Tumore della cervice uterina: immunoterapia più chemioradioterapia molto efficaci


Tumore della cervice uterina ad alto rischio, con l’immunoterapia più chemioradioterapia l’82,6% delle pazienti è vivo a 3 anni

dispositivi intrauterini

L’immunoterapia con l’anti-PD1 pembrolizumab, combinata con la chemioradioterapia (CRT) concomitante e poi continuata in monoterapia, produce un miglioramento statisticamente significativo e clinicamente rilevante della sopravvivenza globale (OS) rispetto alla sola CRT in pazienti con carcinoma della cervice uterina di nuova diagnosi localmente avanzato e ad alto rischio. Lo dimostrano i dati aggiornati dello studio di fase 3 KEYNOTE-A18 (noto anche come ENGOT-cx11/GOG-304) presentati in un Simposio presidenziale e in conferenza stampa al congresso della European Society for Medical Oncology (ESMO), a Barcellona, e pubblicati in contemporanea su The Lancet.

Riduzione del 33% del rischio di morte aggiungendo pembrolizumab alla CRT
A un follow-up mediano di 29,9 mesi (range: 12,8-43), la mediana dell’OS non era stata raggiunta (NR) in nessuno dei due bracci, ma il trattamento con pembrolizumab più la CRT concomitante ha mostrato di ridurre il rischio di morte del 33% (HR 0,67; IC al 95% 0,50-0,90; P = 0,0040) rispetto alla sola CRT concomitante.
Inoltre, il tasso di OS a 36 mesi è risultato dell’82,6% (IC al 95% 78,4%-86,1%) nel braccio trattato con pembrolizumab più la CRT contro 74,8% (IC al 95% 70,1%-78,8%) nel braccio di controllo, trattato con la sola CRT più un placebo.

Il beneficio di OS fornito dall’aggiunta di pembrolizumab alla chemioterapia si è riscontrato in tutti i sottogruppi specificati dal protocollo, con Hazard Ratio (HR) inferiori a 1, tranne nel sottogruppo di pazienti di età pari o superiore a 65 anni (HR 1,35).

Dopo oltre 20 anni cambia lo standard di cura
«Per la prima volta in oltre 20 anni in cui non vi erano stati reali progressi, questa combinazione cambia lo standard di cura», ha detto in conferenza stampa l’autrice principale dello studio, Domenica Lorusso, Professore Ordinario di Ostetricia e Ginecologia dell’Humanitas University di Rozzano (Mi) e Direttore del Programma di Ginecologia Oncologica dell’Humanitas San Pio X di Milano. «Siamo molto orgogliosi del risultato ottenuto, presentato nel Presidential Symposium. Al congresso ESMO 2023 erano stati illustrati i risultati di sopravvivenza libera da progressione. I dati aggiornati, che includono anche la sopravvivenza globale, consolidano il valore della nuova combinazione.

L’aggiunta dell’immunoterapia con pembrolizumab alla chemioradioterapia consentirà di portare a una potenziale guarigione un maggior numero di pazienti. Ricordiamo, infatti, che si tratta di uno stadio di malattia potenzialmente curativo».

Lo studio KEYNOTE-A18
Lo studio KEYNOTE-A18 (NCT04221945) è un trial multicentrico internazionale di fase 3 randomizzato, in doppio cieco, controllato con placebo, in cui si è valutato pembrolizumab in combinazione con la radioterapia a fasci esterni (EBRT) più la chemioterapia concomitante (cisplatino), seguita dalla brachiterapia rispetto a alla chemioradioterapia concomitante più un placebo in pazienti di età pari o superiore a 18 anni con tumore della cervice (carcinoma squamocellulare, adenocarcinoma o carcinoma adenosquamoso) localmente avanzato di nuova diagnosi a rischio elevato (definito come uno stadio FIGO 2014 IB2-IIB con linfonodi positivi, o stadio II-IVA, con o senza linfonodi positivi).

Le partecipanti dovevano avere un performance status ECOG pari a 0 o 1, una malattia valutabile secondo i criteri RECIST 1.1, una funzione d’organo accettabile e una quantità sufficiente di tessuto disponibile per la biopsia. Al contrario, non potevano avere altri sottotipi istologici di tumore della cervice, una malattia in stadio FIGO 2014 IVB, essere state sottoposte in precedenza all’isterectomia o aver effettuato in precedenza un trattamento sistemico, l’immunoterapia, un intervento chirurgico definitivo o la radioterapia.

