Mieloma multiplo recidivato/refrattario: via libera Aifa a rimborsabilità di selinexor in combinazione con la doppietta Vd o desametasone
C’è una novità importante per i pazienti italiani con mieloma multiplo ricaduto o refrattario. È finalmente disponibile anche nel nostro Paese selinexor, un farmaco di una nuova classe. Con la determina n. 218/2024 pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale Serie Generale n.181 del 3-8-2024, l’Agenzia italiana del farmaco (Aifa) ha dato il suo via libera alla rimborsabilità di selinexor per due indicazioni.
La prima prevede l’impiego di selinexor in combinazione con la doppietta Vd, cioè l’inibitore del proteasoma bortezomib più desametasone, per il trattamento di pazienti adulti con mieloma multiplo recidivato/refrattario che hanno ricevuto almeno una precedente linea di terapia e sono risultati refrattari alla lenalidomide.
Sulla base della seconda indicazione, invece, selinexor potrà essere utilizzato in combinazione con desametasone per il trattamento di pazienti adulti con mieloma multiplo recidivato/refrattario già esposti ad almeno quattro terapie precedenti, la cui malattia sia resistente a diverse altre forme di trattamento, tra cui almeno due inibitori del proteasoma, almeno due agenti immunomodulatori e un anticorpo monoclonale anti-CD38, e che siano andati incontro a una progressione della malattia durante l’ultima terapia.
Sviluppato originariamente da Karyopharm Therapeutics, selinexor sarà commercializzato da Menarini Stemline.
Selinexor, farmaco first-in-class con un meccanismo d’azione unico
Selinexor è il capostipite di una nuova classe di farmaci, quella degli inibitori della proteina di esportazione nucleare 1 (XPO1), o esportina 1, e ha un meccanismo d’azione unico. In particolare, selinexor è un inibitore orale selettivo di esportazione nucleare covalente e reversibile che blocca specificamente XPO1. XPO1 è il principale mediatore dell’esportazione nucleare di quasi tutte le proteine con funzione di soppressore tumorale, di regolatori di crescita e degli mRNA delle proteine oncogene.
L’inibizione di XPO1 da parte di selinexor determina un accumulo marcato di proteine con azione di soppressore tumorale nel nucleo, l’arresto del ciclo cellulare, la riduzione di varie proteine oncogeniche, tra cui c-Myc e la ciclina D1, e, da ultimo, l’apoptosi delle cellule mielomatose.
Studi preclinici, inoltre, hanno dimostrato che selinexor agisce in modo sinergico con gli inibitori del proteasoma nel sopprimere la via di segnalazione di NF-kB e favorendo la ritenzione nucleare degli oncosoppressori.
Lo studio BOSTON
L’approvazione di selinexor in combinazione con la doppietta Vd (tripletta SVd) è il frutto dei risultati positivi dello studio di fase 3 BOSTON, che hanno mostrato come la tripletta con selinexor sia in grado di offrire un beneficio significativo di sopravvivenza, e non solo, rispetto alla sola doppietta Vd, ai pazienti con mieloma multiplo già sottoposti ad altri trattamenti, anche a sottogruppi di particolare interesse, come i pazienti refrattari a lenalidomide, quelli mai esposti prima a bortezomib o un altro inibitore del proteasoma e quelli alla prima ricaduta.
BOSTON (NCT03110562) è un trial multicentrico internazionale che ha arruolato presso 123 centri di 21 Paesi e randomizzato 402 pazienti con mieloma multiplo recidivato/refrattario già trattati con da una a tre linee di terapia precedenti, che potevano includere bortezomib, carfilzomib, ixazomib, daratumumab, lenalidomide o pomalidomide.
I partecipanti sono stati assegnati secondo un rapporto di randomizzazione 1:1 al trattamento con selinexor (100 mg) più bortezomib sottocute (1,3 mg/m2), entrambi somministrati una volta a settimana, e desametasone (20 mg) due volte a settimana (regime SVd) in cicli di 35 giorni oppure bortezomib sottocute (1,3 mg/m2) due volte a settimana nei primi 8 cicli e poi una volta alla settimana, e desametasone (20 mg) quattro volte a settimana nei primi 8 cicli e poi due volte a settimana, in cicli di 21 giorni.
I pazienti del braccio di controllo, trattato con la doppietta Vd, potevano effettuare un crossover e passare al braccio SVd se andavano incontro a una progressione del tumore.
Il trattamento è proseguito fino alla progressione della malattia, al manifestarsi di eventi avversi non accettabili o al ritiro dallo studio per decisione del medico curante o del paziente.
