Il trattamento con l’inibitore multichinasico regorafenib è efficace nel rallentare la progressione della malattia in pazienti con sarcomi dei tessuti molli localmente avanzati
Il trattamento con l’inibitore multichinasico regorafenib è efficace nel rallentare la progressione della malattia in pazienti con sarcomi dei tessuti molli localmente avanzati o metastatici. È quanto emerge dai risultati dello studio di fase 2 EREMISS, presentati nel corso del congresso della Società Europea di Oncologia Medica (ESMO), che si è tenuto quest’anno a Barcellona.
I risultati suggeriscono che il farmaco rappresenta un’opzione terapeutica promettente per questi pazienti, anche se il tema della tollerabilità non è trascurabile.
Lo studio EREMISS
Nei pazienti affetti da sarcomi dei tessuti molli vi è una necessità ancora insoddisfatta di un trattamento di mantenimento efficace per mantenere la risposta alla doxorubicina somministrata in prima linea e ritardare l’inizio della terapia di seconda linea.
Lo studio EREMISS è un trial multicentrico e randomizzato di fase 2, realizzato dal French Sarcoma Group, che coinvolto 127 pazienti adulti (almeno 18 anni) con sarcoma dei tessuti molli metastatico o localmente avanzato non operabile, non adipocitico, che avevano ottenuto una risposta parziale o una stabilizzazione della malattia dopo 6 cicli della chemioterapia di prima linea a base di doxorubicina, con lesioni misurabili secondo i criteri RECIST v.1.1 e un performance status ECOG non superiore a 1.
I partecipanti, arruolati in 14 centri transalpini fra il maggio 2019 e il novembre 2022, sono stati assegnati secondo un rapporto 1:1 a regorafenib (65 pazienti; braccio sperimentale) o un placebo (62 pazienti; braccio di controllo).
L’endpoint primario dello studio era la sopravvivenza libera da progressione (PFS, definita come il tempo trascorso dalla randomizzazione alla prima progressione), valutata mediante revisione centralizzata in cieco secondo i criteri RECIST v.1.1, mentre erano altri endpoint la PFS valutata dal centro sperimentatore, il tasso di risposta obiettiva (ORR), la sopravvivenza globale (OS), il tempo al trattamento successivo (TTN) e la sicurezza.
Centrato l’endpoint primario
Lo studio ha centrato il suo endpoint primario, in quanto la mediana della PFS è risultata significativamente superiore nel braccio regorafenib rispetto al braccio placebo: 5,6 mesi contro 3,5 mesi (HR 0,53; IC al 95% 0,36-0,78; P = 0,001).
Il beneficio di PFS si è osservato indipendentemente dal tipo di risposta alla doxorubicina (parziale o solo stabilizzazione della malattia) e dal sottotipo istologico (leiomiosarcoma, sarcoma pleomorfo indifferenziato o altri tipi di sarcoma).
Tuttavia, non è stata rilevata una differenza statisticamente significativa nella mediana dell’OS tra i pazienti trattati con l’inibitore rispetto ai controlli: 27,6 mesi contro 20,5 mesi (HR 0,78; IC al 95% 0,50-1,22; P = 0,28).
Eventi aversi più comuni con regorafenib
Pe quanto riguarda la sicurezza, come atteso, gli eventi avversi di grado ≥3 sono stati più frequenti con regorafenib, nonostante una dose iniziale di 120 mg/die. Infatti, l’incidenza di tali eventi è risultata del 60,9% nel braccio sperimentale contro 11,3% nel braccio placebo.
Nel braccio trattato con l’inibitore, gli effetti avversi di grado ≥3 più comuni sono stati la fatigue (9,4%), il rash (7,8%) e l’ipertensione arteriosa (7,8%).
Complessivamente, 18 pazienti (il 28,1%) hanno interrotto il trattamento con regorafenib a causa della tossicità.
Qualche dubbio sulla tollerabilità
«I risultati ottenuti sono promettenti e lo studio ha raggiunto l’endpoint primario di un miglioramento significativo della PFS», ha commentato Claudia Valverde, dell’Ospedale Universitario Vall d’Hebron di Barcellona, non coinvolta nello studio.
Tuttavia, l’esperta ha avanzato qualche dubbio sulla tollerabilità del regime terapeutico utilizzato nello studio. «La percentuale elevata di pazienti che hanno interrotto regorafenib è preoccupante e mette in evidenza i problemi di tossicità associati a questo agente, anche a dosi ridotte (120 mg/die), come nello studio in questione.
Sebbene i dati non siano direttamente confrontabili, vi sono alcune evidenze che l’agente chemioterapico trabectedina possa risultare meno tossico come terapia di mantenimento rispetto a regorafenib in questo contesto», ha osservato Valverde.
Necessari ulteriori dati
«Pertanto, prima che regorafenib possa essere implementato nella pratica clinica, saranno necessari ulteriori dati, in particolare per quanto riguarda il suo impatto sul tempo alla progressione della malattia dopo la terapia di seconda linea, per evitare di esporre i pazienti a una tossicità non necessaria», ha rimarcato l’esperta.
In prospettiva, ci sono ulteriori dati da ricercare in questo contesto. «Dato che i pazienti potrebbero dover essere sottoposti a terapie di mantenimento per un periodo di tempo prolungato, gli studi futuri dovranno includere dati sulla qualità della vita. Inoltre, la variabilità della risposta al trattamento evidenzia la necessità di identificare i sottogruppi di pazienti che hanno maggiori probabilità di trarre beneficio da un particolare trattamento», ha concluso Valverde.
Bibliografia
N Penel, et al. EREMISS trial: A double-blind placebo (PBO)-controlled randomised trial assessing efficacy/safety of regorafenib (REGO) as maintenance therapy after 1st line doxorubicin-based chemotherapy in advanced soft-tissue sarcoma (ASTS) patients (pts). ESMO 2024; abstract 1718. Annals of Oncology (2024) 35 (suppl_2): S1031-S1061. 10.1016/annonc/annonc1610. leggi