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Durvalumab riduce rischio di recidiva e di morte nel tumore della vescica

huma tumore della vescica biomarcatori

Tumore della vescica muscolo-invasivo: con durvalumab prima e dopo la chirurgia rischio di recidiva e di morte ridotto del 32%

In pazienti con carcinoma della vescica muscolo-invasivo (MIBC), un trattamento neoadiuvante con l’anti-PD1 durvalumab più la chemioterapia a base di platino, seguito da durvalumab adiuvante dopo la cistectomia, migliora in modo statisticamente significativo e clinicamente rilevante la sopravvivenza libera da eventi (EFS) e la sopravvivenza globale (OS) rispetto alla sola chemioterapia neoadiuvante, senza compromettere la possibilità di eseguire la cistectomia radicale.

Lo dimostrano i risultati dello studio di fase 3 NIAGARA appena presentati a Barcellona, in un Simposio presidenziale, al congresso annuale della European Society for Medical Oncology (ESMO) e pubblicati in contemporanea sul New England Journal of Medicine.

In questo studio – il primo a valutare l’immunoterapia perioperatoria con un inibitore dei checkpoint immunitari in aggiunta alla chemioterapia neoadiuvante nei pazienti con MIBC idonei al trattamento con cisplatino e il primo a dimostrare un miglioramento significativo della sopravvivenza in questo setting – il regime perioperatorio con durvalumab ha ridotto del 32% il rischio di recidiva o morte e del 25% il rischio di morte rispetto alla sola chemioterapia neoadiuvante.

Studio practice-changing
«Lo studio NIAGARA dimostra che l’aggiunta dell’immunoterapia con durvalumab, prima e dopo la chirurgia, può rappresentare una strategia innovativa, in grado di cambiare la pratica clinica per i pazienti con tumore uroteliale della vescica infiltrante operabile», ha dichiarato uno degli autori dello studio, Lorenzo Antonuzzo, Direttore della Struttura Complessa di Oncologia Clinica dell’Azienda Ospedaliero Universitaria Careggi, Dipartimento di Medicina Sperimentale e Clinica Università di Firenze.

«Questo regime immunoterapico permette di migliorare in modo significativo i due endpoint principali dello studio, cioè la sopravvivenza libera da eventi e la sopravvivenza globale. Il dato sulla sopravvivenza globale è particolarmente rilevante in una popolazione di pazienti complessa da trattare, come quella colpita dal tumore uroteliale della vescica infiltrante. Pur trattandosi di una neoplasia localizzata a livello della vescica, è più aggressiva rispetto a quella non infiltrante e può estendersi localmente fino a invadere gli strati muscolari e l’intera parete vescicale», ha sottolineato lo specialista.

Stimolo a utilizzare la terapia neoadiuvante in tutti i pazienti
«Il trattamento standard, per circa 20 anni, è stato costituito dalla chemioterapia neoadiuvante seguita dalla chirurgia, ma con questa strategia la metà dei pazienti va incontro a recidiva o progressione di malattia, per cui resta un bisogno clinico ancora insoddisfatto», ha sottolineato Massimo Di Maio, Direttore dell’Oncologia Medica Universitaria dell’Ospedale Molinette, AOU Città della Salute e della Scienza di Torino e Presidente eletto dell’Associazione Italiana di Oncologia Medica (AIOM).

«Inoltre, in Italia, il trattamento delle forme infiltranti operabili è variegato, perché vi sono pazienti che vengono trattati direttamente con la chirurgia. Gli importanti risultati dello studio NIAGARA possono costituire uno stimolo all’utilizzo della terapia neoadiuvante in tutti i pazienti. Va anche sottolineato che il regime chemioimmunoterapico è risultato ben tollerato e sicuro».

Lo studio NIAGARA
Lo studio NIAGARA (NCT03732677) è un trial multicentrico internazionale randomizzato, in aperto, condotto su pazienti adulti con MIBC eleggibili al cisplatino con uno stadio clinico T2-T4aN0/1M0 e idonei per la cistectomia radicale, arruolati in 192 centri di 22 Paesi, tra cui Stati Uniti, Canada, Europa, Australia e Asia. I pazienti dovevano, inoltre, avere un performance status ECOG (PS) pari a 0 o 1 e una clearance della creatinina (CrCl) di almeno 40 ml/min.

Dei 1530 pazienti arruolati, 1063 sono stati assegnati secondo un rapporto 1:1 al trattamento con durvalumab 1500 mg per via endovenosa ogni 3 settimane più la chemioterapia con gemcitabina e cisplatino per 4 cicli, seguiti da durvalumab da solo ogni 4 settimane dopo la cistectomia radicale per 8 cicli oppure 4 cicli della sola chemioterapia con gemcitabina/cisplatino prima della cistectomia senza ulteriori trattamenti dopo la chirurgia.

