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Linfoma follicolare: benefici da tafasitamab con rituximab-lenalidomide

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Linfoma follicolare ricaduto/refrattario: aggiunta di tafasitamab a rituximab-lenalidomide riduce del 57% il rischio di progressione

Nei pazienti con linfoma follicolare recidivante/refrattario, l’aggiunta dell’anticorpo monoclonale anti-CD19 tafasitamab alla combinazione dell’anti-CD20 rituximab e lenalidomide (il regime R2) può ridurre del 57% il rischio di progressione della malattia o morte rispetto ai soli rituximab lenalidomide. Lo dimostrano i risultati dello studio di fase 3 inMIND presentati al meeting annuale dell’American Society of Hematology (ASH), a San Diego.

A un follow-up mediano di 14,1 mesi, la mediana della sopravvivenza libera da progressione (PFS) valutata dallo sperimentatore è risultata di 22,4 mesi (IC al 95% 19,2-non valutabile [NE]) con tafasitamab più il regime R2 rispetto a 13,9 mesi (IC al 95% 11,5-16,4) con il solo regime R2 (HR 0,43; IC al 95% 0,32-0,58; P < 0,0001).

Secondo la valutazione del comitato di revisione indipendente (IRC), al momento dell’analisi la mediana di PFS non era ancora stata raggiunta (NR; IC al 95% 19,3-NE) con la tripletta, mentre è risultata di 16 mesi (IC al 95% 13,9-21,1) con la doppietta (HR 0,41; IC al 95% 0,29-0,56; P < 0,0001).

«Lo studio di fase 3 inMIND ha raggiunto il suo endpoint primario di prolungamento della PFS nel linfoma follicolare recidivante/refrattario. Il beneficio è stato osservato in tutti i sottogruppi prespecificati», ha affermato durante la sua presentazione l’autrice principale dello studio Laurie H. Sehn, del BC Cancer Centre for Lymphoid Cancer e della University of British Columbia di Vancouver, in Canada.

«Lo studio inMIND dimostra in maniera molto chiara che nella terapia del linfoma follicolare recidivato o refrattario è possibile migliorare l’efficacia dello schema R2, che utilizziamo tradizionalmente nei nostri pazienti, aggiungendo un terzo farmaco, cioè l’ anticorpo anti-CD19 tafasitamab», ha dichiarato ai microfoni di PharmaStar Stefano Luminari, Professore Ordinario di Oncologia Medica presso l’Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia e secondo autore dello studio. «Con la combinazione a tre farmaci c’è un netto vantaggio in termini di riduzione del rischio di progressione o morte, a fronte di un profilo di tossicità assolutamente sovrapponibile», con quello del solo regime R2.

«Lo studio ha dimostrato la possibilità di ridurre il rischio di progressione della malattia o morte di circa il 60% con tafasiatamab più R2 rispetto a R2 e questo si traduce in un guadagno di circa 9 mesi in termini di mediana di PFS», ha aggiunto Luminari.

Necessità di opzioni in grado di indurre risposte più durature
Il linfoma follicolare è un tipo di linfoma non-Hodgkin caratterizzato da episodi di remissione e ricadute, e la maggior parte dei pazienti richiederà più di una linea di terapia. Nei pazienti con malattia recidivante o refrattaria si utilizzano per lo più approcci di immunoterapia, ma la durata della risposta (DOR) a questi agenti resta limitata e c’è bisogno, quindi, di nuove opzioni terapeutiche, in grado di garantire risposte più durature.

La combinazione di lenalidomide e rituximab è un regime già approvato e disponibile in Italia dal novembre 2021 per i pazienti con linfoma follicolare precedentemente trattato. L’approvazione si è basata sui dati dello studio di fase 3 AUGMENT (NCT01938001), che ha mostrato un miglioramento della PFS con il regime R2 rispetto al solo rituximab.

Tafasitamab è un anticorpo monoclonale diretto contro l’antigene CD19 che induce effetti citotossici diretti e potenzia i meccanismi immunomediati delle cellule NK e dei macrofagi. Dal novembre 2022 l’anticorpo è approvato e disponibile in Italia per il trattamento in monoterapia di pazienti adulti affetti da linfoma diffuso a grandi cellule B ricaduto o refrattario e non idonei al trapianto autologo di cellule staminali.

Lo studio inMIND
Per valutare la potenziale attività sinergica dell’aggiunta di tafasitamab a lenalidomide e rituximab, gli sperimentatori hanno avviato lo studio inMIND, un trial multicentrico internazionale, in doppio cieco e controllato con placebo, che ha valutato efficacia e sicurezza di tafasitamab in pazienti di almeno 18 anni con linfoma follicolare e linfoma della zona marginale ricaduti o refrattari.

Per poter essere inclusi nello studio, i partecipanti dovevano avere un linfoma follicolare o un linfoma della zona marginale di grado da 1 a 3A e aver già effettuato almeno una precedente linea di terapia, comprendente un anticorpo monoclonale anti-CD20, avere un performance status ECOG da 0 a 2 e non essere stati esposti in precedenza a rituximab più lenalidomide.

