La vita nelle grandi praterie del Cile con “Torres dei Paine, Patagonia Selvaggia” su Rai 5. A seguire Giuseppe Sansonna racconta una città “fantascientifica” in “Udine, romanzo alieno”
All’estremità meridionale del Cile, il Parco Nazionale Torres Del Paine offre alcuni dei paesaggi più belli della Patagonia. Lo racconta il documentario in prima visione “Torres dei Paine, Patagonia Selvaggia”, in onda domenica 1° dicembre alle 21.15 su Rai 5.
Le sue vaste praterie, spazzate da venti freddi, ospitano popolazioni in costante crescita di puma, guanachi, volpi e condor, oggi minacciati dalla siccità, dagli incendi e dal bracconaggio. Alla periferia del parco, mentre alcuni allevatori si sono rivolti al turismo naturalistico e sono diventati protettori degli animali, altri continuano a uccidere i felini quando attaccano i loro animali. Di fronte a queste nuove sfide, scienziati e naturalisti stanno lottando per preservare l’ecosistema. Sostengono la coesistenza pacifica con la fauna selvatica in queste terre del sud dal fragile equilibrio.
A seguire, se Udine fosse un romanzo, forse sarebbe pura fantascienza, come se sotto la superficie composta della città ci fosse una galassia inattesa. Luigi Rapuzzi, futurista del luogo, ha visto gli alieni una sera d’estate, nei boschi in cui aveva fatto la Resistenza. E li ha resi protagonisti dei suoi racconti di fantascienza. Luoghi e personaggi raccontati dal doc in prima visione “Udine, romanzo alieno” di Giuseppe Sansonna, in onda domenica 1° dicembre alle 22.10 su Rai 5.
Boscolo e Rossetto sono pronipoti spirituali di Rapuzzi: sono un giovanissimo duo artistico che continua ad avvistare strane luci negli scantinati urbani, trasformandole in nuovi linguaggi, mentre la Cineteca del Friuli, amorosa custode del tempo, ridà vita digitale alle immagini, curandone le ferite. Così nel Castello di Udine sembra di intravedere ancora il tenente Carlo Emilio Gadda e di sentir esplodere la sua grande guerra di parole. Un’altra guerra, quella fredda, ha fatto di Udine una fortezza buzzatiana, eretta in attesa dei Tartari dell’Est. Ne parla lo scrittore Giorgio Olmoti, in un suo romanzo. I Tartari non sono mai arrivati. In compenso è sbarcato Zico, un marziano di Rio de Janeiro, diventato cometa eterna del cielo udinese. Detto anche il Galinho, perché da ragazzino, zampetta palla al piede, le gambe gracili come un galletto, nei campi di Rio. Poi cresce, e diventa la stella del Flamengo e del Brasile.
Ribattezzato il Pelè bianco, abbandona il suo trono al Maracanà per le nebbie friulane. Un paradosso che fa epoca, figlio di un’operazione finanziaria così ardita che la Figc pone il veto. Ma gli udinesi scendono in piazza: “o Zico o Austria” e non sembra un aut aut troppo ironico. Il fuoriclasse brasiliano ottiene via libera, Udine resta italiana, e Zico ritrova gli altri dèi del calcio mondiale, quasi tutti esuli in Serie A. Fulmineo quanto indimenticabile, segnato da traiettorie imperscrutabili, il suo passaggio a Udine è un altro capitolo di fantascienza. In senso opposto, hanno trasvolato l’Atlantico, come molti friulani, due bellissime “aliene” locali, Tina Modotti, fotografa e intellettuale, ed Elena Schiavo, calciatrice di caratura mondiale capitano della Nazionale Italiana nel primo Mondiale di calcio femminile della storia, nel 1971. Pioniere destinate a fare la loro rivoluzione in Messico, con gli occhi, con il cuore e con i piedi.
Nell’Udinese di metà anni ’80 c’era anche un ragazzone della provincia di Latina, Andrea Carnevale, uno che ci farà l’abitudine, a giocare con gli alieni. Quasi un friulano adottivo, che adesso gira il mondo, a caccia di talenti da portare all’Udinese. Ma il calcio, a Udine, è anche una voce, durata una stagione lunghissima. Nato a Udine nello stesso palazzo di Tina Modotti, Bruno Pizzul ha timbro e lessico da narratore manzoniano, capace di regalare con discrezione vocaboli preziosi ad un paese di calciofili. Quasi una consolazione metafisica, nei momenti di isteria e dolore collettivo. Come una sera di luglio, a Napoli, quando le notti magiche si dissolsero bruscamente, a undici metri dalla finale mondiale.
Peter e Silvia, cineasti e nomadi herzoghiani, invece, sono diventati stanziali qui. Arrivavano a cavallo da altri mondi, quelli che Danilo De Marco, un fotografo udinese, ha inglobato nel suo obiettivo senza limiti. Udine e dintorni sono un’area di transito, un confine mobile. In cui l’identità è solida e ricca. Ma aperta al mondo, forse persino all’universo. Come una base spaziale dell’avvenire.