Al MAN di Nuoro quattro mostre da El Greco al contemporaneo


Autunno al Museo MAN di Nuoro: quattro nuove mostre, fra linguaggi sperimentali e maestri del passato, mondo naturale e Rinascimento

museo man

Per il ciclo “Essenze naturali” tre mostre personali per tre artisti che raccontano il mondo naturale attraverso punti di vista differenti: l’astrazione delle forme, la memoria della terra, il ciclo della materia.

Dopo il successo della mostra “Diorama. Generation Earth”, progetto inedito dedicato a temi di grande attualità come la crisi ambientale globale, il nostro rapporto con le altre specie viventi, il rispetto delle risorse, il museo MAN di Nuoro invita tre artisti a sviluppare una narrazione personale, condotta attraverso il filtro poetico dell’arte, del mondo naturale, delle sue metamorfosi, della sua resistenza sullo sfondo della transizione ecologica che sta animando il dibattito internazionale.

Christiane Löhr_Accumuli

a cura di Chiara Gatti con un testo critico di Bruno Corà

Architetture di natura. Cupole di semi e cattedrali di fili d’erba. L’artista tedesca, toscana d’adozione, presenta al MAN una ampia installazione che punteggia il piano nobile del museo di sculture leggere e impalpabili, un inno alla levità della natura e, insieme, alla sua complessità. Abilissime nell’issare sculture fatte di soffioni, steli, baccelli o crini di cavallo, le mani di Christiane Löhr issano nello spazio sottili strutture arboree, edificano paesaggi minimi. A nuove forme astratte per piccoli templi silvestri si aggiunge, per l’occasione, un omaggio alla Sardegna, che vede l’autrice presentare piccoli accumuli di chicchi o sementi, a evocare torri e costruzioni nuragiche. L’ispirazione naturale non diventa tuttavia, nella ricerca di Löhr, una testimonianza didascalica della vegetazione e delle sue specie. La sua riflessione sublima la materia in una dimensione di astrazione radicale e di forma assoluta, fatta di equilibrio e proporzione fra gli elementi, senso dello spazio e valore del vuoto. Il percorso della mostra conta anche una scelta di disegni su carta, realizzati con pastello a olio, grafite o inchiostro, frutto di un analogo processo scultoreo, in cui le fibre della carta sono sfregate e graffiate come materia plastica.

 

Christiane Löhr, (Wiesbaden, Germania, 1965) vive e lavora tra Prato e Colonia. Si laurea alla Kunstakademie di Düsseldorf con Jannis Kounellis (1994) con il quale poi completa un Master of Arts (1996). Ha esposto a Chaumont-sur-Loire, Haus am Waldsee, Museo e Real Bosco di Capodimonte, Museo San Fedele di Milano, Wuppertal, Kunsthaus Baselland, Muttenz, MART di Rovereto, Villa Panza, Varese, Centro Pecci, Prato. Nel 2001 ha preso parte alla 49° Biennale di Venezia curata da Harald Szeemann e nel 2016 è stata insignita del Premio Pino Pascali.

 

Una Szeemann_Scenafenomenica

a cura di Elisabetta Masala con un testo critico di Juliette Desorgues

 

Il magico e la mitologia, la tradizione classica e la cultura arcaica si mescolano nella ricerca dell’artista svizzera che sperimenta materiali dal valore fortemente espressivo in un racconto corale dalle sfumature epiche. Divinità della terra e della notte, simbologie arcane, proprietà benefiche delle piante e antiche sapienze botaniche permeano l’opera di Una Szeemann di mistero e, insieme, di memorie ataviche, mentre il sentimento selvatico dei boschi prende corpo in forme astratte ma potentemente evocative. Il progetto per il MAN si presenta connesso al territorio della Sardegna, alle sue asperità, alla leggenda delle Janas e alla persistenza archeologica nel paesaggio, laddove la natura stessa pare talora fossilizzarsi, mimetizzarsi con le pietre e con le creste del Supramonte.

 

Una Szeemann (Locarno, CH, 1975) vive e lavora a Zurigo e Tegna. Ha completato gli studi di recitazione a Milano. Le sue opere sono state esposte in numerose mostre internazionali, tra cui al Kunsthaus Zürich, alla Kunsthalle Winterthur, al Museo Cantonale d’Arte di Lugano, al Kunstmuseum Luzern, al Kunstverein Hamburg, al Belvedere 21 di Vienna, alla Biennale di Venezia, alla Biennale di Busan, alla Biennale di Lione e alla Manifesta 11 di Zurigo. Insegna presso istituti accademici come la Zürcher Hochschule der Künste (ZHdK), la Haute École d’Art et de Design di Ginevra (HEAD) e altre università.

