Colangite biliare primitiva : per il 40% dei pazienti servono terapie di seconda linea


Circa il 40% dei pazienti con colangite biliare primitiva mostra una risposta incompleta all’acido ursodesossicolico (UDCA), richiedendo trattamenti di seconda linea

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Circa il 40% dei pazienti con colangite biliare primitiva (PBC) mostra una risposta incompleta all’acido ursodesossicolico (UDCA), richiedendo trattamenti di seconda linea per prevenire la progressione della malattia. In assenza di studi comparativi diretti, è stata utilizzata una meta-analisi a rete (NMA), pubblicata su Liver International, per confrontare le terapie disponibili di seconda linea che hanno mostrato efficacia, soprattutto elafobranor e seladelpar, nel raggiungimento della risposta biochimica primaria e sicurezza, con mancanza di prurito con seladelpar.

La colangite biliare primitiva (PBC) è una malattia autoimmune cronica e colestatica del fegato, che colpisce principalmente donne di mezza età, con un’incidenza in aumento. Sebbene sia autoimmune, la PBC risponde poco alle terapie immunosoppressive, ma beneficia di trattamenti con acidi biliari o farmaci che attivano i recettori nucleari coinvolti nel metabolismo degli acidi biliari, come i recettori PPAR e FXR.

La terapia standard con acido ursodesossicolico (UDCA) previene la progressione della malattia nei pazienti con risposta biochimica, migliorando la prognosi epatica e riducendo la necessità di trapianti. Tuttavia, fino al 40% dei pazienti non risponde adeguatamente o è intollerante a UDCA, rimanendo a rischio di progressione e complicanze.
Per questi pazienti, l’acido obeticolico (OCA), un agonista FXR, è stato approvato come terapia di seconda linea. Studi clinici di fase III hanno mostrato che OCA migliora gli endpoint biochimici, sebbene sia associato a prurito come effetto collaterale principale e a una maggiore tossicità nei pazienti con malattia avanzata.

Recentemente, i farmaci seladelpar (agonista α-PPAR) ed elafibranor (agonista α- e δ-PPAR) hanno dimostrato efficacia nei pazienti con risposta incompleta a UDCA, con tassi di risposta biochimica rispettivamente del 61,7% e del 21%, senza segnali di sicurezza preoccupanti. Seladelpar ha anche ridotto significativamente il prurito nei pazienti con sintomi moderati o gravi.
Attualmente, mancano studi diretti che confrontino sicurezza ed efficacia di OCA e agonisti PPAR, rendendo necessaria una meta-analisi a rete (NMA) per supportare le decisioni cliniche future in questo contesto complesso.

È stata quindi condotta una revisione sistematica della letteratura su studi randomizzati controllati con placebo su pazienti con PBC e risposta incompleta o intolleranza all’UDCA. Sono stati confrontati i rischi relativi (RR) per l’obiettivo primario (risposta biochimica a 52 settimane) e secondari (incidenza di prurito di nuova insorgenza ed eventi avversi gravi (SAE)).
Un totale di 2193 studi è stato inizialmente individuato, ridotto a 1075 dopo l’eliminazione dei duplicati. Dopo una selezione, 15 articoli sono stati valutati per l’idoneità, ma solo 3 studi clinici randomizzati di fase III sono stati inclusi nell’analisi: il POISE trial (OCA), il RESPONSE trial (seladelpar) e l’ELATIVE trial (elafibranor). Gli altri sono stati esclusi per endpoint diversi o problemi metodologici.

Sono stati analizzati 570 pazienti: 379 (66,5%) hanno ricevuto un trattamento attivo e 191 (33,5%) un placebo. L’età media era di 56,6 anni, l’83,7% dei pazienti era di sesso femminile, e il 93,7% aveva una risposta incompleta a UDCA.
Il 53% dei pazienti trattati con farmaci attivi ha raggiunto la risposta biochimica primaria, contro il 15,2% con placebo: OCA 5–10 mg e 10 mg: RR 4,85 e 4,86 rispetto al placebo; seladelpar: RR 3,09; elafibranor: RR 13,50 (significativamente superiore a seladelpar).

Tutti i trattamenti hanno ridotto i livelli di ALP, con diminuzioni medie più evidenti per elafibranor (-40,6%) e seladelpar (-38,2%), seguiti da OCA 5–10 mg (-30,4%) e 10 mg (-36,8%).
L’acido obeticolico (5-10 mg/10 mg) ha aumentato il rischio di prurito di nuova insorgenza rispetto al placebo (RR: 1,43; IC 95%: 1,09-1,88/RR: 1,79; IC 95%: 1,37-2,33), mentre seladelpar ha ridotto questo rischio (RR: 0,30; IC 95%: 0,12-0,80).

Rispetto al placebo, OCA (5-10 mg/10 mg) è stato associato a un rischio maggiore di eventi avversi gravi (SAE) (RR: 3,82; IC 95%: 1,46-10,02/RR: 2,67; IC 95%: 1,00-7,08).
Sono stati eseguiti confronti indiretti che hanno evidenziato come elafibranor è risultato più efficace di seladelpar (RR 4,37), ma non differiva significativamente da OCA, mentre riguardo al prurito, seladelpar ha mostrato un rischio significativamente inferiore rispetto a OCA ed elafibranor mostra un rischio intermedio.

Gli autori concludono che, tutti i trattamenti sono risultati efficaci nel migliorare gli endpoint biochimici nei pazienti con risposta incompleta a UDCA. Elafibranor offre i migliori risultati biochimici, mentre seladelpar si distingue per il profilo di sicurezza, riducendo il prurito e non aumentando gli eventi avversi seri. OCA, pur efficace, è associato a maggiori rischi di prurito e SAE. Questi dati possono guidare la scelta terapeutica in base alle priorità cliniche.

Edoardo G Giannini et al. Second-Line Treatment for Patients With Primary Biliary Cholangitis: A Systematic Review With Network Meta-Analysis Liver Int. 2025 Jan;45(1):e16222.
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