Fegato grasso: gli Epatologi Ospedalieri lanciano l’allarme


Fegato grasso, allarme degli Epatologi Ospedalieri: ne soffre il 25% degli italiani. Il 15% di chi ha obesità o diabete rischia cirrosi o tumore del fegato

nash tumore del fegato resmetirom

Aumentano diagnosi e ricoveri legati a patologie dismetaboliche del fegato. In Italia, circa un italiano su quattro soffre di fegato grasso. Il rischio di danno epatico grave è particolarmente elevato per chi è affetto da obesità o diabete. Tra questi, fino al 15% sviluppa complicanze come cirrosi o epatocarcinoma. Numeri in prospettiva particolarmente preoccupanti: la stima è che da qui a dieci anni vi possa essere un incremento significativo dei casi di cirrosi e di epatocarcinoma. Già oggi, ogni anno in Italia vi sono 20mila decessi per malattie croniche del fegato. Studi recenti in proposito sono stati presentati nel XVI Convegno Nazionale del Club Epatologi Ospedalieri – CLEO, organizzato da Strategie srl.

IL 15% DI CHI HA OBESITÀ E DIABETE A RISCHIO CIRROSI E TUMORE DEL FEGATO – La malattia dismetabolica del fegato si lega a fattori di rischio come l’obesità, una scorretta alimentazione, patologie come il diabete, alterazioni dei valori di trigliceridi o di colesterolo; in alcuni casi si considera anche la predisposizione genetica. Questi fattori possono determinare una steatosi epatica e successivamente una steatoepatite, ossia una steatosi associata a un’infiammazione del fegato persistente favorita dallo stesso accumulo di grasso nel fegato, che può poi portare a una cirrosi epatica e infine a tumore del fegato.

“Cambia l’epidemiologia, ma non è una buona notizia per il fegato – sottolinea Rodolfo Sacco, Presidente CLEO e Direttore Struttura Complessa di Gastroenterologia e Endoscopia Digestiva dell’Azienda Ospedaliera Universitaria Policlinico di Foggia – Oggi a dominare la scena epatologica, a fronte di una riduzione della prevalenza delle infezioni virali grazie a vaccini e trattamenti, vi è un incremento delle epatopatie dismetaboliche legate all’obesità, al diabete mellito, agli stili di vita sbagliati, al consumo di alcol. Questi fattori di rischio possono favorire un infarcimento di grasso del fegato, innescando meccanismi che portano fino alla cirrosi epatica e all’epatocarcinoma. Questa patologia è oggi definita con l’acronimo inglese MASLD – Metabolic Dysfunction–Associated Steatotic Liver Disease, spesso semplicemente più nota come fegato grasso. Gli studi che presenteremo al Convegno CLEO riportano in Italia una prevalenza stimata di fegato grasso di circa il 25%, arrivando al 50% nelle popolazioni più a rischio. Il danno epatico significativo ha una prevalenza del 2% tra coloro che hanno il fegato grasso, mentre arriva al 15% nei pazienti a rischio. È una vera e propria patologia sistemica, poiché il paziente spesso soffre anche di obesità, diabete, ipertensione, comorbidità che favoriscono l’insorgere anche di patologie come apnee notturne, insufficienza renale cronica, malattie cardiovascolari, la sindrome da ovaio policistico nelle donne. La malattia da fegato grasso si instaura quindi nell’ambito di un quadro di patologie sistemiche che hanno come comune denominatore la sindrome metabolica. Nell’ambito del fegato grasso per l’instaurarsi sequenziale di processi infiammatori può verificarsi l’evoluzione verso la cirrosi e l’epatocarcinoma”.

IL VADEMECUM PROPOSTO DAGLI EPATOLOGI OSPEDALIERI – L’alimentazione e lo stile di vita rappresentano i cardini da cui partire per scongiurare l’evolversi di patologie dismetaboliche, ma non l’unico elemento da preservare. “Anzitutto, si deve partire da un’alimentazione corretta, possibilmente ispirata dalla dieta mediterranea – spiega Rodolfo Sacco – In secondo luogo, si deve combattere la sedentarietà con un’attività fisica continuativa. Si devono evitare fumo e alcol. La prevenzione, inoltre, deve essere sistematica e partire sin dalla scuola primaria, dove devono essere strutturati programmi educativi, ore di educazioni fisica, pasti sani. Lanciamo poi un appello a chi abbia familiarità con l’obesità o con queste patologie, invitando a effettuare controlli periodici della pressione arteriosa, degli indici glicemici, dei valori lipidici. Infine, giunge in aiuto la farmacologia: nuove molecole, soprattutto per il diabete ma anche per l’obesità, permettono di rallentare l’evoluzione dell’epatopatia verso la cirrosi e l’epatocarcinoma”.