Leucemia linfatica cronica, conferme per le combinazioni con venetoclax


Dal congresso annuale dell’American Society of Hematology (ASH), a San Diego, sono arrivate diverse novità interessanti sul trattamento della leucemia linfatica cronica

Leucemia linfatica cronica zanubrutinib

Dal congresso annuale dell’American Society of Hematology (ASH), a San Diego, sono arrivate diverse novità interessanti sul trattamento della leucemia linfatica cronica. Fra queste, vi sono numerosi dati sull’inibitore della proteina anti-apoptotica Bcl-2 venetoclax, che ne confermano il valore sia nelle combinazioni attualmente approvate in prima linea o nella malattia recidivata/refrattaria, in pazienti giovani e anziani, fit e unfit, sia in combinazione con nuovi agenti, come terapia di durata fissa.

Importanza della qualità di vita grazie a una terapia a termine
Al congresso, per esempio, sono stati riportati i risultati di un’analisi dello studio GAIA/CLL13 che evidenzia l’importanza della qualità di vita nei pazienti con leucemia linfatica cronica grazie a una terapia a termine.

Lo studio GAIA/CLL13 è trial multicentrico internazionale di fase 3 che ha già dimostrato come una terapia di durata fissa con venetoclax in combinazione con obinutuzumab, con o senza ibrutinib, migliori in modo significativo la sopravvivenza libera da progressione (PFS) e la profondità della risposta, in base ai tassi di negatività della malattia minima residua (MRD), rispetto alla chemioimmunoterapia standard (ma anche rispetto alla doppietta venetoclax-rituximab) come trattamento di prima linea di pazienti con leucemia linfatica cronica ‘fit’.

Al congresso di San Diego sono stati presentati i risultati di un’analisi pre-pianificata dei dati relativi alla qualità di vita correlata alla salute riportata dai pazienti arruolati nello studio GAIA/CLL13.
I partecipanti hanno compilato questionari relativi ai Patient Reported Outcomes (PRO) al basale e poi ogni 3 mesi per 2 anni, e poi una volta all’anno fino al mese 60. Su 926 pazienti, 863 (il 93,2%) hanno restituito almeno un questionario.

In particolare, nei pazienti trattati con le due doppiette con venetoclax gli autori hanno osservato rapidi miglioramenti nelle misure di qualità della vita e di funzionamento fisico, sociale e di ruolo poco dopo l’inizio del trattamento. In quelli trattati con venetoclax-obinutuzumab-ibrutinib si sono osservati miglioramenti simili, ma più tardivamente, dopo la fine del trattamento, secondo gli autori a causa del maggior carico di sintomi nei pazienti del braccio trattato con la tripletta. In tutti i bracci trattati con venetoclax, in ogni caso, i miglioramenti sono stati superiori rispetto a quelli osservati nel braccio assegnato alla chemioimmunoterapia.

Conferme per venetoclax-obinutuzumab a durata fissa in prima linea anche dalla real life
Per la combinazione venetoclax-obinutuzumab come terapia di prima linea a durata fissa arrivano conferme anche dalla real life.

Al meeting infatti, sono stati presentati i risultati di uno studio multicentrico internazionale retrospettivo nel quale sono stati confrontati gli outcome di pazienti trattati in prima linea con venetoclax-obinutuzumab a durata fissa oppure con una terapia continuativa con un inibitore di BTK.

Lo studio, dicono gli autori, è uno dei primi a evidenziare un vantaggio della doppietta a base di venetoclax rispetto alla terapia continuativa con un inibitore di BTK in prima linea, in termini di tempo libero da trattamento (TTNT) o decesso. Infatti, con un follow-up mediano di circa 10 mesi, meno pazienti nel gruppo trattato con venetoclax-obinutuzumab hanno dovuto iniziare una linea di terapia successiva rispetto ai pazienti trattati in modo continuativo con un inibitore di BTK: 2,7% contro 18,8%. Sulla base del modello di Cox, i pazienti trattati con l’inibitore di BTK hanno mostrato un rischio significativamente superiore di dover iniziare una nuova linea di terapia rispetto a quelli trattati con la doppietta con venetoclax (HR 3,27; P < 0,01). Anche il tasso di risposta obiettiva (ORR), valutato in modo descrittivo, è risultato maggiore per il pazienti trattati con venetoclax-obinutuzumab: 89,2% contro 80,7%. Inoltre, gli autori hanno osservato un trend a favore della combinazione a base di venetoclax anche sul fronte dei tassi di PFS a 18 mesi: 92,2% contro 84,3%.

