In pazienti con porpora trombotica trombocitopenica, l’aggiunta dell’anticorpo monoclonale caplacizumab allo scambio di plasma e all’immunosoppressione migliora gli outcome
Nei pazienti con porpora trombotica trombocitopenica, l’aggiunta dell’anticorpo monoclonale caplacizumab allo scambio di plasma e all’immunosoppressione migliora gli outcome e riduce l’impiego di risorse sanitarie. È quanto emerge da una revisione sistematica e metanalisi di 23 studi presentata al recente congresso dell’American Society of Hematology (ASH), a San Diego (abstract 4001).
La porpora trombotica trombocitopenica
La porpora trombotica trombocitopenica acquisita o immune (aTTP/iTTP) è una patologia rara della coagulazione del sangue dall’esito quasi sempre fatale, se non trattata.
La malattia, causata da un deficit acquisito o congenito dell’enzima plasmatico ADAMTS13 (una proteasi plasmatica che scinde il fattore di von Willebrand in parti più piccole), è caratterizzata dall’estesa formazione di coaguli nei piccoli e grandi vasi di tutto il corpo, che determina a sua volta trombocitopenia grave (conta piastrinica molto bassa), anemia emolitica microangiopatica (perdita di globuli rossi dovuta a distruzione), ischemia (limitato apporto di sangue ai tessuti) e danni diffusi agli organi, in particolare cervello e cuore.
Il trattamento attuale consiste principalmente nello scambio plasmatico (una procedura trasfusionale che consiste nella rimozione del plasma del paziente e sua sostituzione con plasma di donatori), in associazione con farmaci immunosoppressori.
Nonostante questo trattamento, i pazienti restano a rischio di recidivare e di sviluppare eventi vascolari quali ictus e infarto, ma non solo. Un lavoro presentato al congresso (abstract 144) evidenzia che anche nelle fasi di remissione della malattia i pazienti vanno incontro a episodi progressivi di infarti cerebrali silenti, anche in assenza di episodi acuti, che si associano a una compromissione cognitiva e aumentano a loro volta il rischio di ictus conclamato.
Il rischio di sanguinamenti
Le persone con porpora trombotica trombocitopenica, inoltre, sono esposte a un rischio di sanguinamenti, come evidenziato da uno studio statunitense riportato a San Diego (abstract 2619). In questo lavoro, gli autori hanno analizzato, in pazienti affetti da iTTP nel periodo 2012-2019 (era pre-caplacizumab) incidenza, pattern e fattori predittivi di sanguinamento evidenziando un tasso di sanguinamenti maggiori non trascurabile, pari al 5%. Sono necessari ulteriori studi per stabilire i fattori di rischio di emorragia nell’iTTP, soprattutto in considerazione del crescente utilizzo di caplacizumab nel trattamento dell’iTTP.
Sul fronte del sanguinamento, caplacizumab è risultato associato a un aumento del rischio di eventi emorragici rispetto al trattamento di controllo (RR 1,40; IC al 95% 1,08-1,80). Tuttavia, sottolineano gli autori della metanalisi, quando si sono valutati specificamente gli eventi emorragici maggiori, la differenza non è risultata statisticamente significativa (RR 2,11; IC al 95% 0,62-7,22). Pertanto, fanno notare i ricercatori, l’anticorpo ha aumentato solo il rischio di eventi minori e gestibili.
Peraltro, un lavoro presentato sempre a San Diego mostra come l’implantazione di un team multidisciplinare specializzato nella gestione della microangiopatia trombotica (TMA team) e di un protocollo specifico per l’iTTP possa ridurre la morbidità associata a questa malattia e migliorare l’assistenza ai pazienti che ne sono affetti.
Caplacizumab
Nei pazienti adulti con porpora trombotica trombocitopenica acquisita, allo scambio di plasma e all’immunosoppressione si può associare caplacizumab.
Disponibile dal 2020 anche in Italia, caplacizumab è nanoanticorpo bivalente diretto contro il fattore di Von Willebrand (vWF) che agisce in modo rapido ed efficace quando il sistema immunitario alterato inizia a produrre anticorpi che inattivano l’enzima ADAMTS13, impedendo la regolazione del processo di coagulazione del sangue. In particolare, il farmaco blocca l’interazione dei multimeri del vWF ad alto peso molecolare con le piastrine e ha, quindi, un effetto inibitorio immediato sull’adesione piastrinica e sulla conseguente formazione e accumulo dei microcoaguli che causano la trombocitopenia grave, l’ischemia tissutale e la disfunzione d’organo nella porpora trombotica trombocitopenica.
Dal momento dell’approvazione di caplacizumab, vari studi di real life, con campioni di numerosità differenti e diversi bracci di confronto, hanno fornito dati sui pazienti trattati con l’anticorpo. Tuttavia, data la rarità della patologia, molti di questi studi avevano dimensioni ridotte, il che in alcuni casi rendeva difficile valutare la significatività statistica di alcuni endpoint. Da qui il razionale della metanalisi presentata a San Diego da Paul Coppo, dell’Hôpital Saint-Antoine di Parigi, il cui obiettivo era confrontare gli outcome nei pazienti trattati con caplacizumab in associazione con lo scambio di plasma e gli immunosoppressori e in quelli trattati con i soli scambio di plasma e immunosoppressori.
La metanalisi
Effettuando una revisione sistematica della letteratura nei data base Cochrane, PubMed ed Embase, Coppo e i colleghi hanno identificato un totale di 23 studi, di cui due trial clinici randomizzati e controllati, due trial clinici non randomizzati, 9 studi di confronto fra coorti e 10 studi su singole coorti.
