Carcinoma epatocellulare non resecabile: una doppietta allunga la vita


Carcinoma epatocellulare non resecabile: con durvalumab più tremelimumab un paziente su cinque è vivo a 5 anni

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In pazienti con carcinoma epatocellulare non resecabile, il trattamento con la combinazione di una singola dose priming di tremelimumab più l’immunoterapia con durvalumab, il cosiddetto regime STRIDE, continua a dimostrare anche a lungo termine un miglioramento della sopravvivenza globale (OS) rispetto alla monoterapia con sorafenib, mostrando una riduzione del rischio di morte a 5 anni del 24%. Lo evidenziano i risultati aggiornati dello studio di fase 3 HIMALAYA, presentati al congresso della European Society for Medical Oncology (ESMO), conclusosi di recente a Barcellona.

Presentando i dati al convegno, Lorenza Rimassa, dell’Humanitas University e dell’IRCCS Humanitas Research Hospital di Rozzano (Milano), ha detto che circa un paziente su cinque nel braccio sperimentale (trattato con tremelimumab più durvalumab) era vivo a 5 anni e questi risultati sanciscono il ruolo della combinazione come nuovo standard nel trattamento dell’epatocarcinoma avanzato non resecabile.

«Questa analisi aggiornata a 5 anni dello studio HIMALAYA rappresenta il più lungo follow-up finora disponibile per gli studi di fase 3 sul carcinoma epatocellulare non resecabile. Il regime STRIDE ha mantenuto il suo beneficio di OS rispetto a sorafenib e ha dimostrato un beneficio di sopravvivenza a lungo termine a 5 anni senza precedenti, con un tasso di sopravvivenza a 5 anni del 19,6% per STRIDE contro il 9,4% per sorafenib», ha detto Rimassa durante la sua presentazione.

Lo studio HIMALAYA 
Lo studio HIMALAYA (NCT03298451) è un trial multicentrico globale, randomizzato, in aperto, a tre bracci, che ha arruolato pazienti con epatocarcinoma avanzato confermato istologicamente, non resecabile. Complessivamente, 1171 pazienti sono stati assegnati in modo casuale a tre bracci: nel braccio del regime STRIDE 393 pazienti sono stati trattati con una dose da 300 mg di tremelimumab più durvalumab 1500 mg ogni 4 settimane, nel secondo braccio 389 pazienti sono stati trattati con solo durvalumab 1500 mg ogni 4 settimane e nel terzo braccio 389 pazienti hanno ricevuto sorafenib 400 mg, che rappresentava lo standard di cura in questo setting.

I partecipanti dovevano avere un punteggio Child-Pugh A e uno stadio B o C secondo Barcelona Clinic Liver Cancer. Inoltre, non dovevano essere stati trattati con precedenti terapie sistemiche per il carcinoma epatocellulare, non dovevano avere una trombosi della vena porta e dovevano presentare un performance status ECOG pari a 0 o 1.

L’endpoint primario dello studio era la superiorità di OS del regime STRIDE rispetto a sorafenib, mentre fra gli endpoint secondari figuravano la non inferiorità di OS di durvalumab rispetto a sorafenib, il tasso di OS a 36 mesi, la sicurezza e la sopravvivenza libera da progressione valutata dallo sperimentatore secondo i criteri RECIST v1.1, nonché il tasso di risposta obiettiva e il tasso di controllo della malattia.

Rischio di morte ridotto di un quarto
Nei pazienti trattati con il regime STRIDE (Single Tremelimumab Regular Interval Durvalumab) i benefici di OS rispetto a quelli trattati con sorafenib sono stati mantenuti nel tempo.

Infatti, con un follow-up mediano rispettivamente di 62,49 mesi contro 59,86 mesi, l’OS mediana è risultata di 16,43 mesi (range: 14-20) nel braccio STRIDE e di 13,77 mesi (range: 12-16) nel braccio sorafenib, con una riduzione del rischio di morte del 24% per il braccio trattato con il regime sperimentale (HR 0,76; IC al 95% 0,65-0,89; two-sided P = 0,0008).

