candidati alla terapia standard con belimumab sottocute a 200 mg/settimana. Metà del campione è stata randomizzata a trattamento aggiuntivo con rituximab 1g (BEL/RTX), a 1.000 mg, somministrato alle settimane 4 e 6, insieme alla sospensione, mediante riduzione graduale del dosaggio, degli immunosoppressori convenzionali nell’arco di 4 settimane, nonché alla riduzione del dosaggio di somministrazione di steroidi fino ad un massimo di 5 mg/die di equivalenti di prednisone alla settimana 26.
L’altra metà del campione è stata divisa in due gruppi di controllo: uno trattato in modo simile, ma con infusioni di placebo al posto del rituximab (BEL/PBO), mentre l’altro non ha ricevuto infusioni concomitanti ed è rimasto in terapia convenzionale standard in aggiunta a belimumab (BEL/ST).

Il trattamento con belimumab è stato interrotto alla settimana 52 nei gruppi BEL/RTX e BEL/PBO, mentre è proseguito fino alla settimana 104 per quelli BEL/ST.
Le principali misure di outcome erano basate sullo SLE Disease Activity Index 2000 edition (SLEDAI-2K). L’endpoint primario era rappresentato dalla percentuale di pazienti che raggiungevano il controllo della malattia, definito come una riduzione di almeno 2 punti del punteggio SLEDAI-2K senza immunosoppressori convenzionali e dosi di steroidi non superiori a 5 mg/die in equivalenti di prednisone, a 52 settimane.

Inoltre, sono stati monitorati anche due importanti endpoint secondari: il controllo della malattia a 104 settimane e la remissione clinica (punteggio SLEDAI-2K pari a zero senza steroidi o immunosoppressori) a 64 settimane.
Passando ai risultati, I ricercatori hanno osservato il soddisfacimento dell’endpoint primario nel 19,4% dei pazienti del braccio BEL/RTX, nel 16,7%  di quelli del braccio BEL/PBO e nel 25,5% dei pazienti del braccio di trattamento BEL/ST.

Un trend simile è stato osservato per i due principali outcome secondari. Nello specifico, il tasso di remissione del gruppo BEL/RTX è stato del 6,3%, leggermente superiore a quello del braccio BEL/PBO ma inferiore al 10,6% registrato con BEL/ST.

Allo stesso modo, il controllo della malattia a 104 settimane è stato raggiunto dall’11,1% di BEL/RTX, dal 6,9% di BEL/PBO e dal 21,3% di BEL/ST. Nessuna delle differenze tra BEL/RTX e BEL/PBO ha raggiunto la significatività statistica.

I ricercatori hanno voluto sottolineare un dato clinico da loro osservato: la durata del controllo della malattia fino alla settimana 52 tra i pazienti che l’hanno raggiunto, ha favorito BEL/RTX. In questi pazienti, la media è stata di 105 giorni, contro i 60 giorni dei pazienti BEL/PBO (P=0,019). I pazienti BEL/ST con controllo della malattia sono riusciti a mantenerlo per una media di 87 giorni (P non calcolato).

Sulla scorta di questo risultato, i ricercatori hanno ipotizzato che, probabilmente, la procedura di tapering in 4 settimane degli immunosoppressori standard era stata troppo aggressiva. “I pazienti di questo studio si caratterizzavano per una durata mediana di malattia di 7 anni e una dose media giornaliera di corticosteroidi al basale di 10 mg/die (…). Ciò, forse, li rende più adatti ad un regime di tapering meno severo”.

Passando ai risultati sui biomarcatori di attività di malattia, i dati ottenuti sono stati più incoraggianti. Fino a quando i pazienti sono rimasti in terapia con belimumab, i titoli degli anticorpi anti-dsDNA sono diminuiti, e in modo significativamente più rapido con l’aggiunta di rituximab. Tra i pazienti del gruppo BEL/RTX che presentavano tali anticorpi al basale, il 24,3% è risultato negativo alla settimana 52; la cifra corrispondente per il gruppo BEL/PBO era del 5,7% (P=0,019).

Non solo: anche la conta delle cellule B è diminuita maggiormente con l’aggiunta di rituximab. Una volta interrotto il trattamento con belimumab alla settimana 52, tuttavia, i titoli anti-dsDNA e altri biomarcatori sono gradualmente peggiorati, anche se alcuni (come le cellule B “memoria” CD20+/CD27+) sono rimasti al di sotto dei livelli basali.

Da ultimo, per quanto riguarda la safety, i risultati sono risultati in linea con le aspettative, con numeri e tipologie di eventi avversi simili, indipendentemente dall’assunzione di rituximab.

Limiti e implicazioni dello studio
Nel commentare i risultati dello studio, i ricercatori hanno ammesso tra i suoi limiti il fatto che i protocolli di trattamento non erano stati progettati per riflettere la pratica standard (in cui belimumab rappresenta un trattamento “add on” agli immunosoppressori convenzionali), ma piuttosto per verificare se fosse possibile una remissione senza trattamento. Inoltre, gli endpoint basati sui tassi di risposta non erano in grado di intercettare i miglioramenti dei sintomi che non rientravano nel controllo della malattia o nella remissione come definita dal protocollo dello studio.

Ciò premesso, lo studio BLISS BELIEVE  ha dimostrato, a fronte del mancato soddisfacimento degli endpoint primari e secondari principali, che la durata media del più lungo controllo della malattia è stata nominalmente significativamente maggiore nei pazienti trattati con la terapia sequenziale di belimumab e rituximab rispetto a belimumab e placebo.

Sono state osservate, inoltre, riduzioni significative dei livelli di anticorpi anti-dsDNA, delle cellule B CD19+ e delle sottopopolazioni di cellule B con la terapia sequenziale con belimumab e rituximab rispetto a belimumab e placebo.

“Lo studio – puntualizzano i ricercatori nelle conclusioni del lavoro – ha incorporato un endpoint di efficacia unico e rigoroso che richiedeva la remissione della malattia senza immunosoppressione nei pazienti con LES attivo, un concetto coerente con i criteri treat-to-target”.

“Sebbene – aggiungono – il trattamento BEL/RTX non sia stato superiore a BEL/PBO e l’aggiunta di rituximab alla terapia dei pazienti non abbia migliorato il controllo della malattia utilizzando le misure di outcome rigorose impiegate, si sono registrate riduzioni significative delle cellule B circolanti e miglioramenti nei biomarcatori sierologici. Ciò richiede ulteriori indagini per determinare se la combinazione con rituximab fornisca ai pazienti un migliore controllo della malattia. Lo studio, infine, fornisce informazioni preziose ai medici per supportare le loro decisioni terapeutiche e sarà utile per progettare meglio gli studi futuri sulla terapia di combinazione, forse con un tapering meno rapido degli immunosoppressori”.

Bibliografia
Aranow C, et al “Efficacy and safety of sequential therapy with subcutaneous belimumab and one cycle of rituximab in patients with systemic lupus erythematosus: the phase 3, randomised, placebo-controlled BLISS-BELIEVE study” Ann Rheum Dis 2024; DOI: 10.1136/ard-2024-225686.
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