I due endpoint primari dello studio erano l’EFS, definita come il tempo intercorso dalla randomizzazione a un evento (recidiva, progressione che ha precluso la cistectomia radicale, decesso per qualsiasi causa), e la risposta patologica completa (pCR), mentre l’OS era il principale endpoint secondario.

Caratteristiche basali ben bilanciate nei due bracci
Le caratteristiche cliniche e demografiche dei pazienti al basale erano ben bilanciate nei due bracci dello studio. L’età mediana era di 65 anni (range: 34-84) nel braccio sperimentale e 66 anni (range: 32-83) nel braccio di confronto. La maggior parte dei pazienti in entrambi i bracci era di sesso maschile (82%), di razza bianca (66% e 68%), aveva un PS ECOG pari a 0 (78%), era fumatore o ex fumatore (71% e 75%), aveva una CrCl di almeno 60 ml/min (81%), era in uno stadio superiore a T2N0 (60%), aveva un’espressione elevata di PD-L1 (73%), aveva un’istologia di carcinoma uroteliale (86% e 83%) e non aveva metastasi nei linfonodi regionali (95% e 94%).

Complessivamente, hanno iniziato il trattamento adiuvante 530 pazienti assegnati al braccio trattato con durvalumab e 526 assegnati braccio di confronto; di questi, rispettivamente 417 e 389 hanno completato la terapia neoadiuvante e il tempo mediano dall’ultima dose di terapia neoadiuvante alla cistectomia è stato rispettivamente di 39 giorni (range: 8-118) e 38 giorni (range:, 12-333). L’aggiunta di durvalumab alla chemio nella fase neoadiuvante quindi non ha ritardato la cistectomia e non ha impattato sulla possibilità dei pazienti di effettuare l’intervento una volta concluso il trattamento neoadiuvante.

La cistectomia è stata eseguita rispettivamente in 470 pazienti e 446 pazienti. Tra i 383 pazienti che hanno iniziato il trattamento adiuvante con durvalumab, 288 lo hanno completato. Al momento del follow-up, 379 pazienti nel braccio durvalumab e 333 pazienti nel braccio di confronto erano ancora nello studio e al momento del cutoff dei dati tutti avevano completato il trattamento loro assegnato.

Miglioramento significativo della EFS con durvalumab perioperatorio
Nello studio, l’immunoterapia perioperatoria con durvalumab, aggiunta alla chemioterapia neoadiuvante, ha migliorato in modo significativo l’EFS rispetto alla sola chemio neoadiuvante nella popolazione Intention-To-Treat (ITT). Infatti, nell’analisi ad interim predefinita, l’EFS mediana non è stata raggiunta (NR) (IC al 95% NR-NR) nel braccio durvalumab, mentre è risultata di 46,1 mesi (IC al 95% 32,2-NR) nel braccio di confronto (HR, 0,68; IC al 95% 0,56-0,82; P < 0,0001), con una riduzione del 32% del rischio di progressione di malattia, di recidiva, di non completare la chirurgia prevista o di morte per i pazienti che hanno effettuato l’immunoterapia perioperatoria.

Inoltre, con un follow-up mediano di 42,3 mesi (range: 0,03-61,3), i tassi di EFS sono risultati del 76% nel braccio durvalumab contro 67,8% nel braccio di confronto a 12 mesi e rispettivamente del 69,9% e 59,8% a 24 mesi. In una successiva analisi di sensibilità dell’EFS, dalla quale sono stati esclusi i pazienti che non sono stati sottoposti alla cistectomia radicale, la mediana di EFS è risultata NR sia nel braccio durvalumab (IC al 95% NR-NR) sia in quello di confronto (IC al 95% 53,2-NR) (HR 0,69; IC al 95% 0,56-0,86), con tassi di EFS rispettivamente dell’82,3% contro 73,5% a 12 mesi e rispettivamente del 79,4% contro 67,9% a 24 mesi.
 
Miglioramento significativo dell’OS con durvalumab perioperatorio
Inoltre, il trattamento perioperatorio con durvalumab associato alla chemio neoadiuvante ha ridotto il rischio di morte del 25% rispetto alla sola chemioterapia neoadiuvante (HR 0,75; IC al 95% 0,59-0,93; P = 0,0106) e la mediana di OS è risultata NR in entrambi i bracci. Con un follow-up mediano di 46,3 mesi (range: 0,03-64,7), i tassi di OS sono risultati dell’89,5% nel braccio durvalumab contro 86,5% nel braccio di confronto a 12 mesi e rispettivamente dell’82,2% contro 75,2% a 24 mesi.

Al momento dell’analisi, 53 pazienti nel braccio durvalumab e 93 nel braccio di confronto avevano ricevuto almeno una successiva terapia antitumorale dopo l’interruzione del trattamento in studio.