Complessivamente, sono state arruolate 1060 pazienti in 176 centri di 30 Paesi. «Lo studio nasce da un’idea di ricerca italiana e l’Italia stessa ha dato un grossissimo contributo, arruolando circa il 10% del campione, ma è stato veramente uno sforzo globale», ha sottolineato Lorusso.

Le partecipanti sono state assegnate in modo casuale secondo un rapporto 1:1 al trattamento con pembrolizumab 200 mg ogni 3 settimane il primo giorno di ogni ciclo più la chemioradioterapia, costituita da 5 cicli di cisplatino 40 mg/m2 una volta alla settimana abbinati alla ERBT seguita dalla brachiterapia, seguiti da pembrolizumab 400 mg ogni 6 settimane per 15 cicli (braccio sperimentale) oppure la sola chemioradioterapia più 5 cicli di un placebo ogni 3 settimane, seguiti da 15 cicli di placebo ogni 6 settimane (braccio di controllo).

Gli endpoint primari dello studio erano la PFS, valutata dallo sperimentatore secondo i criteri RECIST 1.1 o mediante conferma istopatologica e l’OS. I due endpoint primari sono stati analizzati in modo gerarchico, ha spiegato Lorusso: prima la PFS e, solo se questa era positiva, l’OS. Gli endpoint secondari includevano la sopravvivenza libera da progressione (PFS) a 24 mesi, l’OS a 36 mesi, il tasso di risposta obiettiva (ORR), la durata della risposta, gli outcome riferiti dai pazienti e la sicurezza.

Particolare attenzione a una radioterapia di buona qualità
Nel trial, si è posta grande attenzione a somministrare alle pazienti una radioterapia di buona qualità. «Quando abbiamo progettato lo studio, abbiamo concordato fin dall’inizio sulla necessità di avere una radioterapia di buona qualità. Altrimenti, qualunque fossero i risultati dello studio, sarebbe stato difficile interpretarli in assenza di un braccio di controllo appropriato. Pertanto, un Quality Assurance Review Center ha fornito una rigorosa convalida del sito prima dell’arruolamento nello studio e ha esaminato e approvato ogni singolo piano di trattamento prima dell’inizio del trattamento. Inoltre, nel protocollo dello studio erano specificate linee guida dettagliate per la radioterapia», ha spiegato Lorusso durante la sua presentazione.

«La dose cumulativa minima accettabile era di 80 Gy EQD per il volume tumorale ad alto rischio. L’intercalazione di brachiterapia ed EBRT non era consentita e il tempo di trattamento complessivo non doveva superare i 50 giorni, con un’estensione a 56 giorni per ritardi imprevisti».

Tutte le razze ben rappresentate
Al momento del cut-off dei dati, nel braccio sperimentale (529 pazienti), il 16,3% delle pazienti era ancora in trattamento, il 41,5% lo aveva completato e il 42,2% lo aveva interrotto; il motivo principale dell’interruzione in questo gruppo è stata la progressione radiografica (108 pazienti); nel braccio di controllo (531 pazienti), al momento del cut-off il 16% delle pazienti era ancora in trattamento, il 39,4% lo aveva completato e il 44,5% lo aveva interrotto; anche in questo gruppo la ragione più comune di interruzione è stata la progressione radiografica (158 pazienti).

Il 50% delle donne era di razza bianca; il 30% asiatica. «Ma, fondamentalmente, tutte le razze viventi nel mondo erano rappresentate nello studio», ha sottolineato Lorusso. Oltre il 95% delle pazienti aveva tumori PD-L1-positivi, cioè con un Combined Positive Score (CPS) ≥1, il 56% era in stadio III e IVA, l’85% aveva linfonodi positivi e, in particolare, il 62% nella pelvi e circa il 20% nell’area pelvica e para-aortica. Per quanto riguarda il tipo di EBRT, poco meno del 90% delle pazienti ha ricevuto l’IMRT o la VMAT e la stragrande maggioranza ha ricevuto la dose di radioterapia pianificata di 70 Gy o superiore (91,1% nel braccio pembrolizumab e 91,3% nel braccio placebo).