 

Alessandro Biggio_Filira

a cura di Chiara Gatti con un testo critico di Caterina Riva

Il progetto inedito Filira presenta un ciclo nuovo di opere che l’artista cagliaritano in una mostra personale concepita come un unico lavoro, un ambiente totale dove tele e sculture sono connesse fra loro in una visione d’insieme organica ma unitaria. Noto per le sue ricerche sulla cenere generata dalla combustione delle essenze del suo giardino di Calasetta, quale strumento plastico per realizzare sculture dalla materia fragile, Biggio ha sperimentato in tempi recenti una forma di pittura usando il succo delle bacche di fillirea che spremute producono un colore ocra scuro, dalle sfumature violacee. Così, come il ciclo delle sue sculture di cenere, frutto di una riflessione autentica sul ciclo della vita e degli elementi, allo stesso modo la pittura trascrive impronte di natura, nella sua metamorfosi e consunzione. Sullo sfondo, aleggia la citazione di un mito greco. Filira, ninfa figlia di Oceano e di Teti, era amata da Cronos cui tentò di sfuggire mutandosi in giumenta. Ma Cronos, trasformandosi in stallone la raggiunse e si unì a lei. Filira diede alla luce un figlio, una creatura ibrida, il centauro Chirone. Sconvolta alla vista del figlio, chiese a Zeus di essere trasformata in un arbusto che prenderà il suo nome, fillirea. Con l’estratto delle bacche di questa pianta, Biggio traccia sulla tela vestigia di una vegetazione effimera.

 

Alessandro Biggio (Cagliari, 1975), vive e lavora fra Cagliari e Calasetta. Laureato in economia, si dedica oggi alla ricerca estetica. Nella sua pratica artistica, il processo di esplorazione e sperimentazione sulla materia riveste un ruolo fondamentale. Le sue sculture, installazioni e monotipi sono sempre frutto di stratificazioni di gesti e di fasi il cui risultato finale rappresenta un possibile momento di equilibrio, tra governo e perdita di controllo del processo, tra disfacimento e forma. Ha partecipato a mostre personali e collettive in spazi pubblici e privati tra cui: Biennale d’arte contemporanea Gherdëina, Museo MAN Nuoro, Museo Marino Marini Firenze, Gallerie d’Arte Moderna e Contemporanea di Cagliari, Galerie Stadtpark Krems, Galleria Michela Rizzo Venezia, CLER Milano, Fondazione Bartoli-Felter Cagliari. Nel 2020 è tra gli assegnatari del Pollock-Krasner Foundation Grant.

 

EL GRECO

Dialogo tra due capolavori

In collaborazione con: Accademia Nazionale di San Luca, Roma. Presidente Marco Tirelli, Segretario Generale Claudio Strinati.

Musei Civici di Reggio Emilia.

 

Dopo il successo della mostra dello scorso anno dedicata al dialogo ideale fra Giotto e Lucio Fontana nel segno dell’oro e della sua simbologia quale luogo del sacro e dell’infinito, il museo MAN propone, per Natale 2024, un nuovo progetto inedito dedicato al dialogo fra due capolavori di El Greco, al secolo Domínikos Theotokópoulos (1541-1614), celebre maestro del Siglo de Oro, il secolo dell’oro spagnolo, noto per l’esasperazione delle sue forme allungate nello spazio, i toni luminescenti del colore, il forte ritmo delle linee e del gesto sulla tela. Definito il “Delacroix del Rinascimento”, “il Nabi delle belle icone”, amato da Cézanne e da Picasso che dichiarava il suo debito ripetendo «Yo soy El Greco!», El Greco è uno fra i massimi rappresentanti della pittura europea del tardo rinascimento. Nato a Creta nella prima metà del Cinquecento, all’epoca parte della Repubblica di Venezia, si trasferì in Laguna nel 1567. Alla ricerca di un nuovo modo di dipingere, di una dimensione dinamica, che si allontanasse dall’universo bidimensionale, astratto e immobile della tradizione d’oriente, operò nella bottega dell’anziano Tiziano, da cui imparò l’uso espressivo del colore, violento, totale, pastoso, luminoso, spirituale. A Venezia rimase folgorato dal senso del movimento e dall’utilizzo drammatico della luce di Tintoretto; da Jacopo Bassano apprese gli elementi formali della narrazione pittorica, l’uso della prospettiva e degli sfondi architettonici. Dopo un breve e burrascoso soggiorno a Roma, ospite del cardinale Alessandro Farnese, si trasferì a Toledo, col sogno di conquistare i favori del re Felipe II ed essere nominato pittore ufficiale della cattedrale. Onore che non ottenne, pur trovando nella città spagnola blasonate committenze che gli permisero di sviluppare il suo concitato linguaggio pittorico, fatto di bagliori improvvisi, torsioni audaci dei corpi liquidi, che conferiscono alle figure una acuta manifestazione dei loro sentimenti e dei moti dell’animo.

Il MAN, grazie a un accordo di collaborazione con l’Accademia Nazionale di San Luca a Roma, presenta per l’occasione il ritrovamento di un capolavoro di El Greco, L’Adorazione dei Magi, rimasta per secoli ignota alle cronache e restituita solo di recente alla paternità del genio cretese, complice un accurato restauro e una campagna di studi scientifici che ne hanno riportata alla luce la storia travagliata. Un film documentario, prodotto dal MAN e realizzato dal regista Stefano Conca Bonizzoni con gli interventi di Claudio Strinati, Fabrizio Biferali e Fabio Porzio, introduce la visita alla mostra che contempla altresì un secondo capolavoro, il Salvatore benedicente dei Musei Civici di Reggio Emilia, reduce dalla importante antologica del maestro al Palazzo Reale di Milano.