Beneficio di sopravvivenza di durvalumab in tutti i sottogruppi
I benefici sia di EFS sia di OS associati al trattamento perioperatorio con durvalumab sono stati riscontrati in tutti i sottogruppi analizzati.
Inoltre, alla chiusura dei dati, nell’aprile 2024, i tassi di pCR sono risultati significativamente a favore del trattamento con durvalumab prima e dopo la cistectomia rispetto alla sola chemio neoadiuvante: 37,3% contro 27,5% (OR 1,60; IC al 95% 1,23-2,08; P nominale = 0,0005)

«I risultati relativi alla pCR e il significativo beneficio di OS osservato in questa analisi supportano l’approccio perioperatorio e il trattamento neoadiuvante con durvalumab non ha ritardato l’intervento chirurgico né avuto un impatto sulla capacità dei pazienti di sottoporsi all’intervento chirurgico», ha sottolineato durante la presentazione dei dati l’autore principale dello studio, Thomas Powles, Professore di Oncologia genitourinaria, responsabile della ricerca sui tumori solidi e direttore del Barts Cancer Centre presso lo St. Bartholomew’s Hospital di Londra.

Durvalumab perioperatorio tollerabile e gestibile
L’aggiunta di durvalumab perioperatorio alla chemioterapia neoadiuvante è stata tollerabile e gestibile e non sono stati osservati nuovi segnali relativi alla sicurezza, ha riferito l’autore.

In entrambi i bracci quasi tutti i pazienti hanno manifestato effetti avversi di varia natura: il 99% nel braccio durvalumab e il 100% nel braccio di confronto; di questi, rispettivamente il 69% e il 68% erano di grado 3/4, mentre effetti avversi gravi sono stati segnalati rispettivamente nel 62% e 55% dei partecipanti.

I pazienti che a causa di effetti avversi hanno dovuto interrompere il trattamento in studio sono risultati rispettivamente il 21% contro 15%, quelli che hanno dovuto interrompere durvalumab neoadiuvante il 9%, quelli che hanno dovuto interrompere la chemioterapia neoadiuvante rispettivamente il 14% e 15%, quelli che non hanno potuto effettuare la cistectomia radicale l’1% in entrambi i bracci, quelli che hanno dovuto ritardare l’intervento il 2% contro 1% e quelli che hanno dovuto interrompere durvalumab adiuvante l’8%; inoltre, sono stati riportati effetti avversi fatali rispettivamente nel 5% e 6% dei pazienti.

Effetti avversi immuno-correlati circa nel 20% dei pazienti
Il 41% dei pazienti in entrambi i bracci ha manifestato effetti avversi potenzialmente correlati al trattamento, lo 0,6% dei quali ha causato il decesso in entrambi i bracci ed effetti avversi immunomediati di qualsiasi grado sono stati riportati rispettivamente nel 21% e nel 3% dei pazienti.

Durante la fase adiuvante sono stati osservati effetti avversi rispettivamente nell’86% e 71% dei pazienti, effetti avversi di grado 3/4 rispettivamente nel 31% e 24% dei pazienti, effetti avversi gravi nel 26% e 22% dei pazienti ed effetti avversi fatali rispettivamente nel 2% dei pazienti. Effetti avversi potenzialmente correlati al trattamento sono stati osservati rispettivamente nel 41% e 6% dei pazienti, il 6% e l’1% di grado 3/4. In entrambi i bracci, nessun effetto avverso potenzialmente correlato al trattamento adiuvante ha causato il decesso.

Gli effetti avversi di qualsiasi grado più comuni sono stati nausea (54% e 49%), anemia (39% e 41%), stitichezza (39% in entrambi i bracci) affaticamento (36% e 32%), infezioni del tratto urinario (30% e 29%), diminuzione dell’appetito (27% e 25%), neutropenia (26% e 31%), piressia (21% e 17%), diarrea (21% e 14%), vomito (19% e 18%), aumento dei livelli ematici di creatinina (19% e 15%), astenia (18% in entrambi i bracci), diminuzione della conta dei neutrofili (15% e 14%) e prurito (15% e 7%).

Nel complesso», ha concluso Powles «i risultati dello studio NIAGARA supportano il trattamento perioperatorio con durvalumab associato alla chemioterapia neoadiuvantecome potenziale nuovo standard per i pazienti con MIBC eleggibili al cisplatino».

Bibliografia
T.B. Powles, et al. A randomized phase III trial of neoadjuvant durvalumab plus chemotherapy followed by radical cystectomy and adjuvant durvalumab in muscle-invasive bladder cancer (NIAGARA). Annals of Oncology (2024) 35 (suppl_2): 1-72. 10.1016/annonc/annonc1623. leggi

T.B. Powles, et al. Perioperative Durvalumab with Neoadjuvant Chemotherapy in Operable Bladder Cancer. New Engl J Med. 2024; doi: 10.1056/NEJMoa2408154. leggi.

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