Conferme per venetoclax più ibrutinb in prima linea nei pazienti anziani e unfit
Al congresso americano sono stati presentati anche aggiornamenti con dati di follow-up a lungo termine di due studi molto importanti, GLOW e CAPTIVATE, nei quali venetoclax è stato combinato con ibrutinib, sempre come terapia di prima linea di durata fissa. In particolare sono stati riportati un nuovo aggiornamento dello studio GLOW, con un follow-up di 5 anni, e una nuova sottoanalisi dello studio CAPTIVATE, con un follow up di 5,5 anni. Globalmente, i dati a lungo termine di questi due trial riportati a San Diego confermano l’efficacia e la sicurezza di questa combinazione con venetoclax in tutti i setting di pazienti, sia fit sia unfit, giovani e anziani.

Nello studio GLOW, in particolare, gli autori hanno confrontato la terapia di durata fissa, e interamente orale, con venetoclax più ibrutinib con la chemioimmunoterapia con clorambucile e obinutuzumab in pazienti anziani (età mediana: 72 anni) o con comorbidità, non trattati in precedenza. Analisi precedenti del trial hanno dimostrato che in questo setting la combinazione venetoclax-ibrutinib è in grado di prolungare la PFS, la sopravvivenza globale (OS) e anche il TTNT rispetto alla chemioimmunoterapia di confronto.

I nuovi dati dello studio GLOW presentati ora al meeting americano confermano il mantenimento del vantaggio della doppietta venetoclax-ibrutinib su tutti i fronti, anche a lungo termine, parecchio tempo dopo la fine della terapia. Infatti, con un follow-up mediano di 64 mesi, la combinazione con venetoclax ha dimostrato di ridurre del 73% il rischio di progressione o morte rispetto alla chemioimmunoterapia (P < 0,0001); inoltre, ha detto Laurenti, «i tassi di PFS a 60 mesi sono risultati del 59,9% con venetoclax più ibrutinib verso soltanto il 17,8% con la chemio immunoterapia … e il vantaggio (della doppietta, ndr) si è visto sia nei pazienti con immunoglobuline non mutate sia in quelli con immunoglobuline mutate».

In più, la doppietta venetoclax più ibrutinib ha continuato ha dimostrare una riduzione del rischio di dover ricorrere a una terapia successiva e un vantaggio di OS mantenuto nel tempo rispetto a clorambucile e obinutuzumab. Un’analisi nella quale si sono integrati benefici clinici e rischi ha poi dimostrato che con venetoclax più ibrutinib si è ottenuto anche un prolungamento della sopravvivenza senza tossicità di grado 3/4 o recidiva.

Efficacia e sicurezza di venetoclax-ibrutinib in prima linea confermate anche in pazienti più giovani
Lo studio CAPTIVATE è un trial di fase 2 nel quale nel quale sono stati inclusi pazienti adulti con meno di 70 anni, fra cui soggetti con malattia ad alto rischio, divisi in due coorti, di cui una assegnata a un trattamento definito in base al risultato della malattia minima residua (MRD) e un’altra, di 159 pazienti (con un’età mediana di 60 anni), sottoposti alla terapia a durata fissa con venetoclax più ibrutinib.

Anche in questa seconda coorte dello studio CAPTIVATE, con un follow-up fino a 5,5 anni, la terapia a durata fissa con venetoclax e ibrutinib si è dimostrata associata a una PFS prolungata e mantenuta a lungo termine, ben oltre il termine del trattamento, anche nei pazienti con caratteristiche di alto rischio.
I dati della presentati ora San Diego confermano che anche in questa popolazione la terapia di prima linea a durata fissa con venetoclax e ibrutinib è in grado di offrire una PFS e un OS durature nel tempo, con alti tassi di MRD-negatività alla fine del trattamento, anche nei pazienti con caratteristiche di alto rischio come quelli con malattia bulky al basale.