La dimensione campionaria variava da 5 a 113 (per un totale di 1286 episodi trattati) nelle coorti trattate con caplacizumab e da 212 a 2016 nelle coorti di controllo.
Gli autori hanno, quindi, condotto alcune metanalisi di questi dati per valutare endpoint quali il tempo di normalizzazione della conta piastrinica, le esacerbazioni, le recidive, la degenza ospedaliera, la durata dello scambio di plasma, la mortalità e gli eventi emorragici.
Tempo di normalizzazione della conta piastrinica dimezzato e tassi di mortalità ridotti con caplacizumab
Le metanalisi hanno mostrato che il trattamento con caplacizumab ha ridotto in modo significativo, del 51%, il tempo mediano di normalizzazione della conta piastrinica rispetto al controllo: 3,59 giorni contro 7,36 giorni (differenza mediana, MD: -3,77 giorni; IC al 95% da -5,86 a -1,68).
Anche i tassi di mortalità sono risultati significativamente a favore di caplacizumab rispetto al controllo (RR 0,44; IC al 95% 0,21-0,92), con un Number Needed to Treat (NNT) di 25 pazienti, il che corrisponde a un decesso evitato ogni 25 pazienti trattati.
Meno esacerbazioni e minor consumo di risorse sanitarie con caplacizumab
Inoltre, il trattamento con caplacizumab ha mostrato di ridurre in modo significativo i tassi di esacerbazioni rispetto al trattamento di controllo (RR 0,41; IC al 95% 0,22-0,76), con un NNT pari a 5 (numero di pazienti da trattare con caplacizumab per evitare un’esacerbazione).
Il trattamento con l’anticorpo ha permesso anche un minore impiego di risorse sanitarie. Infatti, nei pazienti trattati con caplacizumab si è osservata una riduzione significativa, del 30%, della durata della degenza ospedaliera rispetto al trattamento di controllo: 12,31 giorni contro 17,65 giorni (MD -5,34 giorni; IC al 95% da -7,09 a-3,58). Inoltre, i ricercatori hanno calcolato una riduzione significativa, del 41%, della durata dello scambio di plasma: 6,41 giorni contro 10,92 giorni (MD -4,51 giorni; IC al 95% da -5,87 a-3,15).
Il progetto ‘capla 500+’
Nel loro poster, Coppo e i colleghi riportano anche i dati ottenuti nella survey ‘capla 500+’, un progetto accademico internazionale portato avanti dopo che era stata effettuata la revisione sistematica della letteratura oggetto del poster.
Nel progetto sono stati coinvolti 942 pazienti adulti trattati con caplacizumab in aggiunta allo scambio di plasma e gli immunosoppressori, confrontati con 495 controlli storici, selezionati in modo casuale, trattati solo con lo scambio di plasma e gli immunosoppressori.
L’analisi ha evidenziato che l’aggiunta di caplacizumab allo scambio di plasma e agli immunosoppressori è stata efficace nel prevenire esiti sfavorevoli, fra cui i decessi, durante la fase acuta della malattia, con una sopravvivenza a 3 mesi del 98,6% contro 93,3% (P < 0,0001); inoltre, ha ridotto il carico assistenziale, anche se potenzialmente al prezzo di rari episodi di sanguinamento maggiore (2%). Nei pazienti che hanno iniziato precocemente il trattamento con caplacizumab, sottolineano, infine, gli autori, gli outcome sfavorevoli sono stati particolarmente infrequenti (decessi: 1%, refrattarietà: 1,1%; esacerbazioni: 5,3%).
Identificata prima mutazione di resistenza a caplacizumab
Al meeting di San Diego è stato presentato anche il primo caso di resistenza a caplacizumab in un paziente con porpora trombotica trombocitopenica, nel quale è stato riscontrato un fallimento della soppressione dell’attività del fattore di von Willebrand sia in vivo sia in vitro (abstract 4004).
L’analisi genetica ha evidenziato la presenza della mutazione missenso P1266L nell’esone 28 del gene del fattore di von Willebrand, che coinvolge il sito di legame A1-GP1b.
Pertanto, concludono I ricercatori, di fronte a pazienti che presentano esacerbazioni della malattia nonostante il trattamento con caplacizumab, si dovrebbero controllare i livelli di attività del fattore di von Willebrand.
Bibliografia
P. Coppo, et al. Caplacizumab in Immune-Mediated Acquired Thrombotic Thrombocytopenic Purpura: A Systematic Literature Review and Meta-Analyses of Clinical Trials and Observational Studies. ASH 2024; abstract 4001. leggi
S. Chaturvedi, et al. Silent Cerebral Infarction Is Progressive during Clinical Remission and Associated with Stroke in Immune TTP Survivors. ASH 2024; abstract 144. leggi
S. Yu, et al. Improving Thrombotic Thrombocytopenic Purpura Outcomes with a TMA Team and TTP Pathway. ASH 2024; abstract 2615. leggi
A. Mahmoud, et al. Characterization of Bleeding in Thrombotic Thrombocytopenic Purpura Treated without Caplacizumab. ASH 2024; abstract 2619. leggi
M. Thomas, et al. Caplacizumab Resistance in Immune Thrombotic Thrombocytopenic Purpura (TTP) Mediated By VWF A1 Domain Missense Mutation. ASH 2024; abstract 4004. leggi