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Dolore cronico: cerotti transdermici di buprenorfina efficaci e sicuri

dolore cronico

L’uso a lungo termine dei cerotti transdermici di buprenorfina è un’opzione efficace e sicura, senza sviluppo significativo di tolleranza, per la gestione del dolore cronico

L’uso a lungo termine dei cerotti transdermici di buprenorfina è un’opzione efficace e sicura, senza sviluppo significativo di tolleranza, per la gestione del dolore cronico. È quanto evidenziano i risultati di uno studio tutto italiano che vede come primo nome il dott. Alfonso Papa e che è stato pubblicato su Frontiers in Pharmacology. Questi risultati sostengono l’uso continuo e ampliato della buprenorfina in ambito clinico, sottolineando il suo ruolo nella riduzione del carico del dolore cronico e degli effetti collaterali legati agli oppioidi.

Impatto del dolore cronico
Il dolore cronico ha un impatto significativo sulla qualità della vita e pone sostanziali sfide per la salute pubblica.
Il dolore cronico rappresenta una sfida significativa nella gestione clinica, compromettendo spesso la qualità della vita dei pazienti. Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), circa il 20% della popolazione mondiale è affetta da dolore cronico, che influisce negativamente sulle attività quotidiane, sulle relazioni interpersonali e sul benessere emotivo. Negli Stati Uniti, il costo economico del dolore cronico, tra spese mediche e perdite di produttività, varia tra i 560 e i 635 miliardi di dollari all’anno. Inoltre, il dolore cronico è associato a diverse comorbidità come depressione, ansia, disabilità fisica, ipocognizione e disturbi del sonno.

Gli oppioidi, nonostante i loro numerosi effetti collaterali gravi e i rischi di tolleranza e dipendenza, continuano a essere centrali nella gestione farmacologica del dolore cronico moderato e grave. Tuttavia, l’uso prolungato di oppioidi può portare a effetti avversi come ipogonadismo, immunosoppressione, depressione respiratoria e morte, oltre a problemi gastrointestinali, come la stipsi indotta da oppioidi, che spesso costringe i pazienti a interrompere la terapia. La tolleranza agli oppioidi richiede dosi crescenti per ottenere lo stesso effetto terapeutico, aumentando così il rischio di dipendenza e di iperalgesia indotta dagli oppioidi, ovvero una maggiore sensibilità al dolore.

La buprenorfina, valida opzione per gestire il dolore
L’epidemia di oppioidi ha spinto a cercare alternative più sicure. Tra queste, la buprenorfina emerge come una valida opzione per la gestione del dolore, oltre che per il trattamento del disturbo da uso di oppioidi. La buprenorfina, un analgesico oppioide, analogo sintetico della tebaina con proprietà uniche, si lega ai recettori oppioidi in modo selettivo, offrendo efficacia analgesica con minori effetti collaterali come depressione respiratoria e costipazione. La sua somministrazione transdermica, particolarmente adatta a pazienti anziani o con insufficienza renale ed epatica, garantisce un rilascio costante del farmaco, migliorando l’aderenza del paziente e riducendo il rischio di interazioni farmacologiche.

Nonostante i vantaggi della buprenorfina, servono dati per comprendere appieno i suoi meccanismi d’azione e ottimizzarne l’uso clinico, specialmente nel lungo termine.
Obiettivo di questo studio retrospettivo mirava a valutare l’efficacia e la sicurezza a lungo termine dei cerotti transdermici di buprenorfina nei pazienti con dolore cronico moderato e grave, con un focus sulla sostenibilità del sollievo dal dolore e sullo sviluppo della tolleranza.
Questo studio osservazionale retrospettivo ha coinvolto pazienti a cui erano stati prescritti cerotti transdermici di buprenorfina. Gli autori hanno valutato i cambiamenti nell’intensità del dolore utilizzando la scala di valutazione numerica (NRS), valutato la tolleranza agli oppioidi in base alle linee guida della FDA per dosi equivalenti di morfina e misurato i risultati riferiti dai pazienti tramite il Patients’ Global Impression of Change (PGIC).
Sono stati inoltre registrati tutti gli eventi avversi.