Per quanto riguarda l’esposizione al trattamento, il numero mediano di cicli di pembrolizumab o di placebo nei rispettivi bracci è risultato pari rispettivamente a 17 (range: 1-20) e 16 (range: 1-20) e il numero mediano di cicli di cisplatino pari a 5 (range: 1-7), in entrambi i bracci. Il tempo complessivo di effettuazione della radioterapia è stato di 52 giorni. Nel braccio pembrolizumab, la radioterapia è stata completata entro 50 giorni dal 35,5% delle pazienti ed entro 56 giorni dal 74,2%, mentre nel braccio di controllo le percentuali corrispondenti sono risultate rispettivamente del 36,8% e 74,7%. La durata mediana dell’EBRT e della brachiterapia è stata rispettivamente di 37 giorni e 12 giorni in entrambi i bracci.

Confermato anche il beneficio di PFS 
A Barcellona Lorusso ha presentato anche i dati aggiornati sulla PFS che hanno non solo confermato quanto evidenziato nella prima analisi ad interim, riportata al congresso ESMO dello scorso anno, ma sono risultati addirittura leggermente migliori.

La prima analisi, con un follow-up mediano di 17,9 mesi, ha mostrato, infatti, un tasso di PFS a 24 mesi del 67,8% (IC al 95% 61,8%-73%) con pembrolizumab più la CRT contro 57,3% (IC al 95% 51,2%-62,9%) con la sola CRT, con una PFS mediana NR in entrambi i bracci e una riduzione del 30% del rischio di progressione della malattia o decesso, statisticamente significativa, nel braccio sperimentale rispetto a quello di controllo (HR 0,70; IC al 95%, 0,55-0,89; P = 0,0020).

Nella seconda analisi ad interim, quella presentata quest’anno a Barcellona, con un follow-up mediano di 29,9 mesi, il tasso di PFS a 36 mesi è risultato del 69,3% (IC al 95% 62,7%-75%) nel braccio pembrolizumab contro 56,9% (IC al 95% 50,4%-62,9%) nel braccio placebo, con una PFS mediana ancora NR in entrambi i bracci e una riduzione del 32% del rischio di progressione della malattia o decesso nel braccio sperimentale rispetto a quello di controllo (HR 0,68; IC al 95%, 0,56-0,84).

«L’analisi dei sottogruppi ha evidenziato un beneficio costante di pembrolizumab praticamente in tutti i sottogruppi prespecificati. Tale beneficio, riscontrato già nella prima analisi ad interim, ed è stato confermato anche nella seconda analisi ad interim», ha riferito Lorusso.

Profilo di sicurezza gestibile e confermato
Il profilo di sicurezza di pembrolizumab più la CRT concomitante è risultato gestibile e non sono state identificate nuove problematiche legate alla sicurezza prolungando il follow-up.

Il 78,2% delle pazienti del braccio pembrolizumab e il 70% di quelle del braccio placebo hanno manifestato effetti avversi di grado 3 o superiore, mentre eventi avversi ritenuti correlati al trattamento di grado 3 o superiore si sono verificati rispettivamente nel 69,1% e 61,3% delle pazienti, eventi avversi gravi sono stati riportati rispettivamente nel 32,6% e 28,5% delle pazienti ed eventi avversi gravi correlati al trattamento rispettivamente nel 19,3% e 13,4% delle pazienti. Le pazienti che hanno dovuto effettuare una qualsiasi interruzione del trattamento a causa di eventi avversi sono state rispettivamente il 20,6% e 14,9%. «Da notare che solo una paziente nel braccio pembrolizumab ha interrotto tutto il trattamento per un evento avverso non correlato a pembrolizumab», ha sottolineato Lorusso.

Gli effetti avversi più comuni, riscontrati nel 20% o più delle pazienti nei bracci pembrolizumab e placebo, rispettivamente, sono stati anemia (60% contro 55,8%), nausea (57,6% contro 59,8%), diarrea (50,8% contro 51,1%), diminuzione della conta dei globuli bianchi (32,8% contro 34,5%), diminuzione della conta dei neutrofili (29,5% contro 27,9%), vomito (25,6% contro 28,3%), leucopenia (23,7% contro 17,4%), diminuzione della conta piastrinica (22,0% contro 20,6%), neutropenia (21,6% contro 17,7%) e ipotiroidismo (21,2% contro 5,7%).

