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Nuovo studio fa luce sul trattamento con anticoagulanti orali dopo TAVI

Un paziente su cinque con malattie cardiache usa antidepressivi e altri farmaci psichiatrici, associati a un rischio quasi doppio di morte prematura

La prosecuzione del trattamento con anticoagulanti orali non fornisce alcun beneficio rispetto all’interruzione degli OAC nei pazienti sottoposti a TAVI

La prosecuzione del trattamento con anticoagulanti orali (OAC) non fornisce alcun beneficio rispetto all’interruzione degli OAC nei pazienti sottoposti a impianto di valvola aortica transcatetere (TAVI) che necessitano di anticoagulazione a lungo termine.

Lo dimostrano i risultati dello studio POPular PAUSE TAVI, presentati nel corso del congresso annuale della European Society of Cardiology e contemporaneamente pubblicati su NEJM (1).

Il trial ha documento un maggior numero di eventi emorragici nel gruppo di pazienti sottoposti ad anticoagulazione ininterrotta rispetto all’altro gruppo che ha interrotto il trattamento con questi farmaci, mentre non sono state rilevate differenze tra i due gruppi in termini di eventi tromboembolici (ictus). Tali risultati sono i primi provenienti da un trial clinico randomizzato a suffragare l’interruzione degli OAC prima del ricorso alla TAVI.

I presupposti e gli obiettivi dello studio
Tra i pazienti sottoposti alla TAVI con stenosi aortica severa, circa un terzo ha necessità di effettuare una terapia anticoagulante orale a causa di patologie concomitanti. Interrompere la terapia anticoagulante durante la procedura di TAVI vuol dire ridurre il rischio di sanguinamento, mentre non interrompere la terapia anticoagulante significa ridurre il rischio di trombosi.

POPular PAUSE TAVI è uno studio in aperto, di non inferiorità, che è stato condotto in un sottogruppo di pazienti candidati alla TAVI, in trattamento con OAC nella quasi totalità dei casi per FA. Sono stati esclusi dal trial i pazienti ad rischio tromboembolico molto elevato per i quali l’interruzione degli OAC non rappresenta un’opzione di trattamento [cioè quelli con protesi valvolare meccanica, trombo intracardiaco, tromboembolismo venoso nei 3 mesi precedenti la TAVI, o attacco ischemico transitorio (TIA) o ictus in pazienti con FA nei 6 mesi precedenti la TAVI].

Oltre l’80% dei pazienti in studio assumeva anticoagulanti orali diretti (81,9%) – come ad esempio dabigatran, mentre il resto assumeva antagonisti della vitamina K (18,1%).

I pazienti reclutati sono stati randomizzati, secondo uno schema 1:1, a trattamento ininterrotto con OAC o a interruzione del trattamento con questi farmaci, almeno 48 ore prima della TAVI.

“La sospensione dell’anticoagulante è stata leggermente anticipata rispetto alle 48 ore sia nei pazienti trattati con dabigatran con insufficienza renale che in quelli trattati con antagonisti della vitamina K in ragione, rispettivamente, dei tempi di escrezione più lunghi del farmaco anticoagulante diretto che dell’emivita prolungata degli antagonisti della vitamina K – ha puntualizzato van Ginkel ai nostri microfoni”.

L’endpoint primario era un composito di mortalità cardiovascolare, ictus di qualsiasi causa, infarto del miocardio, complicanze vascolari maggiori ed emorragie maggiori entro 30 giorni dalla TAVI.

Tra gli endpoint secondari valutati vi erano, invece, la valutazione degli eventi tromboembolici (come ictus, TIA, infarto del miocardio o embolia sistemica) e le complicanze emorragiche.

In totale, sono stati randomizzati 858 pazienti provenienti da 22 siti europei. L’età media era di 81 anni e il 34,5% erano di sesso femminile. Il punteggio medio CHA2DS2-VASC era pari a 4,5, indicativo di rischio da moderato a elevato di ictus.

