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Esopianeti con atmosfera: Gj 1132 b fa da cavia per la ricerca

La fotosintesi ossigenica sarebbe possibile su esopianeti ma non potrebbero sostenere una biosfera simile a quella della Terra secondo un nuovo studio

Un team di astronomi dell’Università di Chicago ha sperimentato un metodo semplice e preciso per determinare se gli esopianeti hanno o meno un’atmosfera, applicandolo al mondo roccioso Gj 1132 b

Uno dei principali obiettivi della ricerca astronomica è quello di trovare esopianeti adatti a ospitare la vita. Ci sono diversi fattori che sono essenziali per l’abitabilità planetaria, tra cui la presenza di un’atmosfera: uno strato gassoso che isola il pianeta e ne regola la temperatura. Sulla Terra, ad esempio, l’atmosfera ridistribuisce il calore del Sole intorno al pianeta, mantenendolo un luogo temperato e adatto alla vita.

Tuttavia, non è facile capire se un pianeta lontano possieda o meno un’atmosfera, poiché anche se ci piacerebbe non è possibile osservare direttamente esopianeti di tipo terrestre. Ciò che si fa è mettere insieme diversi indizi, come le fluttuazioni della luce quando il pianeta si muove intorno alla sua stella. Sono stati trovati molti esopianeti rocciosi simili al nostro, ma nessuno di cui si possa dire con certezza che abbia un’atmosfera. La scoperta di questi pianeti permetterà di capire come si formano e si mantengono le atmosfere, in modo da poter prevedere meglio quali pianeti potrebbero essere abitabili.

Uno studio condotto da Qiao Xue, dottoranda dell’Università di Chicago, e dal gruppo di Jacob Bean, ha applicato un nuovo metodo per determinare se gli esopianeti abbiano o meno un’atmosfera, dimostrando che è più semplice ed efficiente di quelli precedenti. La nuova tecnica, se applicata a un maggior numero di pianeti, ha il potenziale per aiutarci a conoscere meglio i modelli di formazione dell’atmosfera.

Il metodo è stato originariamente proposto nel 2019 da una collaborazione tra Bean e Megan Mansfield dell’Università dell’Arizona. L’approccio utilizza la differenza di temperatura misurata nel momento in cui è più calda e la temperatura massima che l’esopianeta dovrebbe teoricamente raggiungere in base ai calcoli.

Poiché le atmosfere disperdono il calore intorno all’intera superficie dei pianeti, riducono la temperatura del lato più caldo del pianeta (quello rivolto direttamente verso la stella). Gli scienziati hanno ipotizzato che se la temperatura effettiva di un esopianeta non è così calda come potrebbe esserlo in teoria, possiamo presumere che abbia un’atmosfera che svolge questa funzione di termoregolazione.

Tuttavia, fino a oggi mancavano strumenti sufficientemente precisi e sensibili per fornire letture accurate di queste temperature. Mentre ora con il telescopio spaziale James Webb è possibile ottenere con grande accuratezza le temperature dei pianeti misurando l’intensità dell’energia che emettono.

Quando gli esopianeti passano davanti ai loro soli, oscurano parte della luce della stella, provocando una leggera diminuzione della luminosità misurata della stella. Quando il pianeta appare quasi dietro la stella rispetto ai nostri dispositivi di osservazione, possiamo catturare la massima luminosità del sistema, cioè la stella non oscurata combinata con la luce emessa dal pianeta. Nel momento in cui il pianeta passa dietro la stella rispetto alla nostra visuale, possiamo registrare la luce emessa dalla sola stella. Sottraendo questa misura di luce da quella della luce della stella combinata con quella del pianeta, si può dedurre la luminosità – e quindi la temperatura – del pianeta.

In questo modo, Xue ha concluso che il primo pianeta a cui ha applicato il nuovo metodo, Gj1132 b, non ha un’atmosfera: la temperatura misurata del pianeta è troppo vicina alla temperatura massima calcolata per far pensare a una componente termoregolatrice del pianeta. «Non è quindi un candidato adatto alla vita», dichiara l’autrice. «Quando esamineremo un insieme di dati sufficientemente ampio, come faremo quest’anno con il telescopio spaziale James Webb, speriamo di trovare tendenze che ci aiutino a capire meglio la formazione dell’atmosfera e ciò che rende i pianeti abitabili».

Il nuovo metodo non è l’unico modo per determinare se un esopianeta abbia o meno un’atmosfera, ma è un metodo più semplice e affidabile per cercare pianeti lontani con atmosfera. Xue ha spiegato che è meno soggetto a falsi negativi e positivi rispetto all’altra tecnica. «L’altra tecnica, che misura la luce che filtra attraverso l’atmosfera del pianeta, è più impegnativa perché può essere confusa dall’attività della stella e dalla presenza di nubi», asserisce Bean.

Se gli scienziati riusciranno a capire cosa dà origine alle atmosfere dei pianeti, sarà più facile escludere i pianeti inabitabili nella ricerca di esopianeti in grado di ospitare la vita. «Questo studio è stato entusiasmante perché finalmente ho avuto la possibilità di lavorare con pianeti rocciosi, che sono il sogno di ogni scienziato di esopianeti perché hanno un grande potenziale di vita», conclude Xue. «Ora non vedo l’ora di vedere cosa succederà».

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