Infezione da Clostridioides difficile, con vedolizumab meno rischi rispetto agli anti-TNF


Nei pazienti con colite ulcerosa vedolizumab sembra offrire un vantaggio rispetto agli agenti anti-TNF riguardo al rischio di infezione da Clostridioides difficile

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Nei pazienti con colite ulcerosa, ma non con malattia di Crohn, il trattamento con vedolizumab sembra offrire un vantaggio rispetto agli agenti anti-TNF riguardo al rischio di infezione da Clostridioides difficile, secondo le conclusioni di una metanalisi pubblicata sulla rivista BMC Gastroenterology.

Le malattie infiammatorie intestinali (IBD), che comprendono la colite ulcerosa e la malattia di Crohn, sono un gruppo di disturbi caratterizzati da infiammazione cronica, recidivante e remittente o progressiva lungo il tratto gastrointestinale. Queste patologie possono portare a danni strutturali intestinali, perdita di funzionalità, disabilità e aumentare il potenziale di ospedalizzazione e intervento chirurgico.

L’avvento dei farmaci biologici ha notevolmente migliorato la prognosi per i pazienti affetti da IBD da moderata a grave e il loro impiego è stato ampiamente raccomandato nelle linee guida cliniche, tuttavia la natura immunosoppressiva di queste molecole solleva anche alcune preoccupazioni sulla sicurezza, in particolare per quanto riguarda le neoplasie e il rischio di infezioni.

Vedolizumab, un anticorpo monoclonale che si lega all’integrina α4β7 espressa sui linfociti T attivati ​​intestinali e che ne blocca l’interazione con la molecola MAdCAM-1, è considerato un agente immunosoppressivo specifico dell’intestino che offre vantaggi di sicurezza unici rispetto ad altri biologici. Sulla base dei dati di sicurezza degli studi di fase III, vedolizumab ha mostrato un aumento del rischio di infezioni gastrointestinali rispetto al placebo e un rischio di infezioni gastrointestinali gravi simile a quello degli anti-TNF, anche i suoi effetti sulle infezioni opportunistiche gastrointestinali rispetto ad altri farmaci rimangono poco chiari.

L’infezione da Clostridioides difficile (CDI) è la causa principale di infezioni gastrointestinali e infezioni opportunistiche nei pazienti con IBD, che hanno un rischio di CDI otto volte superiore rispetto ai pazienti senza IBD, con un tasso di infezione nel corso della vita intorno al 10%. Attualmente, dati limitati suggeriscono che vedolizumab non aumenta il rischio di CDI nei pazienti con colite ulcerosa, tuttavia a causa della mancanza di un gruppo di controllo l’applicabilità di questa conclusione rimane incerta. Inoltre non è stato analizzato il rischio nei pazienti con malattia di Crohn, quindi obiettivo del presente studio era raccogliere le evidenze e condurre una metanalisi sull’incidenza di CDI nei pazienti con IBD trattati con vedolizumab, effettuando anche confronti con altri interventi farmaceutici.

Meno rischi di CDI con vedolizumab rispetto agli anti-TNF
La revisione sistematica della letteratura, con un follow-up medio di 1,48 anni, ha rilevato proporzioni di rischio di CDI aggregate di 0,013 per tutti i pazienti con IBD, di 0,012 per quelli con colite ulcerosa e di 0,007 con malattia di Crohn.

L’incidenza aggregata era di 1,27 per 100 anni-persona per tutti i pazienti con IBD e 0,56 per 100 anni-persona per colite ulcerosa, ma non erano disponibili i dati dettagliati per la malattia di Crohn. Per la CDI grave, la proporzione aggregata era di 0,004 e l’incidenza aggregata era di 0,59 per 100 anni-persona. «Sulla base dei nostri risultati e di un confronto indiretto con la letteratura precedente, vedolizumab rispetto ad altri trattamenti non sembra presentare un rischio aggiuntivo di CDI e potrebbe persino fungere da fattore protettivo contro le infezioni gravi» hanno scritto i ricercatori.

La metanalisi dei dati di sicurezza di sei studi RCT che coinvolgevano vedolizumab ha mostrato che il tasso di incidenza di CDI aggiustato per l’esposizione tra i pazienti trattati con vedolizumab era pari a 0,7 per 100 anni-persona, in contrasto con lo 0,0 per 100 anni-persona tra quelli trattati con placebo. «Tuttavia la generalizzabilità di questo risultato è messa in discussione dall’incidenza significativamente inferiore di CDI nel gruppo placebo rispetto alla popolazione più ampia di pazienti con IBD» hanno aggiunto.

Conducendo una metanalisi per confrontare il rischio di CDI tra vedolizumab e altri trattamenti, non sono emerse differenze significative nel rischio di infezione rispetto a inibitori del TNF, 5-ASA o steroidi. «Tuttavia nel sottogruppo con colite ulcerosa vedolizumab è stato associato a un rischio di CDI inferiore rispetto agli inibitori del TNF (RR = 0,15)» hanno continuato.

In conclusione, il rischio di CDI durante la terapia con vedolizumab nei soggetti con IBD richiede attenzione. I pazienti con colite ulcerosa trattati con vedolizumab hanno mostrato un rischio di infezione più elevato rispetto ai pazienti con malattia di Crohn. «In termini di rischio di CDI vedolizumab offre potenzialmente un vantaggio rispetto agli anti-TNF per la colite ulcerosa ma non per la malattia di Crohn, mentre non vi sono al momento evidenze sufficienti per dimostrare una superiorità o inferiorità del farmaco rispetto ad altri trattamenti, come corticosteroidi e 5-ASA» hanno sintetizzato gli autori.

Referenze

Chen W et al. Risk of Clostridioides difficile infection in inflammatory bowel disease patients undergoing vedolizumab treatment: a systematic review and meta-analysis. BMC Gastroenterol. 2024 Oct 24;24(1):377. 

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