Morto a 96 anni Jean-Marie Le Pen, il leader storico dell’estrema destra francese, fondatore del Front National. Un provocatore instancabile dalle mille vite
Il suo andirivieni non scandiva più la vita quotidiana di Montretout, la famosa villa di famiglia del clan Le Pen adagiata sulle alture di Saint-Cloud. E’ a Rueil-Malmaison che Jean-Marie Le Pen ha trascorso i suoi ultimi giorni. La Bonbonnière. S’era fermato. Intere giornate davanti alla tv, rare visite, tantissime cure, per uno stato di salute sempre peggiore, a 96 anni.
Le Parisien racconta che a volte si chiudeva in una piccola stanza, abbastanza buia, al primo piano. Un ufficio-rifugio, zeppo di un’accozzaglia di libri e memorabilia, al quale accedeva con un ascensore appositamente progettato qualche anno prima. “Il mio culo si sta indebolendo, cammino sempre meno bene. Forse è così per le persone che hanno camminato molto nella loro vita…”, diceva senza nemmeno accorgersi del passeggio silenzioso dei suoi due levrieri ibizenchi, Olga e Stella.
“Non ho mai realizzato quanti anni avevo fino a 90 anni”, disse. “La posterità non mi riguarda”. La vecchiaia, la morte, Le Pen ha avuto il tempo di filosofarci sopra, sperando di arrivare a cent’anni. “Dicono che la vecchiaia sia un naufragio. Io provo a tappare i buchi… per cercare di affondare meno velocemente”.
E’ stato un provocatore, soprattutto. Estremo. Uno che nel settembre 2019, si vide interrompere la promozione delle sue (seconde memorie) dalla morte di Jacques Chirac, suo nemico di sempre, e protestò: “Tutto questo clamore, tutta questa copertura mediatica, troppo!”.
Nell’aprile del 2023, lo caricarono in ambulanza per un infarto definito “grave” dai medici, cominciò a cantare, ad esorcizzare l’inevitabile. “La morte è stata una costante nella mia vita. Non la temo”, diceva. La morte del padre su un peschereccio colpito da una mina tedesca quando aveva appena 14 anni, l’attentato al suo appartamento parigino nel 1976, dove quattro chili di dinamite minacciarono la sua famiglia, e svariati problemi di salute successiva. “Cammino con un bastone, sento sempre meno e leggo con una lente d’ingrandimento. Vivo, sopravvivo. Riempio i vuoti mentre vado avanti. Ma non sono ancora nella bara!”, ironizzava ancora pochi mesi fa.
Ci sono tanti Le Pen, nella storia di questi decenni. Un po’ come le Barbie, c’era Le Pen pescatore, Le Pen minatore, Le Pen geometra, Le Pen volontario nel 1° reggimento paracadutisti, con esperienze in Indocina, a Suez e in Algeria, Le Pen editore discografico, e ovviamente Le Pen politico.
Eletto deputato a soli 27 anni nel 1956, il suo ultimo incarico come parlamentare europeo si è concluso nel 2019, a 91 anni, una longevità politica senza pari. Il Front National, la sua creatura che gli sopravvive oggi al massimo splendore, fu l’evoluzione di un piccolo gruppo di estrema destra nel 1972 che arrivò al secondo turno delle presidenziali del 2002.
Le Pen è stato soprattutto Le Pen: “Sono un pioniere dell’immigrazione”, affermava, ma per mantenere la sua immagine di outsider, non esitava a parlare di camere a gas come “dettaglio” della storia, a elogiare il maresciallo Pétain, a definire l’occupazione tedesca “non così disumana”. E’ stato più volte condannato per apologia di crimini di guerra, negazionismo e incitamento all’odio razziale. Senza alcun rimorso. Nel 2014 ha suggerito che il virus Ebola potesse essere una soluzione all’esplosione demografica globale.
“L’idea dello scivolamento mi ripugna. Sono un uomo libero. Nessuna redenzione, nessuna autocensura. È troppo faticoso. Se provocavo shock, non era mai un problema per me, ma per gli altri. Non chiedo di essere amato”.
FONTE: AGENZIA DI STAMPA DIRE (WWW.DIRE.IT).