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Crohn e colite ulcerosa: transizione da somministrazione endovenosa a sottocutanea è sicura

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La transizione dalla somministrazione endovenosa a quella sottocutanea autoiniettata nei pazienti con Crohn o colite ulcerosa in remissione clinica è sicura

La transizione dalla somministrazione endovenosa a quella sottocutanea autoiniettata nei pazienti con malattie infiammatorie croniche intestinali in remissione clinica è un’opzione appropriata e sicura in chi è in trattamento endovenoso con infliximab o vedolizumab. In questo contesto, è fondamentale tenere conto delle scelte e delle preferenze del paziente. È quanto evidenzia uno studio multicentrico italiano pubblicato su Digestive diseases and sciences.

Le malattie infiammatorie croniche intestinali (IBD), tra cui la colite ulcerosa (UC) e la malattia di Crohn (CD), sono un gruppo di disturbi infiammatori cronici che possono causare danni strutturali all’intestino e perdita di funzione, portando a disabilità.
La gestione iniziale delle IBD con terapie convenzionali prevede l’uso di mesalazina, corticosteroidi e/o immunomodulatori, mentre i farmaci biologici sono indicati per i pazienti con attività di malattia da moderata a severa che non rispondono ai trattamenti convenzionali.

Tra i farmaci approvati per la gestione delle IBD figurano gli inibitori del fattore di necrosi tumorale (TNF) alfa, l’anticorpo anti-integrina α4β7 selettivo per l’intestino (vedolizumab-VDZ), l’anticorpo anti-IL-12/23 (ustekinumab), l’anticorpo anti-IL-23 (risankizumab) e gli inibitori delle Janus chinasi (JAK) (tofacitinib, filgotinib e upadacitinib).
Questi farmaci possono essere somministrati per via endovenosa (IV), sottocutanea (SC) o orale (PO).

Il trattamento autogestito, in particolare, è la scelta preferita dai pazienti, poiché riduce le visite mediche e offre vantaggi al sistema sanitario in termini di risparmio di risorse. Oltre ai costi diretti associati alle procedure mediche, occorre considerare anche le spese di viaggio e la perdita di produttività legate alla somministrazione endovenosa.

Di recente, la Food and Drug Administration (FDA) e l’Agenzia Europea per i Medicinali (EMA) hanno approvato nuovi dispositivi auto-iniettori per la somministrazione sottocutanea di farmaci biologici precedentemente somministrati per via endovenosa. Questa formulazione innovativa ha introdotto il concetto di “biobetter drug”, sebbene la sua definizione sia ancora in evoluzione.
Il biosimilare IFX CT-P13 in formulazione sottocutanea (SC) ha dimostrato di essere efficace nella terapia di mantenimento per pazienti con CD e UC attivi, mostrando risultati comparabili a quelli del trattamento endovenoso (IV) in termini di sicurezza e immunogenicità.

Sulla base delle sue proprietà farmacocinetiche, con CT-P13 SC sono state osservate concentrazioni sieriche medie più stabili allo stato stazionario, garantendo un’esposizione sistemica costante con concentrazioni minime superiori al livello terapeutico target. Inoltre, la formulazione biobetter di IFX è stata approvata anche per artrite reumatoide, spondilite anchilosante, artrite psoriasica e psoriasi.

Analogamente, è stata sviluppata una formulazione SC di vedolizumab, che si è dimostrata efficace e generalmente sicura come terapia di mantenimento per UC e CD. Questa opzione terapeutica innovativa prevede una fase di induzione con somministrazione endovenosa seguita da una transizione alla somministrazione sottocutanea durante la fase di mantenimento.

“La disponibilità di formulazioni sottocutanee per alcuni farmaci biotecnologici finora disponibili solo per via endovenosa ha rappresentato un punto chiave nella gestione clinica dei pazienti affetti da malattie infiammatorie croniche intestinali, consentendo da un lato di sgravare ambulatori e day hospital ospedalieri di un carico di lavoro infusionale importante, e dall’altro, ancora più importante, di consentire ai pazienti di effettuare comodamente la terapia al proprio domicilio, con conseguente minore perdita di giornate di lavoro, accesso alle strutture sanitarie e miglioramento della qualità della vita” ha dichiarato la dott.ssa Elisa Stasi, Gastroenterologa ed Endoscopista presso l’Ospedale Vito Fazzi, UOS Gastroenterologia Ed Endoscopia Digestiva, Lecce e tra gli autori dello studio.
Per valutare la fattibilità di questa transizione, è stato condotto uno studio osservazionale prospettico multicentrico, mirato a confrontare la qualità della vita (QoL) e la persistenza della terapia nei pazienti con IBD stabilizzati con terapia IV, dopo il passaggio a IFX SC rispetto a VDZ SC.

“Questo studio osservazionale multicentrico prospettico ha valutato la transizione dalla terapia per via endovenosa alla terapia per via sottocutanea per infliximab (anticorpo monoclonale anti TNF) e vedolizumab (anticorpo monoclonale anti integrina) in pazienti affetti da malattie infiammatorie croniche intestinali (malattia di Crohn e rettocolite ulcerosa)” ha precisato la dott.ssa Stasi.
Lo scopo dello studio è stato quello di valutare l’aderenza alla terapia, la persistenza in terapia e la qualità della vita dei pazienti, quest’ultima valutata tramite questionari validati, nonché eventuali perplessità dei pazienti sulla modifica della via di somministrazione del farmaco.

