Melanoma avanzato: immunoterapia aumenta sopravvivenza


Nei pazienti affetti da melanoma avanzato, l’immunoterapia migliora la sopravvivenza a lungo termine, come dimostrato dai risultati aggiornati di due studi

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Nei pazienti affetti da melanoma avanzato, l’immunoterapia migliora la sopravvivenza a lungo termine, come dimostrato dai risultati aggiornati, con un follow-up arrivato ormai a 10 anni, di due ampi studi internazionali, il KEYNOTE-006 e il CheckMate 067, presentati all’ultimo congresso della European Society for Medical Oncology (ESMO), di Barcellona. Secondo quanto riferito dagli autori, in questi pazienti con malattia avanzata l’immunoterapia offre la possibilità di guarire coloro che rispondono a questo trattamento. Altri due studi molto importanti presentati al convegno, il KEYNOTE-522 e il NIAGARA, dimostrano la capacità dell’immunoterapia perioperatoria di prolungare la sopravvivenza nei pazienti con tumore al seno triplo negativo in fase iniziale e in quelli con tumore della vescica muscolo-invasivo.

«Il messaggio principale di tutti questi studi è che l’immunoterapia continua a mantenere la promessa e la speranza di una sopravvivenza a lungo termine per molti pazienti affetti da diverse tipologie di tumore», ha dichiarato Alessandra Curioni-Fontecedro, portavoce dell’ESMO e direttrice dell’oncologia dell’Ospedale di Friburgo, in Svizzera, non coinvolta negli studi sopra citati. «All’ESMO 2024 sono stati presentati molti studi in diversi tipi di tumore che dimostrano come l’immunoterapia possa funzionare per lungo tempo».

Lo studio CheckMate 067 
Lo studio CheckMate 067 (NCT01844505) è un trial di fase 3 in cui si è valutata la combinazione dell’anti PD-1 nivolumab e l’anti CTLA-4 ipilimumab contro ognuno dei due agenti in monoterapia in quasi 1000 pazienti con melanoma avanzato non trattati in precedenza. I risultati aggiornati presentati a Barcellona mostrano che la combinazione nivolumab-ipilimumab continua a mantenere un beneficio di sopravvivenza a lungo termine in questi pazienti con melanoma avanzato. Dopo un follow-up di almeno 10 anni, la sopravvivenza globale (OS) mediana osservata con la combinazione è stata di 71,9 mesi (circa 6 anni) e pochissimi dei pazienti che avevano mostrato una buona risposta iniziale con l’anti-PD-1, senza andare in progressione per almeno 3 anni, risultavano morti a causa del melanoma a 10 anni (tasso di sopravvivenza specifica per melanoma a 10 anni del 96%).

I risultati dello studio, che sono stati pubblicati contemporaneamente sul New England Journal of Medicine, «confermano il potenziale di cura con l’immunoterapia nei pazienti con melanoma avanzato», ha dichiarato Marco Donia, del Copenhagen University Hospital Herlev, altro esperto non coinvolto nello studio. «Per i pazienti che dopo i 3 anni non mostrano progressione della malattia, questi risultati a lungo termine stanno ad indicare che la maggior parte di loro non va mai in progressione. In questo gruppo di pazienti la sopravvivenza specifica per il melanoma è molto alta».

Lo studio KEYNOTE-006 
L’efficacia a lungo termine dell’immunoterapia è confermata anche dai risultati dello studio di fase 3 KEYNOTE-006 (NCT01866319), anche in questo caso aggiornati con un follow-up a 10 anni. In questo studio si è confrontato l’anti-PD-1 pembrolizumab in monoterapia con ipilimumab in monoterapia in pazienti con melanoma in stadio III o IV non resecabile, dimostrando la superiorità del primo immunoterapico rispetto al secondo, con tassi di OS a 10 anni rispettivamente del 34% contro 23,6%.

Secondo gli autori dello studio, questi risultati confermano che pembrolizumab fornisce un beneficio di sopravvivenza a lungo termine per i pazienti con melanoma avanzato e supportano il suo ruolo come standard di cura in questo setting.

È importante notare che il beneficio di sopravvivenza a lungo termine dell’immunoterapia si riscontra anche nella pratica clinica di routine, al di fuori degli studi clinici», ha sottolineato Donia. «L’immunoterapia ha trasformato il melanoma avanzato da malattia che in precedenza era letale, con una sopravvivenza mediana inferiore a un anno, a quello che vediamo oggi, con la metà dei pazienti che sopravvive per molti anni».

Secondo l’esperto, ciò solleva anche questioni pratiche su come seguire al meglio questi pazienti, tra cui la necessità o meno di eseguire controlli nel lungo termine. «Inoltre, questi risultati a lungo termine forniscono evidenze sul diritto all’oblio di questi ex pazienti oncologici che non hanno avuto recidive dopo 5 anni dalla fine del trattamento, affinché non subiscano discriminazioni rispetto alla popolazione generale quando chiedono un prestito».

