L’elettrofisiologia è una branca specialistica della medicina, più precisamente della cardiologia, che si occupa dello studio e del trattamento delle aritmie cardiache, ovvero delle alterazioni del ritmo cardiaco (fibrillazione, tachicardia, bradicardia ecc.).
Com’è noto, alcune aritmie sono del tutto benigne; è infatti normale che anche in una persona del tutto sana si verifichino episodi di tachicardia, per esempio mentre sta correndo oppure in situazioni che causano ansia o forti emozioni. È altrettanto normale che persone che praticano costantemente attività sportive di endurance siano bradicardiche, ovvero abbiano una frequenza cardiaca a riposo inferiore ai 60 battiti al minuto (bpm).
Detto ciò, vi sono moltissimi casi in cui le aritmie cardiache, di cui esistono varie forme, hanno un significato patologico e necessitano quindi di un’adeguata terapia. Come facilmente si può immaginare, sia la diagnosi sia il trattamento delle aritmie (o più precisamente delle condizioni che le determinano) richiedono un approccio specializzato: con una visita di elettrofisiologia è possibile individuare con precisione il tipo di aritmia e pianificare il percorso terapeutico più indicato al caso specifico; la figura di riferimento è il cardiologo elettrofisiologo.
1.Quando richiedere una visita di elettrofisiologia?
Generalmente, è il medico di base che prescrive una visita di elettrofisiologia quando sospetta che il proprio paziente sia affetto da una condizione patologica, che determina l’insorgenza di aritmia e di altri segni e sintomi correlati.
Le manifestazioni più comuni che suggeriscono l’opportunità di un consulto con il cardiologo elettrofisiologo sono le palpitazioni, la sensazione di battito irregolare, la difficoltà nella respirazione, dolori nella zona del petto, sensazione di debolezza, vertigini, affaticamento dopo sforzi anche minimi, perdita di coscienza ecc.
Ovviamente, la visita elettrofisiologica è opportuna anche quando alcuni test diagnostici abbiano rilevato la presenza di anomalie che facciano ragionevolmente sospettare la presenza di un disturbo cardiaco.
2.La diagnosi delle aritmie attraverso l’elettrofisiologia
L’elettrofisiologo è in grado di identificare quali sono le anomalie alla base di un’aritmia. La diagnosi si avvale in prima battuta di indagini non invasive come, per esempio: l’elettrocardiogramma (ECG) o l’Holter cardiaco.
Se questi esami non si rivelano sufficienti o comunque sono dubbi, si ricorre a tecniche più sofisticate quali lo studio elettrofisiologico intracardiaco, una procedura invasiva che prevede l’inserimento di cateteri attraverso i vasi sanguigni fino al cuore per registrare e stimolare l’attività elettrica. L’obiettivo principale dello studio elettrofisiologico intracardiaco è quello di identificare con certezza la natura dell’aritmia indagata. Si tratta di una procedura molto utile che consente anche di valutare il rischio di eventi aritmici gravi.
3.Dopo lo studio elettrofisiologico
Dopo aver effettuato lo studio elettrofisiologico, si possono verificare varie condizioni.
Se lo studio non rileva alcun tipo di aritmia, è molto probabile che i disturbi avvertiti dal paziente non siano dovuti a problemi del sistema elettrico del cuore. Si dovranno quindi effettuare altre indagini.
Se lo studio rileva un’aritmia, si dovrà pianificare un percorso terapeutico. A seconda dei casi questo può essere di tipo farmacologico oppure interventistico. Il trattamento farmacologico può prevedere l’assunzione cronica di farmaci antiaritmici e/o di anticoagulanti.
Il trattamento interventistico può, invece, consistere nell’esecuzione di un intervento noto come ablazione transcatetere oppure nell’impianto di un elettrostimolatore cardiaco o di un defibrillatore cardiaco.