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Crohn: guselkumab efficace anche con precedente uso di biologici

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Malattia di Crohn da moderatamente a gravemente attiva: guselkumab si è dimostrato più efficace del placebo a prescindere da una precedente esposizione alla terapia biologica

Nei pazienti con malattia di Crohn da moderatamente a gravemente attiva guselkumab si è dimostrato più efficace del placebo a prescindere da una precedente esposizione alla terapia biologica, secondo un’analisi aggregata dei due studi di fase III in doppio cieco GALAXI 2 e 3 presentata al meeting United European Gastroenterology (UEG) Week 2024.

Questi dati recenti si aggiungono ai risultati primari dei due studi riportati all’inizio di quest’anno, nei quali guselkumab si è dimostrato superiore sia al placebo che a ustekinumab nella stessa popolazione di pazienti con malattia di Crohn da moderata a grave.

Guselkumab agisce bloccando l’interleuchina (IL)-23 attraverso l’inibizione della subunità IL-23p19 e legandosi al CD64, un recettore sulle cellule che producono IL-23. Il farmaco è attualmente in fase di revisione da parte della Fda per il trattamento della malattia di Crohn da moderatamente a gravemente attiva e lo scorso settembre è stato approvato per l’uso nella colite ulcerosa da moderata a grave.

Analisi dei dati aggregati dei trial GALAXI 2 e 3
Nei due studi GALAXI 2 e 3, con disegno identico, i pazienti sono stati randomizzati a ricevere nella fase di induzione guselkumab 200 mg per via endovenosa alle settimane 0, 4 e 8, seguita nella fase di mantenimento da guselkumab 200 mg per via sottocutanea ogni 4 settimane a partire dalla settimana 12, oppure guselkumab 100 mg per via sottocutanea ogni 8 settimane a partire dalla settimana 16, oppure ustekinumab o placebo.

Ai partecipanti è stato richiesto di continuare il trattamento assegnato alla randomizzazione nel corso di uno studio di estensione a lungo termine (fino a 5 anni) per la valutazione degli esiti clinici, endoscopici e della sicurezza, a eccezione dei soggetti sottoposti al placebo, ai quali è stato consentito di passare a ustekinumab in caso di mancato raggiungimento della risposta clinica alla settimana 12.

I criteri di inclusione comprendevano un punteggio nel Crohn’s Disease Activity Index compreso tra 220 e 450, una frequenza media giornaliera delle feci >3 o un punteggio del dolore addominale >1 e un punteggio endoscopico semplice per il CD score ≥6. I partecipanti dovevano inoltre aver mostrato una risposta inadeguata o un’intolleranza a corticosteroidi orali, 6-mercaptopurina/azatioprina/metotrexato o terapie biologiche.

Il set di dati raggruppato includeva pazienti sottoposti a entrambe le dosi di guselkumab e pazienti trattati con placebo (730 in totale). Di questi, il 52% aveva mostrato una precedente risposta inadeguata a un agente biologico, il 42% era naïve ai biologici e il 6% era stato precedentemente esposto ai biologici ma senza fallimenti terapeutici documentati. I soggetti trattati con ustekinumab non sono stati inclusi in questa analisi.

Quasi tutti i partecipanti (97%) nel gruppo con risposta inadeguata ai biologici avevano precedentemente ricevuto almeno un agente anti-TNF e circa il 15% aveva ricevuto vedolizumab. Come previsto, i responder inadeguati ai biologici erano molto più malati dei pazienti naïve ai biologici, ha riferito il relatore Bruce Sands, gastroenterologo della Icahn School of Medicine presso il Mount Sinai di New York City.

Gli endpoint co-primari compositi per ciascun regime di guselkumab rispetto al placebo erano la risposta clinica alla settimana 12 più remissione clinica alla settimana 48 e la risposta clinica alla settimana 12 più risposta endoscopica alla settimana 48. I principali endpoint secondari comprendevano la remissione clinica alla settimana 12 e la risposta endoscopica sempre alla settimana 12.

Raggiunti gli endpoint a breve e lungo termine in entrambi i sottogruppi
Nel sottogruppo naïve ai biologici, il 54,7% dei pazienti che ricevevano il regime di dosaggio da 200 mg di guselkumab e il 51,7% di quelli che ricevevano il regime di dosaggio da 100 mg hanno mostrato una risposta clinica alla settimana 12 più remissione clinica alla settimana 48, rispetto all’11,5% nel gruppo placebo (P<0,001 per entrambi rispetto al placebo).

Nel gruppo con risposta inadeguata ai biologici, il 49,7% di quanti avevano ricevuto il regime di dosaggio da 200 mg di guselkumab e il 45,8% di coloro che hanno ricevuto il regime di dosaggio da 100 mg hanno raggiunto l’endpoint composito, rispetto al 12,8% del gruppo placebo (P<0,001 per entrambi rispetto al placebo).

«Si può osservare una leggera diminuzione della risposta nei responder inadeguati ai biologici, ma nel complesso gli intervalli di confidenza sono altamente sovrapposti» ha affermato il relatore.

Riguardo ai principali endpoint secondari alla settimana 12, la remissione clinica è stata raggiunta dal 49,6% del gruppo naïve ai biologici con il regime di guselkumab da 200 mg contro il 16,4% del gruppo placebo e dal 46,0% del gruppo con risposta inadeguata ai biologici con il regime di 200 mg contro il 19,2% del gruppo placebo (P<0,001 per entrambi i sottogruppi). La risposta endoscopica è stata ottenuta dal 46,3% dei soggetti naïve e dal 29,0% di quelli con risposta inadeguata ai biologici con il regime da 200 mg in confronto rispettivamente al 18,0% e al 6,4% del gruppo placebo (P<0,001 per entrambi i sottogruppi).

Come riferito da Sands, il farmaco ha mostrato un profilo di sicurezza eccellente. «Questi dati mostrano che guselkumab funziona tanto nei pazienti naïve che hanno fallito le terapie convenzionali quanto in quelli che hanno fallito le terapie biologiche, quindi potrebbe essere utilizzato come biologico di prima o seconda linea» ha aggiunto.

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