L’endpoint primario del trial era la PFS nella popolazione Intention-To-Treat (ITT), mentre tra gli endpoint secondari vi erano il tasso di risposta obiettiva (ORR), la sopravvivenza globale (OS) e il tasso di neuropatia periferica.
Miglioramento significativo degli outcome aggiungendo selinexor a Vd
I primi risultati dello studio, presentati al congresso ASCO nel 2020 e pubblicati su Lancet, hanno dimostrato che nella popolazione ITT l’aggiunta di selinexor alla doppietta Vd ha migliorato in modo significativo non solo la PFS, ma anche altri outcome, fra cui il tempo alla terapia successiva (TTNT), l’ORR e la profondità della risposta, riducendo al contempo il rischio e la gravità della neuropatia periferica (un effetto avverso tipicamente associato all’inibitore del proteasoma), rispetto alla sola doppietta Vd.
«Lo studio ha mostrato (con la tripletta SVd, ndr) un aumento dei tassi di risposta e di risposta profonda, della durata della risposta e, soprattutto della sopravvivenza libera da progressione, con il vantaggio di una minore neuropatia, perché nella tripletta la somministrazione di bortezomib è monosettimanale, mentre nella doppietta è bisettimanale».
Nel braccio trattato con i tre farmaci, in particolare, si è registrata una PFS mediana di 13,93 mesi, a fronte di 9,46 mesi nel braccio di controllo, con una riduzione del rischio di progressione o morte del 30% a favore della tripletta sperimentale (HR 0,70; P = 0,0066).
Beneficio di selinexor più Vd anche in caso di refrattarietà a lenalidomide
Nel 2023, al congresso della European Hematology Association (EHA) sono state presentate alcune interessanti analisi di sottogruppo che hanno contribuito a fornire un quadro più dettagliato dei benefici offerti dall’aggiunta di selinexor alla doppietta Vd. Tali dati sono stati poi pubblicati il mese scorso sullo European Journal of Haematology.
Nella prima analisi, condotta su pazienti risultati refrattari alla lenalidomide, una popolazione di pazienti difficile da trattare e in continuo aumento nella pratica clinica quotidiana per via dell’utilizzo sempre più precoce ed esteso di regimi che la includono, il trattamento con la tripletta SVd ha prodotto un miglioramento statisticamente significativo e clinicamente rilevante sia della PFS sia dell’OS, nonché dell’ORR, rispetto alla doppietta Vd.
Infatti, con un follow-up mediano di quasi 29 mesi in entrambi i bracci, la mediana di PFS è risultata di 10,2 mesi con il regime SVd contro 7,1 mesi con Vd, con una riduzione del 48% del rischio di progressione o morte a favore della tripletta con selinexor (HR 0,52; IC al 95% 0,31-0,88; P = 0,012).
Inoltre, l’OS mediana è risultata rispettivamente di 26,7 mesi contro 18,2 mesi, con una riduzione del 47% del rischio di morte per i pazienti trattati con la tripletta sperimentale (HR 0,53; IC al 95% 0,30-0,95; P = 0,030).
L’aggiunta di selinexor alla doppietta Vd ha anche permesso di ritardare il ricorso alla terapia successiva rispetto a quanto osservato con la doppietta. Infatti, la mediana del TTNT è risultata rispettivamente di 13 mesi (IC al 95% 6,9-22,6) contro 7,6 mesi (IC al 95% 4,7-11,7) (HR 0,55; IC al 95% 0,34-0,89; P = 0,012).
Inoltre, nel braccio trattato con la tripletta SVd si sono osservati tassi di risposta superiori rispetto al braccio di controllo, con un ORR che è risultato rispettivamente del 67,9% contro 47,2% (OR 2,59; IC al 95% 1,17-5,77; P a due code = 0,218) e un tasso di risposta parziale molto buona rispettivamente del 35,8% e 24,5% (ORR 1,74; IC al 95% 0,72-4,21; P a due code = 0,218).
Aggiunta di selinexor vantaggiosa anche nei pazienti naïve agli inibitori del proteasoma
Nella seconda analisi gli autori hanno valutato efficacia e sicurezza della tripletta SVd stratificando i risultati in funzione del precedente trattamento con un inibitore del proteasoma e del numero di terapie precedenti.