A tutti i pazienti arruolati nello studio è stato richiesto di compilare due questionari durante ogni visita (T0, T6 e T12) per valutare:
1. La qualità della vita (QoL) utilizzando il questionario breve per le malattie infiammatorie croniche intestinali (sIBDQ);
2. Le preoccupazioni e le aspettative relative alle diverse modalità di somministrazione del farmaco, attraverso un questionario composto da 6 domande, ciascuna valutata su una scala Likert a 6 punti, con punteggi che vanno da 0 a 5.

Un totale di 108 pazienti era idoneo al trattamento sottocutaneo; di questi, 93 hanno accettato di partecipare allo studio: 51 erano in trattamento endovenoso con IFX e 42 con VDZ. I dati demografici, clinici e farmacologici mostrano che il 56% dei pazienti era di sesso maschile, con un’età mediana di 42 anni. I pazienti del gruppo IFX erano significativamente più giovani rispetto a quelli del gruppo VDZ (p=0.002). La durata mediana della IBD era di 12 anni, ma significativamente inferiore nel gruppo IFX (p=0.018).

Non sono state rilevate differenze significative tra i due gruppi per PMS (p=0.384) e HBI (p=0.297). Comorbidità erano presenti nel 57% dei pazienti, con una prevalenza maggiore nel gruppo VDZ (p=0.001). L’UC era tre volte più frequente nel gruppo VDZ, mentre l’IFX veniva utilizzato più spesso come prima linea terapeutica rispetto al VDZ, impiegato maggiormente come seconda o terza linea.

Qualità della Vita (QoL)
Alla visita iniziale (T0), la QoL misurata con il sIBDQ era leggermente inferiore nel gruppo VDZ rispetto al gruppo IFX (p=0.956). A T6, il gruppo IFX ha mostrato un miglioramento significativo della QoL (p<0.001) rispetto al gruppo VDZ e rispetto ai valori iniziali. Globalmente, la somministrazione SC ha migliorato la QoL in entrambi i gruppi a T6 (p<0.001). Tuttavia, a T12 si è osservato un calo della QoL rispetto a T6 (p=0.005), con valori leggermente superiori rispetto a T0 (p=0.656).
Il questionario Likert ha evidenziato una leggera preferenza iniziale per la somministrazione sottocutanea nel gruppo IFX rispetto al gruppo VDZ (p=0.991). Entrambi i gruppi non hanno riportato difficoltà significative con la somministrazione SC. Tuttavia, a T12 il gruppo VDZ ha mostrato un lieve aumento della preoccupazione per la minore supervisione del personale sanitario (p=0.010).

Aderenza e Persistenza
L’aderenza al trattamento SC è stata simile in entrambi i gruppi (IFX 89.47% vs VDZ 82.35%, p=0.285). Dopo 12 mesi, il tasso di persistenza era quasi identico (IFX 78.44% vs VDZ 78.57%). Gli abbandoni sono stati causati da reazioni avverse, strategie di uscita o eventi clinici.

Sicurezza
Le reazioni locali erano comparabili tra i gruppi (IFX 19.60% vs VDZ 19.04%), includendo dolore, arrossamento e indurimento nel sito d’iniezione. Le reazioni sistemiche erano più comuni nel gruppo IFX (11.6% vs 7.14%), con sintomi come astenia, mialgia e rash cutaneo. Un caso di anafilassi è stato riportato nel gruppo IFX.
I tassi di persistenza terapeutica per IFX SC sono risultati inferiori rispetto ai dati di letteratura, mentre quelli per VDZ SC sono coerenti. In conclusione, il passaggio alla somministrazione SC è un’opzione valida per pazienti in remissione clinica, con un beneficio significativo nella QoL nei primi 6 mesi. Tuttavia, è fondamentale rispettare la preferenza del paziente e confermare i risultati con studi a lungo termine.

Gli autori hanno evidenziato che in questo studio, la QoL è migliorata significativamente a 6 mesi dall’inizio della terapia SC, ma ha mostrato un miglioramento solo lieve dopo un anno rispetto ai valori iniziali. Circa il 20% dei pazienti ha riportato reazioni locali, mentre le reazioni sistemiche sono state più comuni nel gruppo IFX, sebbene senza eventi gravi.

Come ha concluso la dott.ssa Stasi: “Lo studio non ha mostrato differenze fra i due farmaci in termini di persistenza in terapia, non ha determinato particolari perplessità da parte dei pazienti, nei quali si è osservato un miglioramento della qualità di vita, particolarmente nei primi 6 mesi dalla transizione. Per concludere la transizione alla via di somministrazione sottocutanea è un’opzione appropriata e sicura nei pazienti in terapia con infliximab e vedolizumab per via endovenosa, e può essere presa in considerazione in pazienti in remissione clinica, tenendo in considerazione le preferenze del paziente”.

Dovrebbe però essere condotto uno studio con un periodo di follow up più lungo e una valutazione del rapporto costo-efficacia della terapia sottocutanea (SC) per sensibilizzare e incoraggiare i pazienti ad adottare questa opzione di trattamento.
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Principi M. et al., Transition to Subcutaneous Infliximab vs Vedolizumab in Inflammatory Bowel Disease: A Prospective Multicenter Study Dig Dis Sci. 2024 Dec;69(12):4458-4466.
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