Al processo Regeni spunta un testimone: “L’ho visto bendato e sfinito dalla tortura”


Al processo Regeni parla un ex detenuto palestinese che avrebbe visto il ricercatore italiano nel carcere egiziano degli 007, pochi giorni prima della sua morte

Il ministero dell’Università istituisce cinque premi in memoria di Giulio Regeni: il 15 gennaio, giorno in cui avrebbe compiuto 33 anni, verrà lanciato il primo bando

“Giulio Regeni era ammanettato con le mani dietro la schiena, con gli occhi bendati. L’ho rivisto che usciva dall’interrogatorio, sfinito dalla tortura. Era tra due carcerieri che lo portavano a spalla. Lo stavano riportando alle celle”: È la testimonianza riportata in un video proiettato oggi in aula, nel processo per la morte di Giulio Regeni, il ricercatore friulano ritrovato senza vita il 3 febbraio 2016. Per la sua morte devono rispondere alla giustizia italiana quattro 007 egiziani: il generale Tariq Sabir, i colonnelli Athar Kamal e Uhsam Helmi e il maggiore Magdi Ibrahim Abdel Sharif.

Il video è parte di un documentario mandato in onda da Al Jazeera e diffuso nell’aula della Prima Corte di Assise di Roma:  a parlare è un cittadino palestinese che è stato detenuto in una struttura degli apparati egiziani e ha visto il ricercatore italiano in uno dei suoi ultimi giorni di vita, il 29 gennaio 2016. “Non era nudo- ha proseguito il testimone nell’intervista- indossava degli abiti, dei pantaloni scuri e una maglietta bianca. Ho visto un altro detenuto con segni di tortura sulla schiena”. Il palestinese racconta poi dei dettagli sull’interrogatorio-tortura a Regeni: “I carcerieri insistevano molto con alcune domande, ‘Giulio dove hai imparato a superare le tecniche per affrontare l’interrogatorio? Dove hai conseguito il corso anti interrogatorio?’ Ricordo più volte queste parole ripetute in dialetto egiziano. Non so se Giulio abbia risposto a meno. Erano nervosi, usavano la scossa elettrica e lo torturavano con la corrente”.

Oltre ai carcerieri, secondo il testimone, erano presenti nell’interrogatorio del ricercatore anche gli investigatori, “ufficiali che non avevo visto prima” e “un colonnello, un dottore specializzato in psicologia”. Non c’era nessun altro contatto con l’esterno. E riferendosi a quanto lui stesso ha vissuto in quei giorni, spiega: “La sensazione era quella di stare in un sepolcro. Sono stato sequestrato, detenuto e poi liberato senza un perché”.

Nel corso dell’udienza odierna è stata ascoltata anche la sorella di Giulio, Irene Regeni che si è soffermata sugli aspetti privati della relazione fraterna: “Mio fratello era un ragazzo normalissimo, la persona che per me c’è sempre stata e non avrei mai pensato di vivere senza- lo ha descritto- Era generoso e buono. Lo vedevo come un esempio. Era il mio fratellone che dava consigli”.

Poi sulla scelta di andare a proseguire il suo lavoro di ricerca in Egitto: “Ci sentivamo tramite chat e tramite mail. Giulio è stato sempre appassionato di storia, studiava l’arabo. Dopo il corso triennale andò per la prima volta in Egitto. Era aperto a conoscere culture diverse, in particolare quella egiziana: era entusiasta di andare lì, era contento per la ricerca sul campo”.