Gli eventi avversi immunomediati più comuni, riscontrati da tre o più pazienti nei due bracci sono stati ipotiroidismo (22,5% contro 6,8%), ipertiroidismo (12,1% contro 2,8%), gastrite (4,2% contro 3,8%), colite (3% contro 2,1%), tiroidite (2,3% contro 0,4%), polmonite (1,9% contro 0,9%), gravi reazioni cutanee (1,3% contro 0,9%), insufficienza surrenalica (0,8% contro 0%), nefrite (0,6% contro 0,2%) e pancreatite (0,6% contro 0,2%).

Risultato importante, l’aggiunta di pembrolizumab alla CRT non ha avuto nessun impatto negativo sulla qualità della vita (QOL), misurata con il questionario EORTC QOL Core 30 (QLQ-C30), somministrato ad ogni ciclo di trattamento. Infatti, non sono state segnalate differenze clinicamente significative tra i due bracci nelle variazioni dal basale alla settimana 36 dei punteggi del QLQ-C30 sia per quanto riguardo la stato di salute globale/QOL sia per quanto riguarda il funzionamento fisico.

I prossimi passi
«Questi dati supportano pembrolizumab più la CRT concomitante come nuovo standard of care per le pazienti con carcinoma della cervice uterina di nuova diagnosi localmente avanzato e ad alto rischio», ha detto Lorusso concludendo la sua presentazione.

Inoltre, ha spiegato la Professoressa ai nostri microfoni, «fra un mese, a Dublino, ci sarà consensus mondiale sul trattamento del tumore della cervice uterina, questo nuovo schema (pembrolizumab più la CRT concomitante) è stato individuato come il trattamento standard da utilizzare nel braccio di controllo per i futuri studi clinici e dovrà essere inserito nelle linee guida».

I dati dello studio, ha aggiunto Lorusso, saranno presentati a breve all’Ema per l’approvazione regolatoria di pembrolizumab per questa indicazione e successivamente anche all’Aifa, in modo da renderlo disponibile il prima possibile, auspicabilmente, anche alle pazienti italiane.

Un tumore che si può e si dovrebbe prevenire
In un futuro non troppo lontano, tuttavia, non si dovrebbe più arrivare a dover trattare un tumore della cervice uterina, perché questa è una neoplasia che si può prevenire, ha sottolineato la Professoressa.

«Questo tumore è legato in più del 90% dei casi a un’infezione da papillomavirus, l’HPV, ed esistono due forme di prevenzione: una prevenzione primaria, rappresentata dal vaccino contro l’HPV, che è efficace e sicuro e in Italia è gratuito per maschi e femmine fino a una certa fascia d’età, e una prevenzione secondaria, con lo screening attraverso il Pap-test o il test HPV. Abbiamo gli strumenti per prevenire la malattia, ma purtroppo non sempre li utilizziamo al meglio delle loro possibilità», ha concluso Lorusso.

«L’eradicazione della malattia, che è quasi sempre causata dal papillomavirus umano, la più frequente infezione sessualmente trasmessa, è possibile solo investendo in programmi di prevenzione», ha ribadito in conferenza stampa Francesco Perrone, Presidente dell’Associazione Italiana di Oncologia Medica (AIOM), ricordando che le ‘Call to action’ promosse dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, dalla European CanCer Organisation e dallo ‘Europe’s Beating Cancer Plan’ della Commissione europea mirano a eliminare il tumore della cervice uterina e tutti gli altri tumori HPV-correlati entro il 2030.

Bibliografia
D. Lorusso, et al. Pembrolizumab plus chemoradiotherapy for high-risk locally advanced cervical cancer: Overall survival results from the randomized, double-blind, phase III ENGOT-cx11/GOG-3047/KEYNOTE-A18 study. Annals of Oncology (2024) 35 (suppl_2): S544-S595. 10.1016/annonc/annonc1592. leggi

D. Lorusso, et al. Pembrolizumab or placebo with chemoradiotherapy followed by pembrolizumab or placebo for newly diagnosed, high-risk, locally advanced cervical cancer (ENGOT-cx11/GOG-3047/KEYNOTE-A18): overall survival results from a randomised, double-blind, placebo-controlled, phase 3 trial. The Lancet 2024; Online first September 14. leggi