Cellule Car-T disponibili in Italia da ormai 5 anni, un tempo sufficiente per tracciare un bilancio dell’esperienza accumulata finora nel nostro Paese
Cellule CAR-T sotto i riflettori al 51° Congresso Nazionale della Società Italiana di Ematologia (SIE), che si è tenuto recentemente a Milano, con tante presentazioni (orali e poster) e un simposio dedicato. Questa immunoterapia cellulare innovativa, che ha cambiato radicalmente le prospettive di cura della leucemia linfoblastica acuta e di alcuni linfomi, è disponibile in Italia da ormai 5 anni, un tempo sufficiente per tracciare un bilancio dell’esperienza accumulata finora nel nostro Paese. Bilancio molto positivo, stando ai dati riportati al meeting.
Una possibilità concreta di guarigione e una vera rivoluzione terapeutica
Risale al 2019, infatti, il via libera dell’Agenzia italiana del farmaco (Aifa) ai primi due prodotti a base di cellule CAR-T: tisagenlecleucel (tisa-cel), approvato per il trattamento del linfoma diffuso a grandi cellule B recidivato o refrattario dopo due o più linee di terapia sistemica e per i pazienti pediatrici e giovani adulti fino a 25 anni con leucemia linfoblastica acuta a cellule B refrattaria, in recidiva post-trapianto o in seconda o ulteriore recidiva, e axicabtagene ciloleucel (axi-cel), approvato inizialmente per il trattamento di pazienti adulti con due tipi di linfoma non-Hodgkin aggressivo – il linfoma diffuso a grandi cellule B e il linfoma primitivo del mediastino a grandi cellule B – refrattari o recidivanti dopo due o più linee di terapia sistemica.
I dati dello studio registrativo di axi-cel, ZUMA-1, infatti, e i dati di real life raccolti dai vari registri nazionali e dello studio osservazionale sulle CAR-T avviato dalla SIE indicano come, a 5 anni dal trattamento, circa il 30-35% dei pazienti sia vivo e potenzialmente guarito dalla malattia. Un risultato straordinario, se si considera che prima dell’avvento di questa immunoterapia cellulare a questi pazienti si potevano offrire solo cure palliative, ha ribadito Corradini.
CAR-T axi-cel utilizzabili già dopo la prima recidiva
Circa un anno fa, poi, l’Aifa ha detto sì a un ampliamento delle indicazioni delle CAR-T per i linfomi, autorizzando l’uso di axi-cel per il trattamento di pazienti adulti con linfoma diffuso a grandi cellule B o linfoma a cellule B ad alto grado refrattario alla chemioimmunoterapia di prima linea o recidivante entro 12 mesi dal completamento della chemioimmunoterapia di prima linea (in pratica già come terapia di seconda linea), oltre che per il trattamento di pazienti adulti con linfoma follicolare recidivato/refrattario dopo tre o più linee di terapia sistemica.
Risultati più brillanti somministrando axi-cel in seconda linea
Nello studio ZUMA-7, infatti, il trattamento con axi-cel in seconda linea ha dimostrato di migliorare notevolmente gli outcome clinici di efficacia, cioè la sopravvivenza libera da eventi (EFS, endpoint primario), il tasso di risposta obiettiva (ORR) e la sopravvivenza globale (OS), rispetto alla terapia di salvataggio standard (terapia a base di platino seguita dal trapianto autologo) nei pazienti che non ottengono una risposta metabolica completa alla terapia di prima linea o recidivano entro i 12 mesi. In particolare, il tasso di EFS a 24 mesi è risultato del 41% con axi-cel contro 16% con la terapia di salvataggio standard, mentre l’ORR è risultato rispettivamente dell’83% contro 50%. L’aggiornamento dello studio, con un follow-up mediano di 47,2 mesi, ha anche dimostrato la superiorità significativa in termini di OS delle CAR-T utilizzate in seconda linea rispetto al trattamento di confronto.
L’informazione forse più importante che emerge dalle analisi dell’OS dello studio ZUMA-7, tuttavia, è che nonostante nel braccio di controllo la maggior parte dei pazienti (il 57%) abbia ricevuto le CAR-T in terza linea come trattamento di salvataggio, in questo gruppo gli outcome di sopravvivenza sono comunque risultati peggiori rispetto a quelli dei soggetti trattati con axi-cel in seconda linea. Un dato, questo, a conferma del fatto che candidare il paziente alle CAR-T in linee avanzate di malattia non consente di beneficiare appieno del vantaggio di sopravvivenza che questa terapia può offrire, e che è dunque meglio anticiparne l’uso già in seconda linea.