Sebbene gli inibitori del proteasoma abbiano costituito il backbone del trattamento di prima linea del mieloma multiplo per molti anni, a seguito dell’approvazione per i pazienti di nuova diagnosi di diversi regimi a base di lenalidomide, e in particolare della tripletta daratumumab-lenalidomide-desametasone (DRd), sempre più pazienti oggi vengono trattati con questa combinazione. Tale evoluzione del trattamento porterà ad avere una quota sempre più significativa di pazienti che alla prima recidiva saranno già refrattari a lenalidomide e daratumumab, pazienti per i quali le linee guida ESMO raccomandano l’impiego di una combinazione contenente un inibitore del proteasoma, tra cui SVd.
Nei pazienti naïve a bortezomib, il trattamento con la tripletta SVd si è associato a un miglioramento statisticamente significativo della PFS e ha prodotto un ORR superiore rispetto alla doppietta Vd. Infatti, la mediana di PFS è risultata rispettivamente di 29,5 mesi contro 9,7 mesi, con una riduzione del 65% del rischio di progressione o morte a favore della tripletta con selinexor (HR 0,35; IC al 95% 0,18-0,68; P = 0,002), mentre l’ORR è risultato rispettivamente del 75,4% contro 69,4% (OR 1,57; IC al 95% 0,68-3,64; P = 0,295) e il tasso di risposta parziale molto buona o migliore rispettivamente del 49,2% contro 41,9% (OR 1,51; IC al 95% 0,73-3,14; P =0,275).
«Nei pazienti naïve al bortezomib dello studio BOSTON, la sopravvivenza libera da progressione (con la tripletta SVd, ndr) è risultata più del doppio rispetto a quella osservata nella popolazione complessiva, circa 29-30 mesi. Questo è un dato molto rilevante, anche perché l’impiego principale di SVd sarà proprio nei pazienti non precedentemente esposti al bortezomib o non refrattari ad esso», ha commentato Zamagni.
Il risultato è stato analogo anche nei pazienti non esposti in precedenza a un inibitore del proteasoma. Infatti, in questo sottogruppo la mediana di PFS è risultata di 29,5 mesi con SVd contro 9,7 mesi con Vd, con una riduzione del 71% del rischio di progressione o morte associata alla tripletta sperimentale (HR 0,29; IC al 95% 0,14-0,63; P < 0,001), mentre l’ORR è risultato rispettivamente del 76,6% contro 70,8% (OR 1,30; IC al 95% 0,51-3,33; P = 0,581) e il tasso di risposta parziale molto buona o migliore rispettivamente del 53,2% contro 41,7% (OR 1,54; IC al 95% 0,68-3,84; P =0,308).
Tripletta SVd più efficace anche nei pazienti alla prima recidiva
La tripletta con selinexor si è dimostrata più efficace rispetto alla doppietta di confronto, migliorando sia la PFS sia i tassi di risposta, anche nei pazienti alla prima recidiva, e dunque alla seconda linea di trattamento.
In questo sottogruppo, la mediana di PFS è risultata di 21 mesi con SVd contro 10,7 mesi con Vd, con una riduzione del 38% del rischio di progressione o morte per il braccio sperimentale (HR 0,62; IC al 95% 0,41-0,95; P = 0,028), a dimostrazione del fatto che SVd è una valida opzione già a partire dalla seconda linea di trattamento, mentre l’ORR è risultato rispettivamente dell’80,8% contro 66,7% (OR 2,40; IC al 95% 1,22-4,70; P = 0,010) e il tasso di risposta parziale molto buona o migliore rispettivamente del 52,5% contro 29,3% (OR 2,55; IC al 95% 1,46-4,68; P =0,001).
Questi risultati, sottolineano gli autori, evidenziano la sinergia tra selinexor e bortezomib, e, più in generale l’importanza di utilizzare un regime caratterizzato da un doppio cambio di meccanismo d’azione rispetto al precedente in questa popolazione di pazienti.
Neuropatia periferica meno frequente con la tripletta con selinexor
Per quanto riguarda la sicurezza del trattamento, nello studio BOSTON gli eventi avversi di grado 3/4 più frequenti sono risultati la trombocitopenia (39% con la tripletta contro 17% con la doppietta), l’affaticamento (13% contro 1%), l’anemia (16% contro 10%),e la polmonite (11% in entrambi i bracci).
Tuttavia, va sottolineato che la neuropatia periferica di grado 2 o superiore è stata significativamente meno frequente con la tripletta con selinexor che non con la doppietta (21% contro 34%) (OR 0,50; IC al 95% 0,32-0,79; P = 0,0013).
Complessivamente, dal punto di vista della sicurezza, selinexor è risultato un farmaco gestibile, i cui effetti avversi si sono dimostrati reversibili mediante variazioni del dosaggio e una terapia di supporto. Particolare attenzione va prestata agli effetti gastroenterici (in particolare la nausea), per i quali, nello studio BOSTON, è risultata fondamentale una profilassi anti-emetica nei primi cicli di terapia.
