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Mieloma multiplo: nuovi dati su isatuximab con la tripletta standard VRd

Mieloma multiplo, anito-cel

Mieloma multiplo: arrivano nuovi dati a sostegno di isatuximab in combinazione con la tripletta standard VRd

Il trattamento iniziale con l’anticorpo monoclonale anti-CD38 di seconda generazione isatuximab in combinazione con la tripletta standard VRd (bortezomib, lenalidomide e desametasone) seguito da un mantenimento con isatuximab più Rd (lenalidomide e desametasone) produce risposte rapide e più profonde, con tassi superiori di negatività della malattia residua minima (MRD) e di MRD-negatività mantenuta nel tempo, e migliora la sopravvivenza libera da progressione (PFS) rispetto alla sola tripletta VRd seguita dalla doppietta Rd nella fase di mantenimento, nei pazienti con mieloma multiplo di nuova diagnosi non idonei al trapianto autologo di cellule staminali emopoietiche. Lo dimostrano i dati aggiornati dello studio registrativo IMROZ, presentati da poco al meeting annuale della Società Americana di Ematologia (ASH), a San Diego.

Con l’aggiunta di isatuximab al regime standard un numero significativamente maggiore e quasi doppio di pazienti ha ottenuto una negatività della MRD (misurata con una sensibilità pari 10-5 mediante sequenziamento di ultima generazione, o NGS) mantenuta per 12 mesi o più: 46,8% contro 24,3%. Inoltre, il 25,7% dei pazienti del braccio isatuximab-VRd ha mantenuto l’MRD-negatività per 36 mesi o più rispetto al 7,2% dei pazienti del braccio VRd.

«Isatuximab-VRd seguito da isatuximab-Rd ha portato a una risposta rapida e più profonda, sulla base dei dati di MRD-negatività, nel tempo e ha dimostrato un beneficio costante rispetto a VRd in ogni punto temporale fino a 60 mesi, che alla fine si è tradotto in un beneficio di sopravvivenza libera da progressione mantenuto nel tempo», ha affermato l’autore principale dello studio, Robert Z. Orlowski, del Department of Lymphoma & Myeloma presso lo University of Texas MD Anderson Cancer Center di Houston, durante la presentazione dei risultati. «Questi dati supportano fortemente il beneficio di isatuximab in aggiunta a VRd come terapia di inizio, nonché l’aggiunta di isatuximab a Rd durante il mantenimento, nei pazienti con mieloma multiplo di nuova diagnosi non idonei al trapianto».

MRD-negatività endpoint surrogato sempre più importante
La MRD-negatività rappresenta una misurazione delle cellule cancerose rimaste nel midollo osseo dopo il trattamento ed è sempre più utilizzata come endpoint surrogato della PFS nella ricerca sul mieloma multiplo.

Numerosi studi indipendenti hanno dimostrato vi è una correlazione tra negatività della MRD, risposte più profonde al trattamento e migliori risultati a lungo termine.

Nell’analisi dello studio presentata a San Diego gli autori si sono focalizzati su ulteriori valutazioni della dinamica dell’MRD-negatività.

Quadrupletta isatuximab-VRd già approvata
A settembre 2024, la Food and drug administration ha approvato isatuximab in combinazione con VRd per i pazienti con mieloma multiplo di nuova diagnosi non idonei al trapianto autologo di cellule staminali. Nel novembre scorso, anche il Comitato per i medicinali per usoumano (Chmp) dell’Agenzia europea per i medicinali (Ema) ha dato parere positivo all’approvazione della quadrupletta isatuximab-VRd per la stessa indicazione. La decisione finale dell’agenzia europea è attesa nei prossimi mesi.

Il via libera si basa su una precedente valutazione dello studio IMROZ, pubblicata sul New England Journal of Medicine.

In tale analisi, con un follow-up mediano di 59,7, mesi l’aggiunta di isatuximab al regime standard ha dimostrato di ridurre del 40% il rischio di progressione della malattia o decesso (HR 0,60; IC al 95%, 0,44-0,81; P = 0,0009) e la mediana della PFS non era ancora stata raggiunta nel braccio trattato con isatuximab (NR; IC al 95% NR-NR) mentre era risultata di 54,3 mesi nel braccio di controllo (IC al 95% 45,2-NR).

Lo studio IMROZ
IMROZ (NCT03319667) è uno studio multicentrico internazionale di fase 3, randomizzato, in aperto, che ha arruolato in 104 centri di 21 Paesi, fra cui l’Italia, 446 pazienti con mieloma multiplo di nuova diagnosi, non eleggibili al trapianto autologo per l’età avanzata (al massimo 80 anni) o per la presenza di comorbidità.

