Lo scrittore Cognetti racconta l’incubo della depressione


Paolo Cognetti, scrittore e regista che nel 2017 ha vinto il Premio Strega, soffre di una “grave depressione sfociata in una sindrome bipolare con fasi maniacali”

Paolo Cognetti. Sogni di Grande Nord

Paolo Cognetti è stato dimesso martedì dall’ospedale Fatebenefratelli di Milano, dove era ricoverato per un Tso. Lo scrittore e regista che nel 2017 ha vinto il Premio Strega nel 2017 con “Le otto montagne” soffre di una “grave depressione sfociata in una sindrome bipolare con fasi maniacali”. Lo racconta lui stesso a Repubblica “per dire pubblicamente che le malattie nervose non devono più essere una vergogna da nascondere”.

Cognetti ha passato le ultime due settimane in psichiatria. “In primavera e d’estate, senza un apparente perché, sono stato morso dalla depressione. Nelle scorse settimane invece, sceso dal mio rifugio sul Monte Rosa, ero in una fase bella e creativa. Un giorno mi sono accorto che il mio pensiero e il mio linguaggio acceleravano. Gli amici mi hanno fatto notare che facevo cose strane. Il 4 dicembre il medico ha disposto il trattamento sanitario obbligatorio”.

Dice di aver inviato ad amici foto di sé stesso nudo, e regalava soldi. “Nelle fasi maniacali si può perdere il senso del pudore, o quello del denaro. Si sono allarmati tutti: c’era il timore, per me infondato, che potessi compiere gesti estremi, o che diventassi pericoloso per gli altri”.  “Non avevo alternative. Mi sono ritrovato sotto casa un’auto della polizia e un’ambulanza. Sono stato sedato: da inizio dicembre, causa farmaci, non ho fatto che dormire”.

“Per imparare quasi a scrivere ho impiegato quarant’anni. Dopo il successo con Le otto montagne , una storia urgente e necessaria, mi sono chiesto e adesso cosa faccio? Non ho trovato una risposta convincente. Forse ho temuto che il mio massimo editoriale, con il Premio Strega, fosse stato toccato: la popolarità è spietata e ha un prezzo significativo”.

“Mi sono innamorato di una donna e per lei, dopo dodici anni, ho lasciato la mia compagna. Per non abbandonare chi mi è stata vicina a lungo, ho chiuso anche la nuova relazione. Non si deve mai rinunciare all’amore, che non ritorna”.

Si è tinto i capelli di rosso: “Trovo insopportabili le persone che raccontano un sacco di balle. Depressione e disagio psichico sono un fiume carsico in piena, negato e ignorato per accreditare l’idillio di una società felice. Siamo obbligati ad apparire sani, forti e colmi di gioia. Io però sono uno scrittore: per me è tempo di alzare il velo della colpa che nasconde il dolore. Voglio dire semplicemente la verità, a costo di essere sfrontato”.

“Resto un anarchico, ma in ospedale ai medici devi obbedire. Ti svegliano alle sei di mattina e ti obbligano a bere subito due bicchieroni di tranquillanti. Sei vivo, ma è come se fossi morto. Avrei cercato di guarire risalendo piuttosto in montagna, o partendo per un viaggio. Dal reparto psichiatrico di un ospedale esci solo se dici e se fai esattamente ciò che chi ti cura si aspetta“.

Dice che ha provato a vivere in alta quota, ma non ci è riuscito: “Mi sono illuso di poterlo fare. L’innamoramento è durato quattro anni: per due ho fatto il cameriere e mi sono sentito parte di una comunità. Poi, dopo che ho cominciato a camminare e a scrivere, l’umanità della montagna mi ha respinto”.

“Già un anno fa mi sono scoperto depresso. Per me un bosco è tornato solo un bosco, un torrente solo un torrente, perfino un albero non mi ha detto più niente. Nel cuore è sceso il silenzio: la malattia è riuscire a vedere solo il lato apparente della realtà“.