Lo studio ha analizzato una coorte di 246 pazienti, composta da 74 uomini e 172 donne. L’età media era di 70,13 anni (SD=8,45) per i pazienti con dolore moderato e 69,45 anni (SD=9,72) per quelli con dolore grave, con un’età compresa tra i 55 e gli 85 anni. Per evitare variabili confondenti, sono stati inclusi solo pazienti con diagnosi di artrite e dolore correlato all’artrite.
Oltre alla buprenorfina, molti pazienti hanno ricevuto trattamenti concomitanti per affrontare il dolore cronico e le condizioni correlate. Dei 248 pazienti arruolati, 118 con dolore grave e 34 con dolore moderato sono stati trattati con terapie aggiuntive, tra cui anticonvulsivanti, agenti topici per il sollievo del dolore localizzato, antidepressivi, sedativi e FANS/corticosteroidi.

Il regime di trattamento consisteva nella somministrazione di cerotti transdermici di buprenorfina in base alle esigenze individuali dei pazienti, determinate dai professionisti sanitari dell’Azienda Ospedaliera Specialistica dei Colli – Ospedale Monaldi, Napoli, Italia. Il dosaggio specifico e la frequenza di somministrazione della buprenorfina erano personalizzati in base alla gravità del dolore e alla risposta complessiva del paziente al trattamento, seguendo le pratiche cliniche standard per la gestione del dolore.
Nel periodo di 36 mesi, si è verificata una significativa riduzione nei punteggi NRS per i pazienti con dolore moderato e grave, dimostrando l’effetto analgesico sostenuto della buprenorfina.

La misurazione della tolleranza ha indicato che nessun paziente ha richiesto aumenti delle dosi equivalenti di morfina che avrebbero raggiunto o superato la soglia della FDA per la tolleranza agli oppioidi (60 mg/giorno di morfina o equivalente).
Inoltre, la soddisfazione del paziente è stata elevata, con il PGIC che rifletteva significativi miglioramenti nella gestione del dolore e nel benessere generale. Gli effetti collaterali sono stati minimi, con reazioni cutanee e nausea come eventi avversi più comunemente segnalati ma gestibili.

Dolore moderato, efficacia della buprenorfina
I pazienti con dolore moderato sono stati definiti quelli con un punteggio NRS (Numerical Rating Scale) compreso tra 5 e 6. I dati mostrano che inizialmente i pazienti hanno avuto una significativa riduzione del dolore, passando da un punteggio medio di 5,76 all’inizio a 3,932 dopo 6 mesi, con una differenza media di 1,828 (95%CI: 1,521–2,135). Questa riduzione è risultata statisticamente significativa (p<0,00001), dimostrando l’impatto immediato del trattamento.
Dal sesto al dodicesimo mese, i punteggi del dolore sono ulteriormente diminuiti, da 3,932 a 3,197, con una differenza media di 0,7348 (95%CI: 0,4771–0,9926), anch’essa significativa (p<0,00001). Tra i 12 e i 24 mesi, i punteggi del dolore sono rimasti stabili, con un leggero aumento non significativo (p=0,8746). Tra i 24 e i 36 mesi, non sono state osservate variazioni significative nei livelli di dolore (p=0,1682).

Confrontando il punteggio NRS dall’inizio fino a 36 mesi, si osserva una riduzione sostanziale e significativa dei livelli di dolore nel corso del periodo di 36 mesi (p<0,00001). L’analisi statistica conferma che la diminuzione dei punteggi del dolore è rilevante sia dal punto di vista statistico che clinico, indicando i potenziali benefici di strategie di gestione del dolore prolungate e coerenti.

Dolore severo, efficacia della buprenorfina
I pazienti con dolore severo sono definiti quelli con un punteggio NRS (Numerical Rating Scale) pari o superiore a 6. I dati mostrano che inizialmente i pazienti avevano un punteggio medio NRS di 7,503 (±1,507 SE), indicando un dolore severo. Dopo 6 mesi, questo punteggio è diminuito significativamente a 4,810, con una differenza media di 2,693 (95% CI: 2,445–2,940), e un valore p<0,00001. Questo indica una forte risposta iniziale al trattamento.
Ulteriori diminuzioni sono state osservate negli intervalli successivi. Tra 6 e 12 mesi, il punteggio NRS è sceso a 4,132, con una differenza media di 0,6784 (95% CI: 0,5309–0,8259, p<0,00001). Tra 12 e 24 mesi, si è verificata una riduzione minore ma significativa, con il punteggio NRS che è sceso a 3,902 (differenza media=0,2302, 95% CI: 0,09596–0,3644, p=0,00001). L’ulteriore miglioramento più significativo si è verificato tra 24 e 36 mesi, con un punteggio NRS che è diminuito ulteriormente a 2,956, con una differenza media di 0,9459 (95% CI: 0,6724–1,219, p<0,00001).