CAR-T disponibili anche per il linfoma mantellare
Da più di 2 anni le CAR-T (il prodotto è brexucabtagene autoleucel, o brexu-cel) sono disponibili in Italia anche per il trattamento dei pazienti con linfoma a cellule mantellari (o linfoma mantellare) recidivante o refrattario, già trattati due o più linee di terapia sistemica, tra cui un inibitore della tirosin chinasi di Bruton (BTK), e quindi dalla terza linea di trattamento in avanti. L’Aifa, infatti, ne ha autorizzato la rimborsabilità per questa indicazione nel marzo 2002, sulla base dei risultati dello studio ZUMA-2.
Anche per questi pazienti l’arrivo delle CAR-T ha rappresentato un traguardo fondamentale. «Solo un 15% di linfomi mantellari ha un atteggiamento indolente; nei restanti casi ci troviamo di fronte a una malattia aggressiva, per quale, quando fallisce la terapia di prima linea, in genere costituita da una chemioimmunoterapia che può essere intensificata in base all’età e alla fitness del paziente, l’unica chance seria di trattamento è rappresentata dagli inibitori di BTK, come ibrutinib. In caso di fallimento di questa ulteriore terapia e di una seconda recidiva, fino all’avvento delle CAR-T questi pazienti non avevano più nessuna opzione terapeutica valida a disposizione», ha spiegato Corradini.
Oltre il 40% dei pazienti vivo a 4 anni
«Ora abbiamo le CAR-T e i dati dei registri di tutto il mondo ci dicono che circa il 60 e il 70% dei pazienti va nuovamente in remissione completa dopo il trattamento con queste cellule ingegnerizzate». Inoltre, i dati aggiornati dello studio registrativo ZUMA-2 mostrano che più del 40% dei pazienti trattati con brexu-cel, tutti con malattia refrattaria agli inibitori di BTK, è ancora vivo e in remissione a 4 anni. Al congresso sono stati presentati anche i dati dello studio osservazionale della SIE sulle CAR-T relativi ai pazienti con pazienti con linfoma mantellare trattati con brexu-cel, che mostrano tassi di sopravvivenza libera da progressione (PFS) e di OS a un anno rispettivamente del 62% e 82%.
«Il problema del linfoma mantellare è che ha una biologia diversa dal linfoma diffuso a grandi cellule B e può recidivare anche dopo un periodo prolungato di mantenimento della remissione. Pertanto, nelle curve di sopravvivenza dei pazienti con linfoma mantellare trattati con le CAR-T finora non abbiamo visto gli stessi plateau osservati per il linfoma a grandi cellule B. Vogliamo sicuramente migliorare i risultati, dunque, ma se consideriamo che prima dell’arrivo delle CAR-T non avevamo nulla da offrire ai pazienti alla seconda recidiva, anche in questo caso possiamo parlare di una rivoluzione nel trattamento», ha rimarcato Corradini.
CAR-T ora utilizzabili anche per la leucemia linfoblastica dell’adulto
All’indicazione ottenuta dalle CAR-T brexu-cel in Italia per il trattamento del linfoma mantellare dalla terza linea in avanti si è aggiunta, nel dicembre scorso, anche quella per il paziente adulto (al di sopra dei 26 anni) con leucemia linfoblastica acuta a cellule B recidivante o refrattaria, basata sui risultati dello studio ZUMA-3. Questa indicazione, l’ultima in ordine di tempo ottenuta dalle CAR-T nel nostro Paese, va quindi ad affiancare quella ottenuta 5 anni fa dalle CAR-T tisa-cel per il trattamento della popolazione pediatrica con leucemia linfoblastica acuta recidivante/refrattaria.
«Così come per il paziente pediatrico, anche per il paziente adulto con leucemia linfoblastica acuta a cellule B che ha una malattia resistente o ricade dopo il trattamento, poter utilizzare le cellule CAR-T si sta rivelando un’opzione di straordinario valore, per la capacità di queste cellule di controllare malattie resistenti alla chemioterapia e di essere efficaci anche per i pazienti che ricadono dopo il trapianto allogenico, cambiando completamente lo scenario e offrendo loro una prospettiva di cura definitiva», ha detto Alessandro Rambaldi, Professore Ordinario di Ematologia dell’Università degli Studi di Milano e Direttore del Dipartimento di Oncologia ed Ematologia dell’Ospedale Papa Giovanni XXIII di Bergamo.