I pazienti sono stati assegnati secondo un rapporto 1:1 al braccio sperimentale o al braccio di controllo. Nel braccio sperimentale sono stati trattati con tafasitamab 12 mg/kg di per via endovenosa (ev) ogni settimana per i primi 3 cicli, poi ogni 2 settimane per i cicli dal 4 al 12, più lenalidomide 20 mg/die per os nei giorni da 1 a 21 per 12 cicli e rituximab 375 mg/m2 ev una volta alla settimana per il primo ciclo e una volta al mese per i cicli dal 2 al 5. Nel braccio di controllo i pazienti hanno ricevuto un placebo ev con la stessa schedula di tafasitamab, più lenalidomide e rituximab con la stessa schedula del braccio sperimentale.

L’endpoint primario dello studio era la PFS. Gli endpoint secondari chiave includevano il tasso di risposta completa alla PET nella popolazione FDG-avida e la sopravvivenza globale (OS). Altri endpoint secondari includevano la PFS valutata dall’IRC, il tasso di risposta obiettiva (ORR), la DOR, la sicurezza, la qualità della vita e la malattia minima residua (MRD). Gli endpoint esplorativi includevano il tempo al trattamento successivo (TTNT), il recupero delle cellule B, i livelli di immunoglobuline e l’espressione di CD19. Tutti gli endpoint dello studio sono stati valutati dagli sperimentatori, salvo diversamente specificato.

Lo studio era dimensionato per valutare la PFS nella popolazione con linfoma follicolare ed è stato avviato dopo che si sono registrati 174 eventi valutati dagli sperimentatori.

Quasi 9 pazienti su 10 ancora in trattamento con la tripletta
Complessivamente sono stati randomizzati 548 pazienti e al momento dell’analisi 51 (18,7%) nel braccio tafasitamab e 42 (15,3%) nel braccio placebo erano ancora in trattamento, e rispettivamente 244 (89,4%) e 229 (83,3%) erano ancora nello studio; inoltre, il numero mediano di cicli ricevuti era pari 12 con tafasitamab contro 11 con il placebo.

Quanto alle caratteristiche basali della popolazione complessiva, l’età mediana era di 64 anni (range: 31-88) e il 19,7% dei pazienti aveva almeno 75 anni. Il tempo mediano trascorso dalla diagnosi iniziale era di 5,3 anni (range: 0,0-34,0) e la maggior parte dei pazienti (il 68,1%) aveva un performance status ECOG pari a 0. La maggior parte aveva anche una malattia on stadio III o IV secondo la classificazione di Ann Arbor (81,4%), una malattia di grado 1 o 2 (74,1%) e un punteggio del Follicular Lymphoma International Prognostic Index da 3 a 5 (52,4%). La diagnosi di linfoma follicolare era stata confermata dall’esame istologico centrale nel 92,2% dei casi.

Per quanto riguarda la storia del trattamento, la maggior parte dei pazienti aveva effettuato una precedente linea di terapia (54,7%), era entro 2 anni dall’esecuzione dell’ultima terapia anti-linfoma (55,5%) e aveva una malattia che era recidivata durante l’ultima terapia (56,9%).

Beneficio della tripletta con tafasitamab in tutti i sottogruppi
Il beneficio dell’aggiunta di tafasitamab alla doppietta R2 è stato osservato in tutti i sottogruppi prespecificati, indipendentemente dalla POD24 (progressione della malattia entro 24 mesi dalla diagnosi iniziale) o meno, dalla refrattarietà o meno agli anticorpi anti-CD20 assunti in precedenza e dal numero di linee di terapia precedenti.

Infatti, nei pazienti con POD24, la PFS mediana è risultata di 19,2 mesi (IC al 95% 13,8-NE) con la tripletta contro 11,3 mesi (IC al 95% 8,3-13,6) con la doppietta (HR 0,43; IC al 95% 0,27-0,69), mentre nei pazienti senza POD24, la PFS mediana è risultata di 23,6 mesi (IC al 95% 22,3-NE) contro 16 mesi (IC al 95% 13,3-21,4), rispettivamente (HR 0,45; IC al 95% 0,31-0,65).

Nei pazienti refrattari alla terapia con anti-CD20, la PFS mediana è risultata di 15 mesi (IC al 95% 14,1-25,1) nel braccio sperimentale contro 8,6 mesi (IC al 95% 7,9-11,6) nel braccio di controllo (HR 0,44; IC al 95% 0,30-0,65). Nei pazienti non refrattari alla terapia con anticorpi anti-CD20, la PFS mediana è risultata di 24 mesi (IC al 95% 22,3-NE) contro 18,2 mesi (IC al 95% 14,4-NE), rispettivamente con i regimi sperimentali e di controllo (HR 0,44; IC al 95% 0,28-0,68).

