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Miocardite rara ma pericolosa per i pazienti oncologici trattati con immunoterapia

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Gli oncologi che seguono pazienti trattati con l’immunoterapia devono fare molta attenzione all’eventuale sviluppo di una miocardite

Gli oncologi che seguono pazienti trattati con l’immunoterapia, nello specifico con gli inibitori dei checkpoint immunitario (ICI), devono fare molta attenzione all’eventuale sviluppo di una miocardite. Questo potenziale effetto avverso degli ICI, infatti, è raro, ma comporta un alto rischio di morte. Lo si evince dai risultati di una revisione sistematica e una metanalisi di due studi pubblicata da poco su JAMA Oncology.

La prima review ha mostrato che si sono verificati eventi avversi cardiovascolari nell’1,07% dei pazienti trattati con inibitori di PD-1 e nello 0,63% di quelli trattati con inibitori di PD-L1, mentre l’incidenza della miocardite è risultata rispettivamente dello 0,24% e 0,33%. La seconda review ha mostrato, invece, che il 37,7% dei pazienti in cui si è sviluppata una miocardite indotta da ICI è deceduto.

«Anche se rara, la miocardite indotta da ICI può essere associata a una mortalità sostanziale; i risultati di questo studio suggeriscono che è fondamentale che i medici abbiano familiarità con i suoi sintomi e la sua gestione», sottolineano Dorte Lisbet Nielsen, dell’Università di Copenhagen, e i colleghi.

Studio su oltre 83.000 pazienti
Nel primo studio sono stati inclusi nella metanalisi complessivamente 83.315 pazienti di 589 studi clinici. In questi trial, gli eventi avversi di grado 1/2 non sono stati riportati spesso, ma la maggior parte degli studi includeva dati sugli eventi avversi correlati al trattamento di grado 3/5 e/o sugli eventi avversi correlati al sistema immunitario.

In questa revisione, nei pazienti trattati con inibitori di PD-1, l’incidenza di eventi avversi cardiovascolari di qualsiasi grado è risultata dell’1,07% e quella degli eventi avversi cardiovascolari di grado 3/5 dello 0,69%. L’incidenza della miocardite di qualsiasi grado è risultata dello 0,24% e quella della miocardite di grado 3/5 dello 0,2%.

L’incidenza degli eventi avversi cardiovascolari di qualsiasi grado o di grado 3/5 non è risultata significativamente diversa tra i pazienti trattati con pembrolizumab e i pazienti trattati con nivolumab o dostarlimab. Tuttavia, l’incidenza degli eventi avversi cardiovascolari di grado elevato è risultata più alta con cemiplimab rispetto ad altri inibitori di PD-1 (2,91%; P < 0,001).

Tra i 25.926 pazienti valutabili trattati con inibitori di PD-1, 42 sono deceduti per eventi avversi cardiovascolari. Tra i 25.419 pazienti valutabili, uno è deceduto a causa della miocardite.

Tra i pazienti trattati con inibitori di PD-L1, l’incidenza degli eventi avversi cardiovascolari di qualsiasi grado è risultata dello 0,63% e quella degli eventi avversi cardiovascolari di grado elevato dello 0,4%. L’incidenza della miocardite di qualsiasi grado è risultata dello 0,33% e quella della miocardite di grado elevato dello 0,15%.

L’incidenza degli eventi avversi cardiovascolari non è risultata significativamente diversa tra i vari inibitori di PD-L1 o tra inibitori di PD-1 e inibitori di PD-L1.

Tra gli 11.365 pazienti valutabili trattati con inibitori di PD-L1, 18 sono deceduti per eventi avversi cardiovascolari. Tra 11.813 pazienti valutabili, uno è deceduto a causa della miocardite.

Aggiunta di antracicline agli ICI può aumentare il rischio
L’aggiunta di farmaci a base di platino, taxani o fluoropirimidine alla terapia con ICI non ha aumentato significativamente il rischio di miocardite o eventi avversi cardiovascolari in generale. Tuttavia, il rischio di eventi avversi cardiovascolari di qualsiasi grado è risultato aumentato in caso di aggiunta di antracicline (3,20%; P < 0,001), mentre l’aggiunta di ICI agli inibitori delle tirosin chinasi (TKI) o al bevacizumab non ha mostrato di aumentare il rischio di eventi avversi cardiovascolari.

Inoltre, i tassi di eventi avversi cardiovascolari di qualsiasi grado e di grado elevato sono risultati inferiori nei pazienti con neoplasie ematologiche rispetto ai pazienti con tumori solidi. Tuttavia, i tassi di miocardite sono risultati più alti nei pazienti con neoplasie ematologiche. Invece, tra i pazienti trattati con una terapia di combinazione, i tassi di eventi avversi cardiovascolari e miocardite non sono risultati differenti tra i pazienti con tumori ematologici e quelli con tumori solidi.

Il secondo studio
L’obiettivo della secondo studio era valutare l’incidenza della miocardite indotta da ICI ed esaminare le evidenze a supporto di specifiche strategie di gestione di questo eventi averso che potrebbero ridurne il tasso di mortalità.

La revisione ha incluso 223 casi. La maggior parte di questi pazienti (70%) era stata trattata con un inibitore di PD-1 e/o di PD-L1, il 4% era stato trattato con ipilimumab e il 25,6% era stato trattato con una combinazione di due ICI. Nel complesso, il 37,7% dei pazienti è deceduto (83 pazienti su 220 valutabili).

I dati prospettici su 40 pazienti che hanno sviluppato una miocardite hanno indicato che uno screening sistematico del coinvolgimento dei muscoli respiratori, abbinato a una ventilazione attiva, all’uso tempestivo di abatacept e all’aggiunta di ruxolitinib potrebbe ridurre il tasso di mortalità, riferiscono gli autori.

«Un riconoscimento precoce, l’interruzione della terapia con ICI, l’inizio tempestivo dei corticosteroidi e l’escalation del trattamento sono tutti elementi cruciali per ottenere risultati ottimali», concludono la Nielsen e i colleghi.

Bibliografia
D.L. Neilsen, et al. Immune checkpoint inhibitor–induced cardiotoxicity. A systematic review and meta-analysis. JAMA Oncol. Published online August 22, 2024; doi:10.1001/jamaoncol.2024.3065. Leggi

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