I pazienti con leucemia linfatica cronica recidivante o refrattaria trattati con una terapia a base di cellule CAR-T anti-CD19 che erano in risposta completa dopo un anno dall’infusione hanno mostrato una buona sopravvivenza globale
I pazienti con leucemia linfatica cronica recidivante o refrattaria trattati con una terapia a base di cellule CAR-T anti-CD19 che erano in risposta completa dopo un anno dall’infusione hanno mostrato una buona sopravvivenza globale (OS) e una sopravvivenza libera da progressione (PFS) a lungo termine (5 anni), stando ai risultati di uno studio presentato durante il 66° congresso annuale dell’American Society of Hematology (ASH), a San Diego (Usa).
«I risultati di questo studio suggeriscono, in primis, che anche tra i pazienti che ottengono una risposta prolungata alla terapia CAR-T, è importante dal punto di vista prognostico raggiungere una risposta completa», ha affermato durante la sua presentazione Benjamin Frost, del Brigham and Women’s Hospital di Boston (Usa). Inoltre, ha aggiunto, «i dati suggeriscono che, nonostante la difficoltà nel trattamento di questi pazienti, alcuni riescono a ottenere qualcosa di simile alla guarigione».
Dati aggregati di due popolazioni di pazienti
Già alcuni studi presenti in letteratura avevano dimostrato che la terapia con cellule CAR-T è in grado di indurre risposte durature in alcuni pazienti con leucemia linfatica cronica recidivante/refrattaria; tuttavia, i dati relativi agli outcome a lungo termine erano ancora molto limitati. Nell’analisi presentata al congresso, pertanto, i ricercatori hanno voluto valutare questo aspetto in pazienti arruolati in due studi clinici sulla terapia CAR-T.
Nel primo di questi studi (NCT01747486), 38 pazienti con leucemia linfatica cronica recidivante/refrattaria erano stati sottoposti ad almeno due trattamenti precedenti e successivamente erano stati trattati con le CAR-T anti-CD19.
Nel secondo studio (NCT02640209), invece, sono stati coinvolti altri 19 pazienti con leucemia linfatica cronica recidivante/refrattaria già sottoposti ad almeno un trattamento precedente e almeno 6 mesi di trattamento con l’inibitore di BTK ibrutinib, continuato durante e dopo la terapia con le CAR-T.
Analisi su 41 pazienti
L’analisi presentata al congresso ha riguardato 31 pazienti dei due studi sopra citati che avevano raggiunto almeno una risposta parziale e non erano andati in progressione entro un anno dall’infusione.
I pazienti avevano un’età mediana di 62 anni al momento dell’infusione ed erano stati già stati sottoposti a una mediana di tre linee terapeutiche precedenti; inoltre, il 90,3% presentava un marker citologico o molecolare sfavorevole. Il follow-up mediano è stato di 9,1 anni per coloro che erano stati trattati solo con le CAR-T, 6,1 anni per quelli trattati con ibrutinib in concomitanza e 6,5 anni per l’intero gruppo di pazienti.
Gli endpoint considerati erano rappresentati dall’OS e dalla PFS; inoltre, è stata valutata l’associazione tra questi endpoint e la risposta completa ottenuta entro il primo anno di trattamento.
I risultati principali
A 5 anni dall’infusione, la PFS per i pazienti che avevano raggiunto almeno una risposta parziale dopo un anno è risultata del 57,1% nel gruppo trattato solo con le CAR-T (IC al 95% 22,0-92,3) e del 64,7% nel gruppo trattato con ibrutinib in concomitanza (IC al 95%: 37,2-92,2).
«Non ci sono state ricadute nei pazienti che hanno raggiunto una PFS a 4 anni», ha detto Frost, aggiungendo che in questi pazienti, pertanto, «le risposte alle CAR-T sono durature e potenzialmente curative».
L’OS a 5 anni è risultata del 78,6% nei pazienti trattati solo con le CAR-T (IC al 95% 53,9-100) e del 70,6% in quelli trattati con ibrutinib in concomitanza (IC al 95% 44,8-96,4).
Sopravvivenza superiore nei pazienti con risposta completa
Tra i 31 pazienti analizzati, il 71% ha raggiunto una risposta completa, mentre il 29% ha ottenuto risposta, ma inferiore alla risposta completa, nel primo anno dopo l’infusione delle CAR-T. La PFS e l’OS e sono risultate superiori nei pazienti che hanno ottenuto una risposta completa a quelli con risposte inferiori (P = 0,014 e 0,046, rispettivamente).
Sul fronte della sicurezza, l’ipogammaglobulinemia è stata l’evento avverso di più frequente riscontro; il 90,3% dei pazienti ha necessitato del ricorso alle immunoglobuline per via endovenosa (IVIG) almeno una volta e il 67,7% necessitava ancora di IVIG all’ultimo follow-up.
Si può parlare di guarigione dopo CAR-T in alcuni casi?
Un membro del pubblico che ha assistito alla presentazione di dati ha chiesto a Frost se la persistenza del transgene del CAR debba essere considerata semplicemente una persistenza della terapia, e quindi il termine ‘guarigione’ potrebbe essere un po’ azzardato; dopo tutto, i pazienti in terapia con ibrutinib che non presentano una malattia residua misurabile rilevabile dopo 10 anni non sono considerati guariti perché sono ancora in trattamento.
Frost ha risposto che alcuni pazienti analizzati hanno mostrato una persistenza del transgene del CAR, ma anche un recupero della conta dei linfociti B, a suggerire che, forse, potrebbe esistere una sorta di ‘escape’ dei linfociti B, motivo per cui non hanno una recidiva della malattia. «È in questi pazienti che, molto probabilmente, potremmo parlare di guarigione», ha concluso l’autore.
Bibliografia
BF Frost BF, et al. Curing CLL: long-term outcomes of chronic lymphocytic leukemia patients with at least one year of response to CART-19 therapy. ASH 2024; abstract 588. leggi