Con la traduzione italiana di Riccardo Rinaldi, è disponibile nelle librerie e sugli store digitali “L’uso delle rovine” di Jean-Yves Jouannais
Mentre rade al suolo Cartagine, Scipione Emiliano rievoca il pensiero di Eraclito: «Un cumulo di macerie gettate a caso, il più bell’ordine del mondo». Ogni guerriero, si convince Scipione, è l’artigiano di una nuova armonia universale. Eppure, stando ad Albert Speer e Victor Hugo, non tutte le rovine sono uguali, e farle bene è un’arte. Il primo plasma edifici destinati a produrre belle vestigia; il secondo, “critico d’arte marziale”, rimane folgorato alla vista di una torre sventrata, tanto da farne la matrice della nuova estetica romantica. Le rovine forniscono modelli all’arte, ma accade anche il contrario, se è vero che le bombe alleate si ispirano alle Rovine della vecchia Kreuzkirche, dipinte da Bernardo Bellotto nel 1765, per decidere il volto che avrà Dresda il mattino del 15 febbraio 1945. Neanche una promessa di distruzione può interrompere lo spettacolo della guerra. Così, nel bel mezzo di un raid aereo, la gestora di un cinema tedesco rimuove le macerie che impediscono la proiezione di un film di propaganda nazista. A pochi chilometri da lei, il Merzbau di Kurt Schwitters è tornato al suo stato originario di scorie disseminate per le strade della città, da dove l’artista le ha raccolte anni prima per elevarle a opera d’arte. Quello che Jean-Yves Jouannais ci presenta in queste pagine è un cenacolo esclusivo di eroi ossidionali – ovvero ossessionati dagli assedi – che, senza rinnegare il loro impegno alla causa bellica, ne hanno emendato le leggi, sentendosi più inclini all’arte. Dall’antichità ai giorni nostri, abitano spazi spettrali, costellati di detriti che l’autore descrive con allucinato realismo, tanto che al lettore sembrerà di toccare con mano la materia incandescente delle rovine di Berlino, Ebla, Halberstadt, Luoyping, Amburgo, Dura Europos o Stalingrado.