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Fibrillazione atriale: dopo CABG ecco quanta integrazione di potassio serve

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Dopo il by-pass, non serve integrazione aggressiva di routine del potassio per prevenire la fibrillazione atriale

Dopo un intervento di bypass aorto-coronarico (CABG) isolato, somministrare integratori di potassio per la prevenzione della fibrillazione atriale di nuova insorgenza soltanto quando i livelli dell’elettrolita scendono al di sotto del limite inferiore di normalità è efficace praticamente quanto l’integrazione di routine del potassio in modo da raggiungere il limite superiore di normalità ed è un approccio sicuro. Lo dimostrano i risultati dello studio TIGHT-K, presentati a Londra durante il congresso annuale della European Society of Cardiology (ESC), nella sessione Hotline 4.

Inoltre, la prima strategia è risultata associata a un consumo inferiore di risorse sanitarie rispetto al controllo stretto dei livelli di potassio.

La fibrillazione atriale è l’evento avverso più comune dopo un intervento di cardiochirurgia. «Dopo un CABG, la fibrillazione atriale insorge in circa un paziente su tre. In molti centri, ai pazienti viene somministrata un’integrazione di potassio dopo l’intervento chirurgico nel tentativo di mantenere i livelli sierici dell’elettrolita nel range normale-alto (‘controllo rigoroso’) per ridurre il rischio di fibrillazione atriale. Tuttavia, non ci sono prove solide a supporto di questa pratica», ha spiegato Benjamin O’Brien, del Deutsches Herzzentrum der Charité di Berlino, presentando la ricerca..

Lo studio TIGHT-K
TIGHT-K è uno studio clinico randomizzato e controllato, di non inferiorità, in aperto, che ha arruolato in 23 centri nel Regno Unito e in Germania pazienti che erano in lista per un intervento di CABG isolato e non presentavano un’anamnesi di aritmie atriali.

Dopo l’intervento di by-passi, i partecipanti sono stati assegnati secondo un rapporto 1:1 a una strategia di controllo stretto del potassio (integrazione dell’elettrolita ogni volta che i livelli sierici scendevano al di sotto di 4,5 mEq/l) o di controllo ‘mirato’ (integrazione di potassio solo se i livelli sierici scendevano al di sotto di 3,6 mEq/l).

L’endpoint primario era la presenza di fibrillazione atriale di nuova insorgenza dopo l’intervento chirurgico cardiaco (AFACS) nelle 120 ore (5 giorni) successive all’operazione, o fino alla dimissione dall’ospedale, a seconda di quale evento si verificasse per primo. L’AFACS è stata definita come un episodio di fibrillazione atriale, flutter o tachiaritmia della durata di almeno 30 secondi e tutti gli eventi dell’endpoint primario sono stati convalidati da un comitato apposito, in cieco rispetto all’assegnazione del braccio di trattamento. Gli endpoint secondari includevano aritmie diverse dall’AFACS, la mortalità ospedaliera e a 6 mesi, la durata della degenza in terapia intensiva/ospedale e i costi relativi all’acquisto e alla somministrazione della supplementazione di potassio.

Nessuna differenza nell’endpoint primario
In totale, sono stati randomizzati 1690 partecipanti, con un’età media di 64,7 anni e per l’85% uomini. Inoltre, il punteggio medio del Sistema europeo per la valutazione del rischio cardiochirurgico (EuroSCORE) II era pari all’1,5%.

O’Brien e i colleghi non hanno trovato alcuna differenza significativa nell’endpoint primario, la cui incidenza è risultata del 26,2% nel gruppo sottoposto al controllo stretto dei livelli di potassio e 27,8% in quello sottoposto al controllo mirato. Il tasso di AFACS rilevato con qualsiasi mezzo (clinicamente e/o tramite monitoraggio ambulatoriale del ritmo cardiaco) è risultato del 33% in entrambi i gruppi.

Inoltre, dato importante, non è stata riscontrata alcuna differenza significativa nemmeno nell’incidenza delle aritmie diverse dall’AFACS, compresa la tachicardia ventricolare, fra il braccio sottoposto al controllo stretto dei livelli di potassio (rispettivamente 21,1% e 14,8%) e quello sottoposto al controllo mirato (rispettivamente 19,1% e 12,2%).

«Pertanto, possiamo dire che la pratica di somministrare potassio solo se il paziente diventa ipokaliemico si è dimostrata sicura», ha sottolineato O’Brien nella nostra intervista.

Controllo stretto quattro volte più costoso, senza benefici
Il numero mediano di somministrazioni di potassio è risultato pari a 0 (range: 0-5) nel braccio sottoposto al controllo mirato contro 7 (range: 4-12) in quello sottoposto al controllo stretto, nel quale i relativi costi sono risultati quattro volte superiori.

«Siamo stati in grado di dimostrare che l’integrazione di potassio di routine con un controllo stretto non offre benefici rispetto al controllo mirato dei livelli dell’elettrolita, ma è più costosa», ha affermato O’Brien.

«Un intervento non necessario può comportare rischi, come errori farmacologici, e può avere un impatto negativo sull’esperienza del paziente, per esempio a causa del sapore sgradevole degli integratori di potassio orali. Pertanto, i risultati di TIGHT-K sono una buona notizia: possiamo interrompere in modo sicuro la pratica diffusa di mantenere livelli di potassio alti-normali dopo un CABG isolato, migliorare l’esperienza del paziente e anche risparmiare denaro», ha aggiunto il Professore.

«Occorre dunque smettere di somministrare potassio in modo aggressivo e proattivo ai pazienti che hanno effettuato un CABG e penso che questo sia vero anche per i pazienti che vengono sottoposti ad altri interventi di chirurgia cardiaca, per esempio di chirurgia valvolare», ha detto, infine O’ Brien a PharmaStar, sottolineando l’opportunità di eseguire ulteriori studi per verificare anche se la supplementazione intensiva di routine del potassio sia davvero efficace per gli interventi di cardiochirugia diversi da quelli di by-pass.

Bibliografia
B. O’Brien, et al. TIGHT-K – Potassium supplementation and the prevention of atrial fibrillation after cardiac surgery. ESC 2024.

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