I risultati a 4 anni dello studio HIMALAYA avevano mostrato tassi di OS del 25,2% nel braccio STRIDE contro 15,1% nel braccio sorafenib, con una riduzione del rischio di morte del 22% a favore del regime sperimentale (HR 0,78; IC al 95% 0,67-0,92).

Per i pazienti che hanno raggiunto un controllo della malattia secondo i criteri RECIST v1.1, il beneficio di OS è risultato maggiore, con tassi di OS a 5 anni del 28,7% nel braccio STRIDE contro 12,7% nel braccio sorafenib, ed è aumentato nel tempo. Una risposta completa è stata osservata in 12 pazienti (3,1%) nel braccio STRIDE, ma non è stata raggiunta da nessun paziente nel braccio sorafenib, mentre una risposta parziale è stata raggiunta da rispettivamente 67 pazienti (17%) e 20 pazienti (5,1%). Inoltre, 157 pazienti (40%) nel braccio STRIDE e 216 (56%) nel braccio sorafenib hanno mostrato una stabilizzazione della malattia, mentre sono andati incontro a progressione rispettivamente 141 pazienti (35%) contro 118 (30%).

Minore ricorso a una terapia successiva e risposte più profonde con STRIDE
«Dopo 5 anni, un numero maggiore di pazienti trattati con STRIDE era ancora vivo e in trattamento mentre rispetto a quelli trattati con sorafenib, e un numero minore ha dovuto iniziare una successiva terapia; inoltre, la terapia successiva è stata iniziata più tardi nei partecipanti trattati con il regime STRIDE rispetto a quelli trattati con sorafenib», ha sottolineato Rimassa.

I pazienti trattati con il regime STRIDE hanno avuto anche risposte tumorali più profonde; infatti, 34 pazienti trattati con la combinazione hanno raggiunto una riduzione del tumore superiore al 50%, che è risultata associata a un’OS più lunga, rispetto ai 12 pazienti trattati con sorafenib. In aggiunta, 80 pazienti nel braccio STRIDE contro 114 pazienti nel braccio sorafenib hanno avuto risposte minori, con una riduzione del tumore inferiore al 30%; tuttavia, anche queste risposte minori si sono associate a un vantaggio di sopravvivenza a lungo termine per i pazienti trattati con il regime STRIDE rispetto a quelli trattati con sorafenib.

Sicurezza del regime STRIDE confermata
L’autrice ha riferito che non sono stati osservati nuovi eventi avversi seri correlati al trattamento dopo l’analisi primaria (cut-off 27 agosto 2023). Infatti, a 5 anni (cut-off 1 marzo 2024), aveva manifestato eventi avversi seri correlati al trattamento il 17,5% dei pazienti nel braccio STRIDE, che è la stessa percentuale riportata nell’analisi primaria. Lo stesso vale per il braccio sorafenib, dove gli eventi avversi seri correlati al trattamento sono stati osservati nel 9,9% dei pazienti nell’analisi a 5 anni e nel 9,4% in quella primaria. Infine, per quanto riguarda gli eventi avversi seri non correlati al trattamento, nel braccio STRIDE sono stati osservati nel 24,8% dei pazienti nell’analisi a 5 anni e nel 23% nell’analisi primaria, mentre nel braccio sorafenib l’incidenza di tali eventi è rimasta invariata e pari al 20% in entrambe le analisi.

«Il beneficio di sopravvivenza globale con STRIDE è stato maggiore nei pazienti che hanno raggiunto il controllo della malattia. La riduzione del tumore di qualsiasi grado è risultata correlata alla sopravvivenza a lungo termine, e i pazienti che hanno ottenuto risposte profonde hanno mostrato i maggiori benefici. Questi risultati indicano che le misure di risposta convenzionali, come la risposta completa o parziale secondo i criteri RECIST v.1.1, potrebbero non cogliere appieno i benefici del regime STRIDE», ha concluso Rimassa.

Biliografia
L. Rimassa et al. Five-year overall survival (OS) and OS by tumour response measures from the phase III HIMALAYA study of tremelimumab plus durvalumab in unresectable hepatocellular carcinoma (uHCC). ESMO 2024; abstract 947MO. Annals of Oncology (2024) 35 (suppl_2): S656-S673. 10.1016/annonc/annonc1595. leggi