Il lago Kaindy per “Paradisi da salvare” e una città e le sue storie, d’amore e non solo, con “Do Pasi per Verona” stasera su Rai 5
Incastonato fra le montagne del Kazakistan, il lago Kaindy è un autentico enigma della natura, in uno dei luoghi più affascinanti dell’Asia centrale: lo racconta “Paradisi da salvare”, in onda domenica 12 gennaio alle 21.15 su Rai 5. Nato di recente, da una frana che ha sbarrato il corso di un fiume, impedendone il libero deflusso, anno dopo anno le acque hanno invaso la valle circostante, sommergendo decine di abeti. Che sono ancora lì, a mollo in 12 metri d’acqua, dando origine a un ambiente surreale. Spoglie e spettrali le cime emergono dal lago, mentre i fusti sommersi conservano ancora corteccia, rami e aghi. A queste col tempo si sono aggiunte delle piante misteriose, che li addobbano formando delle vere e proprie colonne vegetali.
Salendo di quota c’è il regno dello stambecco siberiano, detto anche yanghir. Si muove agilmente sulle pareti rocciose, alla ricerca di piante da brucare e ha zoccoli che gli assicurano l’aderenza alle rocce, spesso scivolose. A parte questo, come tutti i ruminanti è soggetto alla regola delle ‘tre 8’: 8 ore a pascolare, 8 ore a ruminare e 8 ore a dormire. Una vita all’apparenza tranquilla, anche se in passato veniva cacciato per la carne e la pelle, cosa che ha minacciato la biodiversità della regione.
Fortunatamente, la creazione di parchi nazionali come quello del lago Kaindy ha salvato molte specie a rischio di estinzione, come il leopardo delle nevi. Raro e misterioso questo splendido felino si nutre di selvaggina che cattura spostandosi su vasti territori. La pratica del bracconaggio e l’espansione delle città hanno lo hanno spinto sempre più verso le cime ma oggi, proprio grazie a queste zone protette, stiamo assistendo al suo ritorno. Dei 150 esemplari rimasti nel Paese, infatti, quasi tutti si concentrano su queste montagne, lontane dall’influenza dell’uomo.
Tuttavia, minacce ancora più grandi incombono su queste valli: il riscaldamento del pianeta sta accelerando lo scioglimento dei ghiacciai e importanti riserve d’acqua per città come Almaty, con i suoi tre milioni di abitanti, determinano il prosciugamento di laghi e la morte delle foreste. Nonostante il Kazakistan si stia dimostrando molto sensibile nel proteggere il patrimonio naturale, l’urbanizzazione, sommata all’aumento del turismo, rappresenta ancora un problema per la fauna locale, specialmente per gli ungulati che scendono a valle per sfuggire all’inverno. L’obiettivo è quello di trovare un equilibrio che garantisca la convivenza tra l’uomo e la natura, perché specie come il leopardo delle nevi, i pika rossi, i lupi e i cervi marai, possano prosperare ancora a lungo in questi luoghi dalla bellezza sconfinata.
A seguire, la città dell’amore, Verona, è conosciuta soprattutto per il balcone di Giulietta, dal quale lei si affacciava al chiaro di luna per giurare amore eterno a Romeo e che ancora oggi attira turisti da ogni parte del mondo. Un luogo e una città al centro del documentario di Gemma Giorgini “Do Pasi per Verona”, in onda domenica 12 gennaio alle 22.10 su Rai 5. C’è la Verona dei romani, degli Scaligeri, dei veneziani e degli austriaci. E da più di vent’anni è Patrimonio Unesco per i suoi 11 chilometri di cinta muraria stratificata dalle diverse dominazioni. C’è la Verona di Dante, quella di Salgari e ovviamente quella di Giulietta e Romeo. Quella del centro storico, con l’Arena e quella di Veronetta, al di là dell’Adige. Ma c’è anche la Verona del teatro e quella delle maschere, fuori e dentro il Carnevale.
Quello veronese è in assoluto uno dei più antichi. Lo organizza ogni anno il Comitato Bacanal del Gnoco e culmina nella sfilata dell’ultimo venerdì prima della Quaresima, con lunghi cortei e l’elezione del Papà del Gnoco, la figura più importante della parata: un uomo anziano, rubicondo e con una lunga barba bianca. Una maschera nata nel quartiere di San Zeno, dove nell’imponente basilica benedettina sono conservate le spoglie del patrono della città, africano della Mauritania. Da qui il rapporto insolito con la cultura africana, incarnata dai missionari comboniani fondatori nel 1883 della rivista “Nigrizia”, dedicata al continente africano e agli africani di tutto il mondo. Non a caso, oltre a un Museo Africano, permanente, tutti gli anni si tiene un Festival del Cinema Africano.
C’è poi la Verona dei matti, che sanno e dicono di esserlo. La Verona tradizionale, chiusa, e quella del melting pot, aperta. Quella delle mappe e dei giochi da strada. La signorile e la popolare. Perché dietro questa parvenza di città così “perfetta” e incredibilmente bella, Verona nasconde moltissime contraddizioni, come se volesse celare la sua vera anima dietro le tante maschere a sua disposizione. In primis, il famoso balcone che in realtà è un falso storico, costruito soltanto nel 1935, secoli dopo l’ambientazione della tragedia shakespeariana.
Ma c’è anche la “rive gauche” dell’Adige: Veronetta. Chiamata in senso dispregiativo dai francesi “Veronette”, il quartiere, degradato e malfamato fino a pochi anni fa, ha subito un velocissimo processo di gentrificazione, grazie anche all’Università di Santa Marta che rappresenta un polo di aggregazione per moltissimi studenti. Abitato da intellettuali, ma anche da giovani e comunità provenienti da tutte le parti del mondo, Veronetta si presenta come un quartiere vitale, dinamico, con il suo bellissimo Teatro Comploy e i suoi bar e ristoranti non solo “mordi e fuggi”.