Confrontando i punteggi NRS dall’inizio fino a 36 mesi, si è osservato un calo significativo dell’intensità del dolore durante questo periodo (p<0,00001). Come per i pazienti con dolore moderato, questa riduzione dei punteggi del dolore non è solo statisticamente significativa, ma anche clinicamente rilevante, sottolineando i vantaggi di mantenere strategie di gestione del dolore coerenti per periodi prolungati.

Buprenorfina, efficacia a lungo termine e buona tollerabilità
I risultati di questo studio retrospettivo evidenziano quindi l’efficacia sostenuta e i ridotti effetti collaterali della buprenorfina nella gestione del dolore cronico moderato e grave, confermandone il ruolo centrale nella terapia del dolore. I risultati sono in linea con la letteratura esistente, che evidenzia i vantaggi della buprenorfina, come la stabilità del dosaggio e un profilo farmacocinetico favorevole, soprattutto per i pazienti anziani con comorbilità.

“L’importanza di questo studio sta nel fatto che siamo riusciti a valutare l’utilizzo di buprenorfina a basse dosi in pazienti anziani con dolore di natura non oncologica con un follow up fino a tre anni” commenta il dott. Alfonso Papa, direttore della Struttura Complessa di Terapia del Dolore Ospedale dei Colli”–Ospedale Monaldi, Napoli.

“Siamo riusciti ad ottenere dei dati di efficacia e anche di sicurezza. Inoltre, valutando anche dei pazienti che utilizzavano farmaci adiuvanti si evidenzia che questi dati sono indipendenti dall’utilizzo di eventuali adiuvanti.

Altro aspetto rilevante è che l’effetto ottenuto con questo dosaggio della buprenorfina è avvenuto anche in pazienti con dolore moderato e in alcuni casi anche severo. In genere la buprenorfina prevede una fase iniziale di accumulo del farmaco e quindi di occupazione dei recettori, per tale motivo l’effetto non è immediato ma bisogna attendere qualche settimana affinché si esplichi ma dopo si mantiene nel tempo. Quindi nel tempo un farmaco come la buprenorfina a basso dosaggio, in genere utilizzata per un dolore lieve, ha un effetto anche nel paziente anziano con dolore severo. Nel caso specifico i pazienti hanno assunto il farmaco per un periodo lungo di almeno 6 mesi” ha aggiunto Papa.

La buprenorfina si distingue per le sue proprietà uniche di legame ai recettori, che forniscono un effetto analgesico con un rischio minore di abuso e tolleranza rispetto agli altri oppioidi. Il basso tasso di effetti collaterali gastrointestinali, come costipazione e nausea, è attribuito al suo meccanismo d’azione selettivo sui recettori oppioidi, riducendo l’attivazione delle vie che portano a tali effetti avversi.
Un risultato chiave dello studio è che la buprenorfina non porta a un significativo sviluppo di tolleranza, con un aumento minimo del dosaggio necessario anche dopo 36 mesi, rimanendo ben al di sotto della soglia che definisce la tolleranza agli oppioidi. Questo è un dato, secondo gli autori, che contrasta nettamente con i risultati tipici osservati con altri oppioidi, dove è spesso necessario aumentare progressivamente le dosi per ottenere lo stesso effetto analgesico.

La somministrazione transdermica di buprenorfina si è rivelata efficace nel mantenere una concentrazione plasmatica stabile, migliorando la gestione del dolore e riducendo i picchi e i cali associati ad altre forme di somministrazione, come quella orale. Ciò favorisce la compliance del paziente e minimizza gli effetti collaterali del sistema nervoso centrale, beneficiando soprattutto i pazienti anziani o con compromissioni renali ed epatiche. Inoltre, l’effetto “a tetto” della depressione respiratoria migliora il profilo di sicurezza della buprenorfina.

Nonostante le limitazioni intrinseche dello studio retrospettivo, come il rischio di bias di selezione e la mancanza di causalità, la grande dimensione del campione e il follow-up di lungo periodo rendono i risultati affidabili. In conclusione, i risultati supportano l’espansione dell’uso della buprenorfina nella gestione del dolore cronico, suggerendo un potenziale cambiamento nelle politiche cliniche per favorire la buprenorfina come trattamento di prima linea, migliorando così gli esiti dei pazienti e affrontando aspetti critici della crisi mondiale degli oppioidi.

Alfonso Papa et al., Long-term efficacy and reduced side-effects of buprenorphine in patients with moderate and severe chronic pain Front Pharmacol  2024 Aug 8:15:1454601.
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