Fibrillazione atriale: da nuovi dati del Registro ETNA-AF conferme per Edoxaban


A 4 anni la persistenza in terapia con edoxaban è molto elevata, e la sicurezza del trattamento è uniforme nei vari sottogruppi di pazienti

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A Londra, durante il recente congresso della European Society of Cardiology (ESC), sono stati presentati i dati a 4 anni del registro ETNA-AF, coorte Europea. Due analisi, in particolare, hanno evidenziato due aspetti fondamentali: la prima ha mostrato che la persistenza in terapia con edoxaban è molto elevata, mentre la seconda ha evidenziato che la sicurezza del trattamento è uniforme nei vari sottogruppi di pazienti.

Contesto e obiettivi del Registro ETNA-AF
Edoxaban, un inibitore diretto orale del fattore X attivato, è stato approvato nel 2015 per la prevenzione dell’ictus e delle embolie sistemiche nei pazienti con fibrillazione atriale (AF), nonché per il trattamento e la prevenzione delle recidive del tromboembolismo venoso.

Il Registro “Edoxaban Treatment in routiNe clinical prActice for patients with nonvalvular Atrial Fibrillation Europe” (ETNA-AF Europe) è stato disegnato come parte del “risk management plan” di edoxaban, con lo scopo di valutare rischi e benefici della molecola nei pazienti europei affetti da AF. ETNA-AF Europe fa parte del programma globale ETNA-AF, che include registri anche in Giappone e in alcune regioni dell’Asia.

ETNA-AF Europe è uno studio prospettico, osservazionale, di fase 4, che ha arruolato 13.980 pazienti in trattamento con edoxaban per la prevenzione del tromboembolismo associato ad AF non valvolare, provenienti da 825 centri distribuiti in 10 nazioni europee. L’obiettivo principale è analizzare la sicurezza di edoxaban nel mondo reale, valutando eventi emorragici, eventi avversi correlati al farmaco e mortalità cardiovascolare e per tutte le cause.

Elevata persistenza in terapia
La prima analisi (1) ha mostrato che la persistenza in terapia con edoxaban è molto elevata. La non-persistenza ai NOAC (non-vitamin K antagonist oral anticoagulants) è associata a un aumento del rischio di ictus nei pazienti con AF. La maggior parte degli studi sulla persistenza dei NOAC è stata retrospettiva e spesso non ha incluso pazienti trattati con edoxaban. Identificare i predittori di non-persistenza può essere utile per progettare studi futuri e sviluppare strategie per ridurre la non-persistenza nella pratica clinica.

In questa analisi, sono stati esaminati i pazienti che non hanno raggiunto la fine del periodo di studio e quelli che sono stati non-persistenti (definiti come con interruzione permanente di edoxaban) dopo 4 anni di trattamento. Sono stati inclusi anche i pazienti che hanno cambiato NOAC e le ragioni dell’interruzione.

Complessivamente, 13.164 pazienti sono stati inclusi nell’analisi. Al termine dei 4 anni di follow up, il 27,3% dei pazienti ha terminato prematuramente lo studio e il 71,5% lo ha completato. Dei pazienti che hanno lasciato lo studio (n=3598), il 30,2% è stato perso al follow-up, il 6,9% ha ritirato il consenso e il 5,9% è stato trasferito in un’altra istituzione. Dei pazienti che hanno completato lo studio (n=9417), l’87,4% è stato classificato come persistente entro i 4 anni. Solo il 6,2% ha interrotto permanentemente edoxaban senza passare a un altro NOAC.

Le caratteristiche di base associate alla non-persistenza includevano età avanzata, sesso maschile, estremi di peso corporeo, bassa funzione renale, insufficienza cardiaca, malattia vascolare, malattia epatica cronica, uso di alcol, fragilità percepita, broncopneumopatia cronica ostruttiva, fumo, sintomi attuali di AF e ablazione.

In conclusione, la maggior parte dei pazienti in ETNA-AF-Europe ha raggiunto la fine dello studio. Meno di un quarto è stato classificato come non-persistente durante i 4 anni di follow-up. La maggior parte dei pazienti non-persistente ha cambiato NOAC, con un numero ridotto che ha completamente interrotto la terapia anticoagulante. Il sesso maschile, la bassa funzione renale, la malattia epatica cronica e il fumo sono stati associati sia all’interruzione del trattamento che alla non-persistenza.

Il commento di due esperti
Il prof. Igor Diemberger dell’Università di Bologna, primo autore di questa sottoanalisi, commentando i risultati del registro ETNA-AF, ha sottolineato l’importanza della persistenza in terapia con edoxaban. «Nei pazienti con fibrillazione atriale, i farmaci anticoagulanti orali dovrebbero accompagnare tutta la vita del paziente perché riducono di oltre il 60% l’incidenza di ictus. Tuttavia, in tanti pazienti la terapia viene assunta in maniera discontinua. I dati a 4 anni del registro ETNA-AF, il più ampio al mondo su un anticoagulante orale, ci forniscono informazioni molto interessanti sulla persistenza in terapia».

Diemberger ha evidenziato che la persistenza a 4 anni con edoxaban è dell’87%, un dato superiore rispetto ad altri registri post-approvazione presenti in letteratura. «Questo risultato è molto confortante per la possibilità di trattare i nostri pazienti a lungo termine. La persistenza elevata indica che il farmaco è ben tollerato e non ha dato eventi avversi significativi, probabilmente anche grazie alla sua monosomministrazione giornaliera e alla bassa interazione con altri farmaci».

