Personaggi impressi nella memoria collettiva degli anni ’50 nel nuovo libro di Valentina Meola “Una domenica particolare – Gli Immortali”
E’ una domenica particolare quella che vivono i protagonisti di una “fiaba antica” scritta dall’autrice Valentina Meola, nata a Napoli ma che vive a Villanova di Guidonia (in provincia di Roma), laureata in Medicina e Chirurgia, appassionata lettrice, dal 2007 direttore editoriale dell’Aletti editore. Una “domenica particolare” per lo sviluppo della trama, ma vissuta nella normalità di scene di vita che potrebbero accadere in ogni dove. In una piazza, nelle case, tra i profumi del basilico appena raccolto e dell’erba bagnata, dei peperoni imbottiti e delle melanzane fritte. E, soprattutto, da personaggi che diventano “immortali” perché sono artisti della vita, nella loro semplicità, nei loro gesti, nell’abbigliamento, nelle frasi spontanee e, a volte, ripetute, che rimangono impresse nella memoria. Sì, sono immortali perché vengono ricordati. Di generazione in generazione. Da nonno a nipote.
I personaggi del romanzo “Una domenica particolare – Gli Immortali”, scritto da Valentina Meola e pubblicato da Aletti editore, sono dei “tòpoi” letterali, quasi caricaturali, che ben descrivono determinate categorie di persone e che potrebbero ritrovarsi ovunque. E’ proprio questa la bellezza del piccolo borgo, nel caso dell’opera Rocca Mischina, incastonato tra mare e montagna: creare e custodire la memoria di anime, che verranno poi ricordate a prescindere dai luoghi in cui si vive, paesi o grandi città che siano.
«Il borgo – racconta l’autrice – è fonte d’ispirazione perché, con i suoi ritmi lenti e il suo silenzio, dà il tempo di ritrovare sé stessi. Il tempo di riflettere».
E’ un romanzo ricco di dettagli, dove i personaggi vengono descritti con cura, scritto con dovizia di particolari. Un racconto certosino, frutto di un grande lavoro di ricerca messo a punto con tecnica e padronanza, per consentire al lettore di immergersi, con tutti i sensi – come afferma la stessa Valentina – in quella realtà, seppur lontana. Di rivivere quegli anni ’50, quando la guerra è ormai solo un ricordo ma che ha lasciato segni indelebili. Di rivedersi seduti dal barbiere con il pennello in mano e il barattolo di sapone, di andare a messa la domenica mattina, fare la processione del Santo Patrono con l’abito buono e andare a giocare i numeri al Lotto. Una storia in cui si intrecciano ricchezza e povertà, dolore e passione, verità e bugie, realtà e fantasia, in una scrittura scorrevole, quasi una sceneggiatura. L’autrice rivela, infatti, che l’opera nasce come testo teatrale, impronta che si può cogliere nei dialoghi e negli espedienti narrativi utilizzati per rendere ancora più avvincente la trama e l’evolversi della storia.
«Questo libro – ne è convinta Valentina Meola – va letto due volte. La prima, in maniera quasi inconsapevole, la seconda in maniera critica, per coglierne i tanti dettagli».
Il libro conclude con un salto temporale, fino ai tempi moderni. Quando la piazza di Rocca Mischina è cambiata, non ci sono più gli stessi personaggi e alcune attività commerciali hanno chiuso le serrande. Ma ciò che non svanisce è il ricordo che rende gli uomini immortali. Così come li rende immortali la scrittura.
«Le anime di alcune persone che hanno vissuto in queste case, che hanno passeggiato sulle pietre di queste strade, non sono mai andate via. Sono ancora qui, nell’aria di questi vicoli. Le loro storie si raccontano anche dopo decenni e si arricchiscono di verità e di fantasie».