Lo studio KEYNOTE-522
I miglioramenti significativi della sopravvivenza sono stati osservati anche in pazienti affetti da carcinoma mammario triplo negativo in fase iniziale trattati con l’immunoterapia, nello studio KEYNOTE-522 (NCT03036488), un trial di fase 3, randomizzato, in doppio cieco, controllato con placebo, disegnato per valutare l’efficacia di pembrolizumab perioperatorio, somministrato cioè in aggiunta alla chemioterapia neoadiuvante prima dell’intervento e successivamente anche come trattamento adiuvante, in questa popolazione di pazienti.

Il tumore al seno triplo negativo è particolarmente difficile da trattare, perché non presenta né i recettori per gli estrogeni o il progesterone né livelli elevati di HER2, quindi non risponde ai trattamenti comunemente utilizzati, diretti contro questi bersagli.

I risultati dello studio KEYNOTE-522, anch’essi pubblicati in contemporanea sul New England Journal of Medicine, hanno mostrato un miglioramento statisticamente e clinicamente significativo dell’OS nel braccio trattato con pembrolizumab perioperatorio. In questi pazienti, il tasso di OS a 5 anni è risultato quasi dell’87%, contro 81% nel braccio di controllo, trattato con la sola chemioterapia neoadiuvante.

«Questo studio dimostra i miglioramenti ottenuti con l’immunoterapia nei pazienti che presentano il sottotipo più aggressivo di tumore al seno, ai quali in precedenza potevamo offrire solo la chemioterapia», ha affermato Curioni-Fontecedro. «Pensavamo che il tumore al seno potesse non essere sensibile alla sola immunoterapia, ma si è visto che somministrarla in combinazione con la chemioterapia prima dell’intervento chirurgico, e poi da sola come trattamento adiuvante, migliora la sopravvivenza globale in molti pazienti. Questo risultato suggerisce che la combinazione di trattamenti possa portare a una sensibilizzazione del tumore della mammella triplo negativo all’immunoterapia».

Lo studio NIAGARA
Infine, l’immunoterapia perioperatoria, in aggiunta alle chemio neoadiuvante, ha dimostrato di produrre un miglioramento dell’OS rispetto alla sola chemio neoadiuvante anche in un trial su pazienti con tumore della vescica muscolo-invasivo, lo studio di fase 3 NIAGARA (NCT03732677), pubblicato anche questo sul New England Journal of Medicine in concomitanza con la presentazione all’ESMO. In questo studio, i pazienti sono stati assegnati in modo casuale al trattamento con l’immunoterapico durvalumab più la chemioterapia prima della cistectomia radicale, seguita da un trattamento adiuvante con durvalumab, oppure alla sola chemioterapia prima dell’intervento.

L’aggiunta di durvalumab perioperatorio alla chemioterapia neoadiuvante ha prodotto un miglioramento statisticamente significativo e clinicamente rilevante sia della sopravvivenza libera da eventi (EFS) e dell’OS rispetto alla sola chemioterapia neoadiuvante nella popolazione studiata, con una riduzione del rischio di eventi e del rischio di morte rispettivamente del 32% (HR 0,68; IC al 95% 0,56-0,82; P < 0,001) e 25% (HR 0,75; IC al 95% 0,59-0,93; P = 0,0106). Degna di nota l’osservazione che il trattamento immunoterapico prima dell’intervento chirurgico non ha compromesso la possibilità di eseguire la cistectomia radicale, che è stata completata nell’88% dei pazienti del braccio sperimentale e nell’83% dei controlli.

Il futuro è nell’immunoterapia, ma da chiarire i meccanismi di resistenza
Guardando al futuro della ricerca sull’immunoterapia, Curioni-Fontecedro ha detto che vi sono ancora ancora alcune domande importanti che non trovano risposta. «La prima è capire perché in alcuni pazienti i tumori si ripresentano, nonostante la risposta iniziale all’immunoterapia. Non abbiamo ancora capito in che modo si sviluppa una resistenza all’immunoterapia in alcuni pazienti. Dobbiamo capire cosa succede in questi pazienti, quali sono i meccanismi di resistenza e come possiamo superarli».

L’esperta ha anche dichiarato che per affrontare efficacemente il problema della resistenza all’immunoterapia è fondamentale la collaborazione tra clinici e aziende farmaceutiche. «Fintato che il problema della resistenza sarà studiato in modo isolato, esaminando i singoli agenti immunoterapici, non sarà sufficiente. Dovremmo unire le nostre forze per migliorare la comprensione di questo fenomeno e poter offrire trattamenti migliori per il futuro», ha concluso Curioni-Fontecedro.

Bibliografia
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