Epatite C: con antivirali il rischio tumore resta elevato


Epatite C: i farmaci antivirali riducono la mortalità, ma il rischio di cancro resta elevato rispetto alla popolazione generale

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L’infezione cronica da virus dell’epatite C (HCV) è la principale causa di fibrosi epatica e cirrosi, con un rischio elevato di sviluppo di carcinoma epatocellulare (HCC). Sebbene esistano antivirali ad azione diretta (DAA) altamente efficaci, l’incidenza, la morbilità e la mortalità legate all’HCC associato a HCV rimangono elevate. Una revisione sistematica della letteratura, pubblicata su Current Opinion in Virology, ha esaminato i meccanismi della cancerogenesi indotta da HCV, con particolare attenzione ai processi che continuano anche dopo l’eliminazione del virus, e sottolineato l’importanza del monitoraggio dei pazienti dopo il trattamento con DAA.

Il virus HCV, un virus a RNA, persiste nel 80% dei casi, portando a epatite cronica C (CHC) con rischio di fibrosi, cirrosi e HCC. Anche dopo l’eliminazione del virus tramite i DAA, il rischio di HCC persiste, in quanto il virus può causare un ambiente pro-tumorale tramite infiammazione cronica, alterazioni metaboliche ed epigenetiche. La terapia con DAA ha dimostrato di non aumentare direttamente il rischio di neoplasie, ma gli effetti dell’infezione sull’omeostasi epatica possono continuare a influenzare il rischio di HCC anche dopo la risposta virologica sostenuta (SVR). Questo suggerisce che il danno epatico indotto dall’HCV sia durevole, anche in assenza di replicazione virale.

Epatite C e danni genomici
L’infiammazione cronica e i danni genomici sono fattori chiave nello sviluppo del carcinoma epatocellulare (HCC) associato all’HCV, che solitamente si manifesta dopo anni o decenni di infezione cronica. L’eliminazione continua degli epatociti infetti da parte delle cellule immunitarie e la morte cellulare indotta dallo stress virale innescano una costante rigenerazione degli epatociti, aumentando il rischio di mutazioni genetiche dovute a errori nella replicazione del DNA. Questo rischio è esacerbato dal danno ossidativo, principalmente causato dalle specie reattive dell’ossigeno (ROS) prodotte dalle cellule immunitarie e dai mitocondri degli epatociti infetti.

L’HCV è stato segnalato per stimolare la produzione di ROS come parte della sua strategia di replicazione, anche se l’interazione complessa tra ROS e il sistema antiossidante non è ancora del tutto compresa. Le mutazioni più frequenti associate all’HCC da HCV riguardano il promotore della telomerasi (TERT) e la β-catenina (CTNNB1).
Inoltre, l’HCV stimola direttamente il segnale Wnt/β-catenina nelle cellule infette, e dati clinici suggeriscono che questo effetto persista anche dopo l’eliminazione del virus, offrendo un potenziale bersaglio terapeutico. Si ipotizza che lo spettro mutazionale possa variare a seconda del successo del trattamento antivirale e del tipo di terapia utilizzata (DAA o interferone), anche se rimangono dubbi sulla causalità.

Impatto metabolico
L’HCV altera profondamente il metabolismo dei grassi dell’ospite, poiché utilizza specifici lipidi e membrane endocellulari per replicarsi e assemblare i virioni. Questo influenza non solo le cellule infette, ma anche il metabolismo lipidico dei pazienti, modificando la composizione lipidica nel sangue e inducendo spesso la steatosi epatica (accumulo di grassi nel fegato). La steatosi è associata a un rischio maggiore di sviluppare carcinoma epatocellulare (HCC) e un’alta mortalità. Anche dopo la clearance virale (SVR), la steatosi spesso persiste o peggiora, aggravando i danni al fegato. L’HCV interferisce anche con il metabolismo del glucosio, inducendo insulino-resistenza e creando un ambiente favorevole allo sviluppo del tumore nel fegato.

Soppressione immunitaria
Il sistema immunitario, specialmente le cellule T citotossiche, cerca di eliminare le cellule infette e tumorali. Tuttavia, in alcuni casi di HCC associato all’HCV, sono state osservate infiltrazioni immunitarie caratterizzate da cellule T esauste, il che riduce la risposta immunitaria contro il tumore. Rispetto al virus dell’epatite B (HBV), l’HCV sembra ridurre maggiormente l’attivazione delle cellule T e l’infiltrazione immunitaria. Questi effetti immunosoppressivi, inclusa la soppressione del sistema interferonico e la riduzione della presentazione dell’antigene, possono contribuire alla protezione delle cellule precancerose dai segnali antiproliferativi. Alcuni di questi effetti immunitari persistono anche dopo la cura con antivirali ad azione diretta (DAA), permettendo alle cellule tumorali di sviluppare meccanismi di evasione immunitaria.

Fibrosi e cirrosi
L’infiammazione cronica causa fibrosi e, alla fine, cirrosi, processi strettamente legati allo sviluppo di carcinoma epatocellulare (HCC). La fibrosi è un fattore di rischio importante per l’HCC nei pazienti con epatite C cronica (CHC), anche dopo la guarigione virale (SVR). Oltre all’infiammazione cronica, l’HCV contribuisce direttamente alla fibrogenesi, coinvolgendo segnali come la β-catenina, YAP/TAZ e il fattore di crescita trasformante (TGF-β). Quest’ultimo è rilasciato dalle cellule infettate dall’HCV e promuove la fibrosi attivando le cellule stellate epatiche. Sebbene inizialmente sopprima la tumorigenesi, il TGF-β successivamente accelera la progressione tumorale.

Effetti epigenetici
L’epigenetica comprende meccanismi che modulano stabilmente l’espressione genica, come la metilazione del DNA o le modifiche degli istoni. L’HCV influenza l’epigenetica a molti livelli, ad esempio attivando le metiltransferasi del DNA, alterando l’acetilazione degli istoni e tramite modificazioni metaboliche o l’espressione di RNA non codificanti (ncRNA). Questi cambiamenti epigenetici possono estendersi anche alle cellule non infette, contribuendo a una riprogrammazione epigenetica del fegato. In particolare, alcuni loci, come il soppressore tumorale p16INK4A, sono frequentemente silenziati nell’HCC associato a HCV. Le alterazioni epigenetiche rimangono anche dopo la clearance virale, contribuendo al rischio persistente di sviluppare HCC anche dopo la guarigione.

In conclusione, gli autori sottolineano che nonostante i progressi con i farmaci antivirali ad azione diretta (DAA), l’HCV rimane un importante problema di salute pubblica. Sebbene la guarigione virale (SVR) riduca la mortalità, i pazienti mantengono un rischio elevato di sviluppare tumori epatici, soprattutto in presenza di fibrosi. È importante identificare biomarcatori epigenetici per stratificare i rischi e migliorare la sorveglianza. Ad esempio, il modello SMART, un modello di machine learning, utilizza parametri clinici accessibili per predire lo sviluppo dell’HCC. In futuro, si potrebbe considerare l’uso di terapie per normalizzare le cicatrici metaboliche, epigenetiche e fibrotiche, come l’uso della metformina o delle statine lipofile, che hanno mostrato riduzioni del rischio di HCC.

Felix Fiehn et al., Hepatitis C virus and hepatocellular carcinoma: carcinogenesis in the era of direct-acting antivirals
Curr Opin Virol. 2024 Aug:67:101423.
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