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Interazione uomo-macchina: ricerca Inail indaga il comportamento involontario

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Interazione uomo-macchina: è possibile prevedere l’uso scorretto o il comportamento involontario? Le risposte in una ricerca Inail

Con l’avanzare della trasformazione digitale, l’interazione uomo-macchina è diventata un tema cruciale per la sicurezza sul lavoro. Il nuovo studio condotto dal DIT (Dipartimento innovazioni tecnologiche e sicurezza degli impianti, prodotti e insediamenti antropici) mette a fuoco come l’uso scorretto e i comportamenti involontari sono difficili da prevedere, ma una progettazione antropocentrica delle macchine e delle attrezzature di lavoro può ridurre la possibilità che si verifichino.

Una modificazione radicale del rapporto con la tecnologia. L’adozione crescente di tecnologie digitali nei processi produttivi comporta una complessa, per quanto inevitabile, interazione tra uomo e macchina. Gli strumenti sempre più sofisticati in uso al giorno d’oggi non sostituiscono del tutto l’operatore umano, ma lo affiancano definendo nuovi modelli di interazione. Tale collaborazione può generare un maggiore affaticamento mentale o sovraccarico cognitivo nei lavoratori, dando luogo a nuove condizioni di rischio. La ricerca suggerisce di progettare con un cambio di approccio, passando da un sistema macchinocentrico a uno che pone al centro la persona, il suo stato cognitivo e le sue condizioni di comfort. La normativa attuale richiede una valutazione dei rischi che tenga conto dell’“uso scorretto e del comportamento involontario” ma non fornisce sufficienti indicazioni per prevederli.

La previsione degli errori e il comfort cognitivo. La ricerca dell’Inail evidenzia che molti errori possono derivare da condizioni di disagio cognitivo dell’operatore. Quando il lavoratore si trova in uno stato di affaticamento o stress mentale, la probabilità di disattenzione aumenta e la sua performance decade. Progettare considerando ciò è fondamentale per ridurre il rischio di infortuni. Per garantire maggiore sicurezza, lo studio insiste su un cambio di paradigma: anziché intervenire a posteriori, occorre progettare un sistema di interazione con la macchina che favorisca la condizione di benessere cognitivo dell’operatore. Un approccio antropocentrico può migliorare sia la sicurezza che l’efficienza dell’interazione uomo-macchina.

Il quadro normativo in evoluzione e l’importanza della collaborazione. Sebbene la normativa europea, come la Direttiva Macchine 2006/42/CE e il Regolamento UE 2023/1230, disponga già la valutazione e la gestione di “uso scorretto o comportamento involontario”, la previsione di questi ultimi non solo non è pienamente codificata, ma è resa complessa dalle variabili del sistema. Lo studio pone l’attenzione sui limiti della capacità dell’individuo di elaborare informazioni e sui possibili meccanismi di “economia cognitiva” che influenzano i processi percettivi e attenzionali. Sono stati in proposito evidenziati gli stati cognitivi conseguenti come il “mind wandering” (la testa tra le nuvole), l’“effort withdrawal” (il ritiro dallo sforzo), “la perseveranza” (il perseverare in comportamenti non più adatti a un nuovo compito), “la cecità o sordità inattentiva” e la loro relazione con “i comportamenti involontari o uso ragionevolmente prevedibile” considerati dalla normativa tecnica. Nella realtà industriale contemporanea, suggerisce lo studio del DIT, una progettazione antropocentrica rappresenta una non trascurabile opportunità di miglioramento dei livelli di sicurezza nell’uso delle macchine e attrezzature di lavoro.

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