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Con artrite reumatoide molto attiva la funzione renale ne risente

Artrite reumatoide: nuovo studio suggerisce che i livelli di calprotectina sierica potrebbero rappresentare un biomarcatore di infiammazione

I pazienti con artrite reumatoide (AR) molto attiva vanno incontro ad un declino più rapido della funzione renale rispetto a quelli la cui malattia è meglio controllata

Stando ai risultati di uno studio di registro recentemente pubblicato su ARD, i pazienti con artrite reumatoide (AR) molto attiva vanno incontro ad un declino più rapido della funzione renale rispetto a quelli la cui malattia è meglio controllata.

Razionale e disegno dello studio
L’osservazione secondo cui i pazienti affetti da AR sono particolarmente a rischio di insufficienza renale e CKD non rappresenta una novità assoluta, ricordano i ricercatori nell’introduzione allo studio.
Quello che fino ad oggi non era ancora chiaro erano le modalità con le quali il declino progressivo della funzione renale si accompagna all’attività dell’AR.

L’insorgenza di nefropatia cronica (CKD) rappresenta un problema particolare per i pazienti affetti da AR in quanto complica l’impiego di farmaci standard come il metotrexato e l’ibuprofene. Inoltre, la CKD aumenta il rischio già elevato di eventi cardiovascolari nei pazienti con AR.

Allo scopo di mettere a confronto lo sviluppo dell’insufficienza renale con l’attività della malattia dovuto all’AR, i ricercatori sono ricorsi al registro CorEvitas RA, che attualmente contiene i dati relativi a 60.000 pazienti con AR in trattamento presso più di 1.000 studi medici.

Nello studio appena pubblicato, l’attenzione dei ricercatori si è focalizzata, nello specifico, su 31.129 partecipanti che erano stati sottoposti ad almeno due visite mediche dal 2001 al 2022 e le cui cartelle cliniche includevano almeno due misurazioni della creatininemia e una valutazione dell’indice di attività clinica della malattia (CDAI) al momento dell’arruolamento.

Le analisi primarie sono state ulteriormente ristrette ai pazienti con valori basali di eGFR pari almeno a 60 mL/min/1,73 m2. I partecipanti inclusi nello studio avevano un’età media di 58 anni al basale e tre pazienti su 4 erano di sesso femminile.  L’eGFR mediano era pari a 90,7 mL/min/1,73 m2.

All’arruolamento, il 22% dei pazienti della coorte era in remissione clinica (CDAI ≤2,8), circa un terzo presentava una ridotta attività di malattia (CDAI 2,8-10), poco più di un quarto presentava un’attività moderata (CDAI 10-22) mentre il resto presentava un’AR molto attiva (CDAI >22). In quest’ultimo gruppo, il valore mediano del CDAI era pari a 31 (IQR 26,0-39,2).

La maggior parte dei pazienti in tutte le categorie di attività della malattia stava assumendo metotrexato e/o altri DMARD convenzionali, e la metà stava assumendo anche un farmaco biologico a target.

Risultati principali
Dall’analisi dei dati è emerso che, rispetto ai pazienti con AR in remissione clinica, i tassi di declino della velocità di filtrazione glomerulare stimata (eGFR) in una media di 4,7 anni di follow-up sono risultati maggiori di 0,09-0,18 mL/min/1,73 m2 all’anno tra i pazienti con attività di malattia progressivamente maggiore (tutti P<0,05).

Non solo: il rischio di sviluppare una malattia renale cronica (CKD) di stadio 3b era quasi raddoppiato nei pazienti con un’elevata attività di malattia rispetto a quelli in remissione.

Per contro, è stato anche dimostrato che il raggiungimento della remissione non era in grado lo stesso di proteggere questi pazienti dall’incremento del danno renale (declino medio annuo di eGFR pari a  0,83 mL/min/1,73 m2).
Nello specifico, le medie relative al declino incrementale annuale dell’eGFR, oltre a quello osservato per i pazienti in remissione, sono state le seguenti per le tre categorie di malattia attiva:
– Attività di malattia ridotta: 0,09 (IC95%: 0,03-0,15) mL/min/1,73 m2
– Attività di malattia moderata: 0,17 (IC95%: 0,10-0,23) mL/min/1,73 m2
– Attività di malattia elevata: 0,18 (IC95%: 0,08-0,27) mL/min/1,73 m2

I ricercatori hanno anche esaminato il rischio di questi pazienti di andare incontro allo sviluppo dei gradi di CKD seguenti per periodi di almeno 3 mesi:
– Grado 3a, in cui l’eGFR scende al di sotto di 60 mL/min/1,73 m2
– grado 3b, in cui l’eGFR scende al di sotto di 45 mL/min/1,73 m2

Considerando il gruppo di pazienti del gruppo in remissione come riferimento, il rischio di andare incontro a CKD di grado 3a e 3b in base all’attività di AR è stato stimato (mediante HR) pari, rispettivamente, a:
– 1,15 (IC95%: 1,01-1,3) e 1,22 (IC95%: 0,84-1,76) nei pazienti con attività di AR ridotta
– 1,22 (IC95%: 1,06-1,40) e 1,66 (IC95%: 1,12-2,45) nei pazienti con attività di AR moderata
– 1,27 (IC95%: 1,05-1,52) e 1,93 (IC95%: 1,16-3,2 (nei pazienti con attività di AR elevata

Limiti e implicazioni dello studio
Nel commentare i risultati, i ricercatori hanno sottolineato come lo studio suggerisca che “…il controllo dell’attività della malattia può potenzialmente contribuire a preservare la funzione renale nei pazienti con AR”.
“A questo punto- aggiungono – dovrebbero essere condotti ulteriori studi sull’effetto dei diversi DMARD sulla funzione renale per valutare il potenziale delle strategie di trattamento per la conservazione della funzione renale nei pazienti con AR”.

Tra i limiti dello studio ammessi dagli stessi autori si segnalano la mancanza di informazioni dettagliate relative all’impiego di FANS e alla presenza di alcune comorbilità quali l’ipertensione e il diabete.

NC

Bibliografia
Fukui S, et al “Disease activity of rheumatoid arthritis and kidney function decline: A large prospective registry study” Ann Rheum Dis 2024; DOI: 10.1136/ard-2024-226156.
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