Al Castello dell’Abate di Castellabate fino a gennaio “La commedia dell’arte”


Una serie di mostre negli spazi espositivi del Castello dell’Abate con il titolo comune La commedia dell’arte, ricavato dal nome della serie a cui appartiene il prezioso arazzo esposto nell’occasione

La commedia dell’arte

Castellabate è uno dei borghi più belli d’Italia, famoso per essere stato il set cinematografico del famoso film Benvenuti al Sud è da sempre la sede delle attività culturali della Fondazione Pio Alferano e Virginia Ippolito.

Anche quest’anno la Fondazione, che promuove il Premio Pio Alferano dedicato a grandi nomi dell’arte e della cultura italiana, organizza una serie di mostre negli spazi espositivi del Castello dell’Abate con il titolo comune La commedia dell’arte, ricavato dal nome della serie a cui appartiene il prezioso arazzo esposto nell’occasione.

Con questo titolo s’intende esprimere la convinzione che i differenti modi di concepire l’arte e di metterla in pratica abbiano comunque l’obbligo di riconoscersi in un’aderenza alla vita in tutti i suoi aspetti, dai più frivoli ai più seri, dai più distensivi ai più inquietanti, stabilendo con essa una piena continuità in cui riflessioni, motivazioni e propositi condividano degli stessi obiettivi di massima.

 

Le mostre, allestite dagli specialisti di Contemplazioni, si avvalgono di opere di indiscutibile qualità di artisti contemporanei, Agostino ArrivabeneEnrico Robusti e Antonella Cappuccio, curate rispettivamente da Sara Pallavicini, Rebecca Delmenico e Fabio Canessa, e di una scelta di opere della collezione Parenza Angeli, a cura di Massimo Pirondini, con il prezioso contributo di Francesco Petrucci, Conservatore del Palazzo Chigi di Ariccia.

AGOSTINO ARRIVABENE

a cura di Sara Pallavicini

Abilissimo nel far rivivere, con capacità quasi medianiche, il gusto più spettrale del primo Romanticismo all’interno del quale riserva un ossequio tutto speciale al visionarismo misticheggiante di William Blake, Arrivabene attraversa le mitografie del demoniaco – fra di esse anche un doppio caprone tridimensionale a corpo unico, per la gente di Castellabate probabile evocazione di leggende legate a San Costabile – lungo un crinale continuo fra passato e presente sulle ali di un fascino antico, quello dell’orrido, che non smette di suggestionarlo. Una pittura sulfurea e ansiogena, la sua, condizionata da un pessimismo cosmico che però concede spazio anche alla redenzione, quando nell’elevazione dello spirito l’uomo riesce a scorgere la ragione del proprio riscatto esistenziale.

ENRICO ROBUSTI

a cura di Rebecca Delmenico

E’ la spiazzante constatazione della precarietà, l’impossibilità di riconoscere un centro di gravità morale che sia valido per l’intero genere umano, il filo rosso che accomuna le nove opere di grandi dimensioni che Enrico Robusti, fautore eccellente di una figurazione ridondante e caustica in cui l’eredità del Barocco trova un’originale congiunzione con l’Espressionismo tedesco, presenta a Castellabate per proporre attraverso di esse “una sosta di meditazione sulla nostra situazione esistenziale”,  come afferma lo stesso autore, “ora suscitando qualche sorriso, ora cupi scoramenti”. Contraddistinti dal ricorso ad anatomie stravolte ed agitate da impulsi spesso perversi, punti di vista anomali, senso dell’horror vacui che tutto risucchia implacabilmente, i dipinti di Robusti espongono una condizione moderna troppo disperata e disperante per non ispirare in chi guarda esorcistico sarcasmo, instaurando un efficace dialogo anche con i motivi creati dall’artista Edi Rama, attuale primo ministro albanese, nell’adattamento della sala operato in occasione del Premio Alferano 2018.

La commedia dell’arte

ANTONELLA CAPPUCCIO

a cura di Fabio Canessa

“Dare corpo ai sogni… accarezzarli, sentirne il profumo, dialogare con infantile e ironica leggerezza con i protagonisti, giocare con l’immaginario simbolico del contenuto di famosissime opere d’arte di grandi artisti”: è quanto si propone Antonella Cappuccio, un passato da costumista e scenografa per cinema, teatro e televisione, madre di Gabriele e Silvio Muccino, con i suoi “teatrini” e specchi ondulati, creazioni a base di materie non canoniche che rivoltano come guanti gli universi espressivi di celebri capolavori dell’arte, della letteratura e del cinema quali, fra gli altri, l’Annunciazione di Botticelli, la Madonna del Parto di Piero della Francesca, Il Circo di Seurat, il Candido di Voltaire, Il barone rampante di Calvino, L’opera da tre soldi di Brecht, Blow-up di Antonioni, La strada e il Casanova di Fellini, per scorgere nello sgretolamento dei loro costrutti logici ed estetici nuovi motivi di interesse sui quali un’anima bambina come quella dei più sensibili fra noi riesce a imbastire occasioni ripetute di piacere.

OPERE DALLA COLLEZIONE PARENZA ANGELI

a cura di Massimo Pirondini

con testo di Francesco Petrucci

Non c’è collezione d’arte antica degna di questo nome, le museali comprese, che ad opere di autore accertato non ne alterni altre per le quali rimangono aperte le questioni critiche, risolvibili solo attraverso la visione diretta e il confronto ravvicinato con altre simili. Non fa eccezione alla regola anche la collezione del romano Roberto Parenza Angeli, degno erede di una passione già sviluppata dai genitori Gian Franco e Anna Maria, la cui raccolta viene presentata per la prima volta al pubblico attraverso una selezione di oltre venti opere che fra certe e attribuite annovera nomi di straordinaria levatura come quelli, fra gli altri, di Andrea del Sarto, Antonello Gagini, Annibale Carracci, Guido Reni, Guercino, Jusepe de Ribera, Carlo Saraceni, Carlo Maratta, Vincenzo Camuccini, Ippolito Caffi, Gustave Courbet. Tutte opere di indubbio interesse, mai viste prima non solo in Cilento, assolutamente capaci di raccogliere l’attenzione che meritano non solo presso gli specialisti del campo.