Sopravvivenza dei pazienti trattati con venetoclax-ibrutinib in prima linea comparabile con la popolazione generale
Al congresso sono stati presentati anche i risultati di un interessante studio europeo, coordinato da Paolo Ghia (Direttore del Programma di Ricerca Strategica sulla Leucemia Linfatica Cronica dell’IRCCS Ospedale San Raffaele di Milano e Ordinario di Oncologia Medica all’Università Vita-Salute San Raffaele di Milano), nel quale i ricercatori hanno effettuato un’analisi dei dati aggregati degli studi GLOW e CAPTIVATE, per confrontare l’OS dei pazienti arruolati in questi studi con quella della popolazione generale europea di pari età.

Questa pooled analysis ha mostrato nei pazienti trattati in prima linea con la terapia di durata fissa con venetoclax e ibrutinib un’OS comparabile con quella della popolazione generale europea abbinata per età.

Inoltre, la sostanziale sovrapponibilità del dato di OS fra la popolazione arruolata nei due studi e quella generale è stata confermata sia per il sottogruppo di pazienti con meno di 65 anni e per quello degli over 65, sia per il sottogruppo con IGVH non mutate e per quello con IGVH mutate.

Terapia a termine con venetoclax-rituximab valida anche nei pazienti già trattati
A San Diego sono stati presentati anche risultati di uno studio multicentrico europeo, lo studio VeRVe, condotto su pazienti trattati con venetoclax nella real life dopo un trattamento con ibrutinib. Questi dati confermano il valore e l’efficacia di una terapia a termine con venetoclax e rituximab anche per i pazienti recidivati/refrattari, precedentemente trattati.

Nello studio, a cui hanno preso parte 64 centri tedeschi svizzeri e austriaci, sono stati coinvolti pazienti che avevano già effettuato una mediana di due linee di terapia prima del trattamento con ibrutinib. Prima della terapia continuativa con l’inibitore di BTK, la maggior parte dei pazienti era stata trattata con la chemioimmunoterapia con bendamustina-rituximab o il regime FCR.

I pazienti analizzati sono stati suddivisi in due coorti ben bilanciate per quanto riguarda i fattori di rischio, una formata da pazienti trattati con venetoclax in monoterapia e una trattata con la combinazione venetoclax-rituximab. In entrambi i gruppi venetoclax è risultato ben tollerato, ma la doppietta venetoclax-rituximab è risultata superiore rispetto al solo venetoclax in termini di tassi di risposta obiettiva (100% contro 76%) e tassi di PFS e OS a 24 mesi (rispettivamente, 72,9% contro 62,4% e 76,6% contro 73,2%).

«Questo studio fotografa bene quello che succede nella real life. Infatti, sebbene ci sia spostando verso l’impiego di terapie a durata fissa già in prima linea, la maggior parte dei nostri pazienti storici arriva da una terapia di prima linea continuativa», ha commentato Laurenti. E sulla base de risultati dell’analisi, ha aggiunto l’esperto italiano, «si può concludere che venetoclax è un ottimo attore non soltanto in prima linea, ma anche in seconda linea (o in linee successive, ndr) nei pazienti che arrivano da fallimenti di una precedente terapia continuativa con ibrutinib».

Venetoclax più acalabrutinib, nuova combinazione per la terapia di prima linea a durata fissa
In aggiunta ai dati relativi a combinazioni con venetoclax già entrate nella pratica clinica, al meeting sono stati presentati anche i risultati di un trial di fase 3 molto atteso, lo studio AMPLIFY, nel quale venetoclax è stato testato all’interno di una combinazione non ancora approvata, quella con l’inibitore di BTK di seconda generazione acalabrutinib, con o senza l’aggiunta di obinutuzumab, come terapia di prima linea, a durata fissa.

Entrambe le combinazioni con venetoclax hanno dimostrato di migliorare in modo significativo la PFS, con una riduzione del rischio di progressione o morte del 35%-58% rispetto alla chemioimmunoterapia con FCR o bendamustina-rituximab. Inoltre, con venetoclax più acalabrutinib e venetoclax più acalabrutinib e obinutuzumab i pazienti vivi e non in progressione a 3 anni sono risultati rispettivamente il 76,5% e 83,1%, contro 66,5% nel braccio trattato con la chemioimmunoterapia.

Lo studio ha fornito, dunque, dati interessanti su una nuova combinazione a base di venetoclax che arriverà in futuro, aprendo la strada a nuove possibilità di trattamento per i pazienti con leucemia linfatica cronica e affermando la terapia a durata fissa come standard of care nel presente e nel futuro di questa patologia.

Bibliografia
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