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Long Covid: nuovo studio fa luce sulle conseguenze a livello neurologico

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Long Covid: un recente studio pubblicato su Cell Host & Microbe ha indagato la persistenza della proteina spike di SARS-CoV-2 nell’asse cranio-meningi-cervello

Un recente studio pubblicato su Cell Host & Microbe ha indagato la persistenza della proteina spike di SARS-CoV-2 nell’asse cranio-meningi-cervello e il suo ruolo nelle complicanze neurologiche associate al COVID-19. La pubblicazione che spiega lo studio è arricchita da ricostruzioni 3D, immagini e filmati, che mostrano la dinamica dell’invasione.

Un team di scienziati del Centro di ricerca tedesco Helmholtz Munich è riuscito a girare il film di come il virus invade il corpo (in particolare il cervello), si accumula e rimane anche per lungo tempo rischiando di causare danni persistenti.
La proteina Spike del virus è stata trovata sia nei modelli murini che nei tessuti umani post mortem molto tempo dopo il Covid. Ed è risultata associata a cambiamenti vascolari e infiammatori nel cervello insieme a danni neuronali.

I ricercatori hanno evidenziato che in campioni di cranio di individui deceduti per cause non legate al COVID-19, la proteina spike è stata rilevata in 10 su 34 casi, suggerendo che possa persistere a lungo anche dopo la risoluzione dell’infezione.

L’infezione è associata a sintomi come annebbiamento mentale, riduzione dello spessore della materia grigia e aumento del rischio di ictus, anche nei casi lievi. Sebbene l’RNA virale venga rilevato sporadicamente nei tessuti cerebrali, si osservano ampie attivazioni immunitarie che indicano meccanismi indiretti di danno.
Parte fondamentale della struttura del virus, la proteina spike innesca risposte infiammatorie, compromette la funzione endoteliale e favorisce la formazione di coaguli proinfiammatori. Studi precedenti hanno dimostrato che la spike può persistere a lungo nel plasma e nelle cellule immunitarie, alimentando l’interesse per il suo impatto sistemico e locale sul cervello.

Lo studio
I ricercatori hanno utilizzato modelli murini infettati con varianti di SARS-CoV-2 e topi transgenici che esprimono il recettore umano ACE2 (K18-hACE2). Inoltre, è stata somministrata una dose del vaccino mRNA BNT162b2 per valutare l’efficacia vaccinale nel ridurre la presenza della proteina spike.
Grazie a tecniche avanzate di chiarificazione dei tessuti e microscopia confocale, sono state osservate le distribuzioni della proteina spike nei tessuti craniali e cerebrali.
Le analisi proteomiche hanno rilevato sovrapposizioni significative tra le proteine disfunzionali nei tessuti contenenti spike e quelle associate al morbo di Alzheimer.
Studi comportamentali e modelli di ischemia e traumi cranici hanno mostrato gli effetti patologici della persistenza della spike.

I risultati principali sono stati i seguenti:
La proteina spike è stata rilevata nel midollo osseo del cranio, nelle connessioni cranio-meningee (SMCs) e nelle meningi di pazienti deceduti per COVID-19 acuto. Nel midollo osseo, il 45% della proteina spike era localizzato al di fuori dei vasi sanguigni, suggerendo un’estravasazione nei tessuti.
La proteina spike è stata trovata nello spazio perinucleare delle cellule meningeali e vicino ai neuroni nella corteccia frontale del cervello, indicando un’interazione diretta con le regioni neurali.

Studi sui topi hanno confermato che la spike attraversa la barriera emato-encefalica e si localizza nei tessuti esprimenti ACE2.
I livelli persistenti di spike erano associati a marcatori di neurodegenerazione, come la proteina tau, la catena leggera del neurofilamento (NfL) e la proteina gliale fibrillare acida (GFAP), rilevati nel liquido cerebrospinale (CSF) di pazienti con COVID lungo.
La spike induceva neuroinfiammazione, danni neuronali e comportamenti simili all’ansia nei topi, oltre a peggiorare gli esiti di ictus e traumi cranici.

Ruolo dei vaccini
Le vaccinazioni mRNA hanno ridotto significativamente l’accumulo della proteina spike nei tessuti chiave, tra cui il cervello e il cranio. Tuttavia, la spike non veniva completamente eliminata, suggerendo una riduzione, ma non l’azzeramento, del rischio neurologico.

Cosa ci dice questo studio?
Questo studio collega i sintomi neurologici a lungo termine del COVID-19, come il brain fog e la neurodegenerazione, alla persistenza della proteina spike e all’infiammazione sistemica. La spike è stata rilevata anche in campioni post-mortem negativi al test PCR, confermando la sua lunga durata nei tessuti.
L’analisi proteomica ha evidenziato somiglianze con malattie neurodegenerative come l’Alzheimer, suggerendo meccanismi condivisi. I vaccini hanno dimostrato di mitigare gli effetti, sottolineando l’importanza della vaccinazione nel ridurre le complicanze acute e croniche del COVID-19.
Questo lavoro rappresenta un passo cruciale per comprendere meglio i meccanismi neurologici del long COVID e per sviluppare strategie terapeutiche mirate.

Rong, Zhouyi, et al. Persistence of spike protein at the skull-meninges-brain axis may contribute to the neurological sequelae of COVID-19, Cell Host & Microbe (2024), DOI – 10.1016/j.chom.2024.11.007
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