Da sottolineare, infine, che la somministrazione orale di selinexor, unitamente a una schedula che riduce il numero di accessi ospedalieri (una volta alla settimana per 4 settimane in cicli di 35 giorni), rende la tripletta SVd particolarmente utile in pazienti anziani e fragili, come quelli recidivati dopo regimi a base di daratumumab e lenalidomide.
Lo studio STORM
L’approvazione di selinexor in combinazione con desametasone si basa sui risultati dello studio di fase 2b STORM, pubblicato nel 2019 sul New England Journal of Medicine. In questo trial, la doppietta bortezomib-desametasone (Sd) si è dimostrata in grado di produrre risposte obiettive e un’OS significativa in pazienti con mieloma multiplo refrattari alle terapie standard e pesantemente pretrattati.
STORM è uno studio multicentrico in aperto che ha coinvolto 123 pazienti arruolati in centri statunitensi ed europei e affetti da mieloma multiplo, tutti tranne uno inclusi nella popolazione ITT. Tutti i partecipanti erano stati trattati in precedenza con bortezomib, carfilzomib, lenalidomide, pomalidomide, daratumumab, glucocorticoidi e un agente alchilante. Inoltre, erano risultati refrattari ad almeno un farmaco immunomodulatore, un inibitore del proteasoma, daratumumab, glucocorticoidi e l’ultimo regime terapeutico al quale erano stati sottoposti.
I pazienti sono stati trattati con selinexor 80 mg per via orale più desametasone 20 mg a settimana nei giorni 1 e 3 di ogni ciclo di 4 settimane, fino alla progressione della malattia, al decesso del paziente o alla sospensione del trattamento. In più, hanno ricevuto ondansetron 8 mg come antiemetico prima della prima dose del farmaco in studio, e poi due o tre volte al giorno, se necessario.
L’endpoint primario di questo trial era l’ORR (definito come il tasso di risposta almeno parziale), mentre gli endpoint secondari comprendevano la durata della risposta (DOR), il beneficio clinico (definito come una risposta minima confermata o migliore), la PFS e l’OS.
Oltre un quarto dei pazienti con una risposta parziale o migliore
Una risposta parziale o migliore è stata osservata nel 26% dei pazienti (IC al 95% 19%-35%), con due risposte complete stringenti, sei risposte parziali molto buone e 24 risposte parziali; l’endpoint primario dello studio è stato quindi soddisfatto, dal momento che il limite inferiore dell’ intervallo di confidenza (IC) era un tasso di risposta superiore al 10%.
La DOR mediana è risultata di 4,4 mesi (IC al 95% 3,7-10,8), la PFS mediana di 3,7 mesi (IC al 95% 3,0-5,3) e l’OS mediana di 8,6 mesi; da notare che tra i pazienti che hanno raggiunto almeno una risposta minima l’OS è risultata di 15,6 mesi.
Inoltre, nei pazienti refrattari a tre classi di farmaci, il 39% ha raggiunto una risposta minima o migliore e l’OS mediana è risultata di 8,6 mesi.
Sul fronte della sicurezza, gli eventi aversi di grado 3 o superiore più frequenti sono risultati la trombocitopenia senza sanguinamenti, l’anemia, la neutropenia non febbrile e l’iponatriemia.
«Lo studio STORM ha dimostrato che in pazienti penta-refrattari, una popolazione di pazienti a prognosi particolarmente sfavorevole e difficili da trattare, perché hanno esaurito le tre principali classi di farmaci, è possibile ottenere una risposta, anche di buona qualità e con una discreta durata, nei pazienti responsivi», ha osservato Zamagni. «Chiaramente, in questo contesto la sopravvivenza libera da progressione è nettamente inferiore rispetto a quella ottenuta nello studio BOSTON, perché la popolazione è completamente diversa (pazienti con malattia molto più avanzata, fortemente pretrattati, ndr). In questi pazienti, usare un farmaco con un meccanismo d’azione completamente diverso può aiutare nell’attesa della disponibilità di un’immunoterapia (per esempio le CAR-T) o come ponte tra un’immunoterapia e un’altra. Sfruttare il fatto di poter riottenere una risposta che si mantiene per un tempo discreto, anche se non eccessivamente lungo, può consentire di traghettare il paziente in avanti», nel percorso di cura, ha concluso la Professoressa.
Bibliografia
GU 181; 3/8/24
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