L’alimentazione degli astronauti impegnati nelle future missioni spaziali a lungo termine potrebbe essere a base di asteroidi
Con i programmi spaziali Artemis e Mars Exploration la Nasa punta rispettivamente a stabilire la presenza umana sostenibile sulla Luna e a inviare un equipaggio su Marte entro il 2030. Trattandosi di missioni spaziali a lungo termine, durante questi viaggi gli astronauti e le astronaute che saranno ingaggiati dovranno affrontare diverse sfide. Una di queste sfide riguarda la disponibilità di cibo. Un requisito essenziale per l’esplorazione spaziale a lungo termine è infatti l’indipendenza dall’utilizzo di alimenti provenienti da missioni di rifornimento sulla Terra. Per superare questo problema, diverse agenzie spaziali stanno già sviluppando strategie alternative. La coltivazione di cibo e l’allevamento di animali nello spazio, come pure la produzione di biomassa commestibile a partire dalla plastica, sono alcune strategie. Questi approcci, tuttavia, richiedono inizialmente un notevole apporto di materie prime dalla Terra e potrebbero richiedere comunque rifornimenti periodici. C’è però un’alternativa che permetterebbe di diventare completamente indipendenti dalla Terra per il cibo. A proporla è un team di ricercatori della Western University e prevede di… mangiare asteroidi. No, non intendiamo letteralmente. L’idea fonda le sue basi sulla metodica di produzione di biomassa commestibile a partire da batteri che “mangiano” la plastica. In questo caso, però, le materie prime non sono le plastiche, ma la materia organica presente negli asteroidi. Lo studio è stato pubblicato sulla rivista International Journal of Astrobiology.
«Per l’esplorazione dello spazio profondo siamo sempre legati alla Terra» sottolinea Eric Pilles, ricercatore alla Western University e primo autore della pubblicazione. «Se si vuole davvero andare lontano, l’unico modo per farlo è produrre cibo nello spazio. E se non si vogliono portare in missione fonti di carbonio, il che significherebbe imbarcare grandi quantità di cibo liofilizzato, è necessario un metodo per poter utilizzare ciò che si trova nello spazio. Gli asteroidi si trovano là, il che significa che c’è molto carbonio».
Le attuali tecnologie che permettono di ottenere cibo dalla plastica sfruttano la pirolisi. Si tratta di un processo di decomposizione termica della materia; una sorta di cottura senza ossigeno. La scissione delle molecole alle alte temperature produce sostanzialmente tre prodotti, uno dei quali, l’olio di pirolisi, se trasferito all’interno di un bioreattore, può essere convertito in biomassa commestibile a opera di alcune specie batteriche.
Diversi studi hanno già valutato la possibilità di applicare la stessa metodologia alla materia organica insolubile presente nelle meteoriti, in particolare alla materia organica delle condriti carbonacee, meteoriti ricche di carbonio per loro natura. In tutti questi casi, è stata dimostrata in laboratorio la capacità di alcune comunità di batteri di utilizzare la materia organica meteorica come fonte di carbonio, metabolizzarla e convertirla direttamente in biomassa.
Il quesito che si sono posti Eric Pilles e colleghi nel loro studio è: qual è la potenziale resa alimentare di questo processo? Detto in altri termini, quanto cibo si potrebbe ottenere dalla trasformazione batterica della materia organica presente in un asteroide? E ancora, data la massa di un asteroide, ad esempio Bennu, per quanto tempo potremmo soddisfare la richiesta di cibo degli astronauti?
Per rispondere a questa domanda i ricercatori si sono serviti di diverse formula matematiche, utilizzando come base di partenza per i loro calcoli l’abbondanza di idrocarburi alifatici presenti nel meteorite di Murchison, un pezzo di asteroide caduto in Australia oltre 50 anni fa. Risolvendo queste formule matematiche, gli scienziati hanno prima determinato la massa della materia organica presente nel meteorite. Hanno poi valutato la quantità di massa estraibile per la produzione alimentare e di questa hanno calcolato la biomassa che è teoricamente possibile ottenere dalla trasformazione operata dai batteri “mangia-plastica”. I risultati ottenuti sono stati infine utilizzati per determinare sia la quantità di biomassa commestibile estraibile da Bennu, l’asteroide bersaglio della missione di ritorno del campione Osiris-Rex, in questo caso usato come modello, sia il numero di anni di sostentamento che l’asteroide sarebbe in grado di fornire agli astronauti, supponendo che venga mantenuta la dieta standard della Nasa di 2500 calorie al giorno.
Ebbene, considerata la massa di Bennu – pari a circa 77 milioni di tonnellate – e considerando uno scenario in cui sia possibile estrarre tutta la materia organica insolubile presente nell’asteroide, secondo i calcoli dei ricercatori la quantità di cibo ottenibile è impressionante.
Questo studio è un esercizio matematico che esplora la potenziale resa alimentare che potrebbe essere prodotta sfruttando i batteri “mangia-plastica”, scrivono i ricercatori. Utilizziamo l’abbondanza di idrocarburi alifatici nel meteorite di Murchison per determinare quanto cibo potrebbe teoricamente essere estraibile da un asteroide. I nostri risultati suggeriscono che, se tutta la materia organica insolubile di Bennu venisse estratta, la quantità di cibo ottenibile sarebbe compresa tra le mille e le seimila tonnellate. Una quantità che fornirebbe da 500 milioni a 10 miliardi di calorie, sufficienti a supportare la vita di un astronauta per un periodo compreso tra 600 e 17mila anni.
Sulla base di questi risultati, l’approccio di utilizzare il carbonio degli asteroidi come fonte di cibo per gli esseri umani che esploreranno il Sistema solare sembra promettente, anche se c’è ancora molto lavoro da fare.
Dal punto di vista sperimentale, sottolineano i ricercatori, bisognerà pensare a degli esperimenti di laboratorio in cui a essere dato in pasto ai batteri sia una roccia analoga per composizione e struttura alla materia organica asteroidale, ad esempio il cherogene, suggeriscono gli autori. Bisognerà poi valutare la tossicità di questa biomassa per l’essere umano e testarne la resa proteica. E ancora, bisognerà testare il funzionamento di un bioreattore nello spazio usando pezzi di asteroidi e ripetere i test sulla tossicità per gli esseri umani. Dal punto di vista pratico, poi, bisognerà esaminare le questioni legate all’estrazione della materia organica dagli asteroidi e il suo trasporto nell’insediamento spaziale per la conversione in biomassa. Se tutte queste future linee di ricerca dessero risultati promettenti, concludono, asteroidi selezionati potrebbero fornire le materie prime – composti organici e acqua – necessarie per creare una filiera alimentare extraterrestre.
Per saperne di più:
- Leggi su International Journal of Astrobiology l’articolo “How we can mine asteroids for space food,” di Eric Pilles, Richard I. Nicklin e Joshua M. Pearce