Stasera su Rai 5 “Paradisi da salvare” con le isole Bijagos e a seguire tra acque, tessuti e teatri con “La valle Bisenzio e Prato”
In Guinea-Bissau, a pochi chilometri dalle coste, c’è l’arcipelago delle Bijagos. Ottantotto isole in gran parte selvagge, dove un mosaico di ambienti e la scarsa presenza dell’uomo fanno da roccaforte per molte specie animali. Alcune delle quali considerate vulnerabili, come gli ippopotami, che solo qui vivono in acqua salata. Durante il giorno si rinfrescano in paludi salmastre, mentre di notte vanno in mare a liberarsi dai parassiti, pascolando sulle rive alla ricerca di vegetali e qualche frutto. È proprio l’incessante andirivieni di questi colossi a impedire l’insabbiamento dei fondali, preservando così questo biotopo straordinario. Lo racconta il doc “Le Isole Bijagos”, della serie “Paradisi da salvare”, in onda domenica 29 dicembre alle 21.15 su Rai 5.
L’assenza di predatori rende l’arcipelago un’oasi di pace, ideale per la riproduzione. È il caso di un’altra specie a rischio, la tartaruga verde, che vive sull’Isola di Poilao, una piccola roccia di due chilometri quadrati, completamente disabitata. È qui che vengono a deporre le uova, dopo lunghe odissee nell’Oceano Atlantico. Poilao si conferma fra le più grandi colonie di tartarughe verdi al mondo. Un luogo unico dove in una sera si possono contare addirittura 2000 esemplari. Ritenuta sacra dagli abitanti dell’arcipelago e accessibile solamente agli iniziati nel corso di riti e cerimonie, quest’isoletta è completamente disabitata.
Il popolo Bijago ha un profondo rispetto per l’ambiente, che considera la casa degli dèi. Per questo si impegna a non sfruttare il territorio. Sull’Isola di Formosa, ad esempio, le donne raccolgono le vongole. I crostacei sono la principale fonte di proteine per i villaggi costieri, ma quando il loro numero diminuisce, la raccolta viene sospesa, per consentire alle colonie di ripopolarsi. Purtroppo, questo splendido paradiso è oggi minacciato dall’erosione del mare, tenuta a bada solamente dalle fitte foreste di mangrovie che crescono su gran parte delle coste. C’è poi il problema dell’inquinamento da microplastiche che avvelena la catena alimentare e, non ultima, la pesca illegale.
Fortunatamente, l’istituzione di aree protette e la partecipazione attiva delle comunità nella tutela degli ecosistemi, sta dando ottimi frutti. La speranza è quella che l’arcipelago delle Bijagos sia un giorno classificato come patrimonio dell’umanità dall’Unesco.
A seguire, il Bisenzio appare come un piccolo fiume che scende a valle da rilievi nemmeno troppo alti, eppure possiede una forza poderosa. L’ha espressa nei millenni scavando, lungo i fianchi delle montagne, i due versanti ripidi di una valle che oggi si mostra con un paesaggio del tutto singolare.
Lo racconta il doc di Gianfranco Anzini “Valle Bisenzio e Prato, acque, tessuti, teatri”, in onda domenica 29 dicembre alle 22.00 su Rai 5. In questo angolo di Toscana c’è un fondovalle dove sembra che dal fiume abbiano preso vita frotte di costruzioni e dove generazioni di artigiani, operai, imprenditori hanno prodotto di tutto. Poi, a un certo punto, più o meno tutti hanno iniziato a produrre tessuti, rigenerando stracci.
Risale alla metà dell’Ottocento La Briglia, il villaggio-fabbrica voluto dai Forti, una famiglia di origine ebrea che, prendendo spunto da alcuni modelli imprenditoriali del socialismo utopistico inglese, riadattarono un precedente complesso industriale per costruire un lanificio attorno a cui fecero edificare alloggi per gli operai, una piazza, una chiesa, botteghe e negozi, un ambulatorio medico, una centrale elettrica, un asilo scuola per i figli degli operai, e perfino un teatro. Negli anni ’60 l’epoca dei grandi lanifici finì. Tantissimi operai si trasformarono in artigiani, ognuno con il proprio telaio in casa o nel garage. Nel ’68, alcuni giovani della Briglia, si unirono per fare un teatro come si intendeva allora: un teatro politico, un teatro tra le persone, presente nella comunità.
Finita l’epoca dei telai in tutte le case, ancora oggi il tessile è ampiamente presente in Val Bisenzio. A Colle, infatti, c’è una grande e importante tintoria. E c’è anche l’antico Mulin de’ Fossi. La valle termina, e si apre il paesaggio della piana dove sorge Prato, la terza città dell’Italia centrale, dopo Roma e Firenze. Oggi le grandi fabbriche a ciclo completo si sono dissolte in una miriade di piccole e medie imprese, ognuna specializzata in una o due delle tante diverse lavorazioni concatenate tra loro, necessarie a produrre le stoffe.
Così è nato il distretto che oggi vede anche impegnati molti dei trentamila pratesi di origine cinese. A Prato l’intreccio tra trama e ordito sembra davvero recare due fili principali. Uno è il filo naturale delle acque del fiume, della loro forza e relativo sfruttamento. Nelle epoche a quello delle acque si è sempre intrecciato il filo umano della storia industriale, che ha convogliato in valle tante presenze, dedite ai commerci, alle tecniche, alle tecnologie.
Un terzo filo che si intreccia ai primi due è quello del teatro. Non sembra un caso che la città possieda diversi teatri, tra i quali spicca il teatro Metastasio.