Per quanto riguarda la risposta nella popolazione FDG-avida, il tasso di risposta completa alla PET è risultato del 49,4% (IC al 95% 43,1%-55,8%) nel braccio sperimentale contro 39,8% (IC al 95% 33,7%-46,1%) nel braccio di controllo (OR 1,5; IC al 95% 1,04-2,13; P = 0,0286).

Più risposte e più durature con la tripletta
Nella popolazione Intention-To-Treat, l’ORR è risultato dell’83,5% (IC al 95% 78,6%-87,7%) nel braccio di tafasitamab contro 72,4% (IC al 95% 66,7%-77,6%) nel braccio placebo (OR 2; IC al 95% 1,30-3,02; P = 0,0014).

Anche la DOR è risultata superiore con la tripletta rispetto alla doppietta, con una mediana rispettivamente di 21,2 mesi (IC al 95% 19,5-NE) contro 13,6 mesi (IC al 95% 12,4-18,6) (HR 0,47; IC al 95% 0,33-0,68; P < 0,0001).

L’aggiunta di tafasitamab al regime R2 ha permesso anche di ritardare il ricorso a una terapia successiva Infatti, al momento dell’analisi il TTNT mediano non era ancora stato raggiunto con la tripletta (IC al 95% NE-NE), mentre è risultato di 28,8 mesi (IC al 95% 20,7-NE) con la doppietta (HR 0,45; IC al 95% 0,31-0,64; P < 0,0001).

L’analisi della OS, ha riferito la Sehn, sarà eseguita dopo un periodo di follow-up di 5 anni, ma per confermare che la soglia di futilità non fosse stata superata, gli autori hanno condotto un’analisi preliminare della sopravvivenza, con un follow-up mediano di 15,3 mesi. I dati hanno indicato che la soglia non era stata superata, con una mediana di OS non ancora raggiunta né per la tripletta (IC al 95% 27,9-NE) né per la doppietta (IC al 95% NE-NE), ma con un trend positivo per il braccio sperimentale (HR, 0,59; IC al 95% 0,31-1,13).

Profilo di sicurezza gestibile
«Il profilo di sicurezza è risultato gestibile e coerente con le tossicità previste con questi agenti», ha detto l’autrice.
Tra gli effetti avversi emergenti dal trattamento di qualsiasi grado più comuni registrati nel braccio tafasitamab e nel braccio placebo, rispettivamente, vi sono la neutropenia (48,5% e 45,2%), la diarrea (37,6% e 28,3%), il COVID-19 (31,4% e 23,5%), la stitichezza (29,2% e 24,6%), il rash cutaneo (21,9% e 21,3%) e l’affaticamento (21,2% e 15,8%).

Gli eventi avversi gravi emergenti dal trattamento di grado 3 o 4 più comuni sono stati la neutropenia (39,8%; 37,5%), la polmonite (8,4%; 5,1%), la trombocitopenia (6,2%; 7,4%) e la riduzione della conta dei neutrofili (5,8%; 6,6%), tra gli altri.

Il tasso di interruzioni definitive del trattamento o di sospensione delle somministrazioni di tafasitamab o del placebo a causa di eventi avversi gravi è risultato simile nei due bracci di trattamento, così come quello delle sospensioni di lenalidomide.

Inoltre, si sono verificati decessi nel 5,5% dei pazienti nel braccio sperimentale e nell’8,5% dei controlli.

Tripletta con tafasitamab uovo standard di cura
«Questo studio è il primo a convalidare l’approccio di combinazione di due anticorpi per il trattamento di pazienti con linfoma follicolare. Tafasitamab più rituximab e lenalidomide possono essere somministrati in contesti comunitari e accademici e rappresentano un potenziale nuovo standard di cura per i pazienti con linfoma follicolare recidivante/refrattario», ha detto la Sehn nella sua conclusione.

«L’analisi dei dati di inMIND consente di prevedere che la combinazione tafasitamab più R2 si posizionerà molto bene nello scenario terapeutico del paziente con linfoma follicolare recidivato o refrattario, in particolare nell’area della prima recidiva, nella quale attualmente ci sono pochissime opzioni, mentre per linee successive di terapia abbiamo numerose possibilità, come le CAR-T, gli anticorpi bipsecifici e altri farmaci innovativi, come gli inibitori di BTK in combinazione con l’anti-CD20», ha aggiunto Luminari.

«La seconda linea era una finora una linea orfana di trattamenti. Nello studio inMIND il 54% dei pazienti era stato sottoposto solo a una precedente linea di terapia, ed è stato quindi trattato in seconda linea. I risultati dello studio mostrano chiaramente che (con tafasitamab più R2ndr) abbiamo ad oggi a buon titolo un nuovo standard per la terapia di seconda linea del linfoma follicolare recidivato o refrattario», ha concluso l’autore.

Bibliografia
L.H. Sehn, et al. Tafasitamab plus lenalidomide and rituximab for relapsed or refractory follicular lymphoma: results from a phase 3 study (inMIND). ASH 2024; abstract LBA-1; leggi

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