«L’elevato numero di pazienti che ha proseguito il trattamento con edoxaban per tutta la durata dello studio di quattro anni, è una buona notizia per i nostri sforzi volti a mitigare la mancata aderenza terapeutica» ha osservato il Prof. Raffaele De Caterina, MD, PhD, FESC, Direttore della Cardiologia dell’Azienda Ospedaliera Universitaria di Pisa. «Ci auguriamo che i fattori associati alla non persistenza osservati nello studio possano aiutare anche lo sviluppo di strategie terapeutiche nella pratica clinica, a beneficio degli esiti dei pazienti».

Trattamento dei pazienti con fragilità e comorbilità
E stato sottolineato un altro dato rilevante. Ostacoli come le multi-morbilità complesse, che impediscono di raccomandare l’anticoagulazione per la gestione della fibrillazione atriale non valvolare (FANV), sono significativi nei pazienti fragili. Per questo motivo, la prescrizione dei NOAC nella popolazione di pazienti fragili è inferiore al 50%. I medici devono bilanciare il rischio di ictus e il rischio di emorragia quando prendono decisioni in merito alla prescrizione.

La fragilità è una ragione comune per scegliere dosi non raccomandate di anticoagulanti orali e quindi i dati di follow-up a quattro anni dell’ETNA-AF sono stati utilizzati per valutare gli esiti clinici in questi pazienti. Dallo sottoanalisi sopracitata, i pazienti con fragilità “percepita” o oggettiva trattati con una dose ridotta (non raccomandata) di 30 mg hanno mostrato un tasso più elevato di morte per tutte le cause rispetto a quelli trattati con dose di 60 mg (HR [IC 95%]: 1,44[1,06;1,96]), senza alcun effetto significativo sulle emorragie maggiori. Ciò suggerisce che la presenza di fragilità di per sé non dovrebbe necessariamente indurre a ridurre la dose.

In una ulteriore sottoanalisi separata dei dati, i pazienti sono stati suddivisi in terzili bassi, medi e alti in base all’indice di massa corporea (IMC), all’area di superficie corporea (ASC) e alla massa magra (3). I tassi di eventi tromboembolici sono stati bassi (0,7-0,9%/100/soggetti/anno) e simili tra i terzili. Tuttavia, sono stati osservati tassi più elevati di eventi emorragici nei terzili bassi ([2,2-2,4%]) rispetto a quelli medi ([1,5-1,8%]) e alti ([1,4-1,5%]) per ASC e massa magra. Ciò suggerisce che queste variabili dovrebbero essere tenute in considerazione più dell’IMC nell’analisi degli esiti dei pazienti trattati con edoxaban.

Sicurezza uniforme nei sottogruppi
La seconda analisi (2) ha evidenziato che la sicurezza del trattamento con edoxaban è uniforme nei vari sottogruppi di pazienti. Bilanciare i rischi di ictus e sanguinamento è necessario per ottimizzare l’uso degli anticoagulanti orali nella pratica clinica. Rimangono preoccupazioni sull’aumento del rischio di sanguinamento nei pazienti che ricevono NOAC e i dati di sicurezza a lungo termine in questa popolazione sono limitati.

Sono stati presentati i tassi annualizzati di ictus emorragico durante i 4 anni di follow-up dello studio ETNA-AF-Europe, che si sono verificati complessivamente (on-/off-edoxaban) e on-edoxaban, inclusi i sottogruppi stratificati per età, compromissione renale, compromissione epatica, uso concomitante cronico di antiaggreganti e punteggio CHA2DS2-VASc.

Un totale di 13.164 pazienti è stato incluso nell’analisi completa. I tassi annualizzati complessivi e on-edoxaban di ictus emorragico sono stati bassi (numero di eventi, % [ intervallo di confidenza al 95%]: 36, 0.1 [0.05;0.11] e 31, 0.1 [0.05;0.10] rispettivamente). I tassi di ictus emorragico complessivi sono rimasti bassi nei sottogruppi stratificati per età, compromissione renale, compromissione epatica, uso concomitante di antiaggreganti e punteggio CHA2DS2-VASc.

Allo stesso modo, i tassi di ictus emorragico on-edoxaban erano bassi indipendentemente da età, insufficienza renale, insufficienza epatica, uso cronico concomitante di antiaggreganti piastrinici o CHA2DS2-VASc.

In conclusione, i tassi annualizzati complessivi e on-edoxaban di ictus emorragico sono stati bassi e non sono stati aumentati da fattori di rischio non modificabili come età, compromissione renale/epatica, uso concomitante di antiaggreganti e punteggi CHA2DS2-VASc elevati durante i 4 anni di follow-up. I tassi annualizzati complessivi on-edoxaban nel registro ETNA-AF-Europe sono abbastanza comparabili con i tassi di incidenza riportati in letteratura nelle popolazioni stratificate per età.

Bibliografia
1) I Diemberger, M Gwechenberger, JJ Komen, et al. Persistence and predictors for non-persistence to edoxaban therapy in patients with atrial fibrillation: 4-year follow-up data from the ETNA-AF-Europe study. ESC 2024. London (UK).
2) D Morrone, R Chhabra, E-M Fronk, et al. Low rates of haemorrhagic stroke, not increased by age, renal/hepatic impairment, concomitant anti-platelet use and high CHA2DS2-VASc scores, in the 4-year follow-up of ETNA-AF-Europe. ESC 2024. London (UK).
3) G Boriani, L Zaremba-Pechman, R Chhabra, et al. Impact of differences in body mass index, body surface area and lean body mass on clinical outcomes in patients with atrial fibrillation receiving edoxaban: 4-year follow-up data from ETNA-AF-Europe. ESC 2024. London (UK).