Incremento degli eventi emorragici con l’anticoagulazione ininterrotta, senza benefici aggiuntivi
Dai dati è emerso che l’endpoint primario composito si è manifestato nel 16,5% dei pazienti sottoposto a trattamento ininterrotto con OAC e nel 14,8% dei pazienti che hanno interrotto il trattamento con questi farmaci prima della TAVI. La differenza di rischio è stata dell’1,7% a favore del gruppo che ha sospeso il trattamento con OAC (IC95%: da –3,1 a 6,6).

Non è stato soddisfatto, di conseguenza, il margine di non inferiorità (4% per la differenza assoluta tra gruppi) e, quindi, i ricercatori non sono stati in grado di affermare che il trattamento ininterrotto con OAC è non-inferiore alla sospensione di questi farmaci.

Il tasso di eventi tromboembolici complessivi non è risultato, invece, significativamente diverso tra il braccio di continuazione e quello di interruzione del trattamento (8,8% vs 8,2%; differenza di rischio: 0,6%; IC95%: da -3,1% a -4,4%).

I sanguinamenti complessivi, inoltre, sono risultati più frequenti con la strategia di continuazione del trattamento con OAC (31,1% vs 21,3%; differenza di rischio: 9,8%; IC95%: 3,9%-15,6%). Ciò era dovuto principalmente ad un tasso più elevato di emorragie minori, VARC-3 di tipo 1 (21,6% vs 12,9%), sebbene vi fosse anche un tasso numericamente più elevato di emorragie maggiori, VARC-3 di tipo 2-4 (11,1% vs 8,9%).

Da ultimo, non è stata riscontrata alcuna differenza significativa tra il braccio di continuazione e quello di interruzione del trattamento con OAC per quanto riguarda un outcome di safety precoce che incorpora morte per tutte le cause, ictus, emorragie maggiori, complicanze maggiori, nuovi impianti di pacemaker o interventi chirurgici/interventi correlati al dispositivo).

Limiti e conclusioni dello studio
Nel commentare i risultati, i ricercatori hanno ammesso alcuni limiti metodologici intrinseci dello studio, tra cui il disegno in aperto, notoriamente associato a possibili bias di segnalazione e di accertamento, la mancanza di un esame neurologico o di neuroimaging in tutti i pazienti e l’insufficiente potenza statistica per esaminare le differenze nelle singole componenti dell’outcome primario. Inoltre, quasi tutti i pazienti erano stati sottoposti a TAVI tramite accesso transfemorale, quindi i risultati non sono applicabili a tipi di accesso alternativi.

Ciò detto, nel complesso, “…con questi dati, adesso, abbiamo le prove che la prosecuzione del trattamento con OAC non fornisce alcun beneficio apparente in termini di eventi tromboembolici. Data la maggiore incidenza di emorragie, i nostri dati supportano l’interruzione della terapia con OAC nei pazienti sottoposti a TAVI – ha concluso il professor Jur ten Berg, ricercatore principale del trial”.

Invitato ad un commento dopo la presentazione dei risultati il dr. Gilles Montalescot, MD, PhD (Hôpital Pitié-Salpêtrière, Parigi, Francia), ha affermato che i risultati suffragano l’invito alla cautela nel continuare l’anticoagulazione presenti in alcune linee guida e documenti di consenso.

Aggiunge Montalescot: “Alla luce di quanto discusso, i pazienti anticoagulati per fibrillazione atriale e programmati per una procedura di TAVI dovrebbero interrompere gli anticoagulanti senza ricorrere alla terapia “ponte” con eparina a basso peso molecolare. Questa raccomandazione dovrebbe essere adottata dalle linee guida dell’ESC perché finora non abbiamo alcuna raccomandazione a livello ESC per questa situazione”.

Bibliografia
Van Ginkel DJ, Bor WL, Aarts HM, et al. Continuation versus interruption of oral anticoagulation during TAVI. N Engl J Med. 2024;Epub ahead of print.

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