I partecipanti sono stati assegnati secondo un rapporto 3:2 al trattamento iniziale con isatuximab più VRd (IsaVRd, braccio sperimentale) o con la sola tripletta VRd (braccio di controllo). Nel braccio sperimentale isatuximab è stato somministrato per infusione endovenosa alla dose di 10 mg/kg una volta alla settimana per 5 settimane durante il primo ciclo di 6 settimane e una volta ogni 2 settimane nei cicli da 2 a 4 in associazione a bortezomib 1,3 mg/m2 sottocute, lenalidomide 25 mg per os e desametasone 20 mg per via endovenosa o orale, come trattamento di induzione. Successivamente, isatuximab è stato somministrato ogni 2 settimane (il giorno 1 e il giorno 15) dal ciclo 5 al ciclo 17 e ogni 4 settimane (il giorno 1) nei cicli dal 18 in avanti, in cicli di 28 giorni, in combinazione con lenalidomide e desametasone alla dose standard, come terapia di mantenimento, fino alla progressione della malattia, al manifestarsi di una tossicità inaccettabile o alla decisione del paziente di interrompere il trattamento.

L’endpoint primario dello studio era la PFS, mentre tra i principali endpoint secondari figurano il tasso di risposta completa, il tasso di MRD-negatività per i pazienti con risposta completa, il tasso di risposta parziale molto buona o migliore (≥VGPR), e la sopravvivenza globale (OS). Altri endpoint secondari erano il tempo alla progressione, la durata della risposta, il tempo alla prima risposta, il tempo alla migliore risposta, la PFS alla linea di terapia successiva (PFS2), la PFS in base allo stato della MRD, il tasso di MRD-negatività mantenuta per almeno 12 mesi, la sicurezza e la qualità di vita.

Le caratteristiche dei pazienti
Le caratteristiche dei pazienti al basale erano ben bilanciate nei due bracci di trattamento.

L’età mediana in entrambi i bracci era di 72 anni e più di un quarto dei partecipanti in ognuno (26% nel braccio IsaVRd e 31,5% nel braccio VRd) aveva tra i 75 e gli 80 anni.
Inoltre, la stragrande maggioranza dei pazienti (88,7% nel braccio IsaVRd e 89,5% nel braccio RVd) aveva un performance status ECOG pari a 0 o 1 e rispettivamente il 24,9% e il 34,3% aveva una velocità di filtrazione glomerulare stimata inferiore a 60 ml/min/1,73 m².

Il 15,1% dei pazienti nel braccio di isatuximab e il 18,8% nel braccio di controllo avevano un profilo citogenetico ad alto rischio e rispettivamente il 7,2% e l’8,3% un profilo citogenetico ad alto rischio con gain (almeno tre copie) del cromosoma 1q21 (1q21+).

Analisi della MRD
Per la valutazione della MRD, le cellule sono state analizzate utilizzando il sequenziamento di nuova generazione (NGS) clonoSEQ con una sensibilità di almeno 10-5 da aspirati di midollo osseo. La misurazione è stata eseguita al basale, a 6 mesi, poi ai mesi 12, 18, 24 e 36, e in seguito una volta all’anno. A San Diego sono stati presentati i risultati delle analisi sia con una sensibilità pari a 10-5 sia con una sensibilità pari a 10-6.

«C’è stato un rapido aumento intorno ai 6 mesi, quando è stata effettuata la prima misurazione, sia con una sensibilità di 10-6 sia con una sensibilità di 10-5, e i tassi di MRD-negatività sono risultati più alti più alti con IsaVRd rispetto a VRd», ha affermato Orlowski. «Inoltre, un numero maggiore di pazienti ha raggiunto la negatività dell’MRD in momenti successivi con IsaVRd rispetto a VRd durante lo studio».

Con IsaVRd MRD-negatività superiore sia durante l’induzione sia durante il mantenimento
Sono stati osservati tassi più elevati di negatività della MRD sia alla fine del periodo di induzione sia durante il mantenimento. Nella popolazione Intention-To-Treat (ITT) ha raggiunto la negatività della MRD il 58,1% dei pazienti del braccio isatuximab-VRd contro il 43,6% dei controlli (OR 1,79; IC al 95% da 1,22 a 2,63; P = 0,0014).

Le risposte hanno continuato ad approfondirsi nel tempo, in misura maggiore nel braccio trattato con la quadrupletta rispetto la braccio di controllo. Tra i 307 pazienti con MRD valutabile, il 49,7% nel braccio isatuximab ha raggiunto l’MRD negatività (misurata con una sensibilità pari a 10-5) nei primi 6 mesi rispetto al 41,1% nel braccio di controllo. Entro il mese 12, il 54% dei pazienti trattati con isatuximab ha raggiunto la MRD-negatività rispetto al 39,2% dei controlli. Il tasso di MRD-negatività si è poi stabilizzato nel braccio di controllo, mentre ha continuato ad aumentare nel braccio isatuximab, con un tasso di MRD-negatività del 67,6% a 48 mesi e del 76,1% a 60 mesi nel braccio sperimentale contro rispettivamente il 41,7% e il 40% nel braccio di controllo. I risultati sono stati simili quando si è analizzato il gruppo dei pazienti che avevano ottenuto una risposta completa con una MRD negativa.

Minore probabilità di perdere l’MRD negatività con la quadrupletta con isatuximab
Inoltre, i pazienti trattati con isatuximab-VRd hanno mostrato una probabilità significativamente minore di perdere lo stato di negatività della MRD dopo l’induzione; di questi pazienti, infatti, solo il 12,3% è diventato MRD-positivo durante il mantenimento (a 36 mesi), rispetto al 34,8% dei pazienti nel braccio di controllo.

Anche i tassi di MRD-negatività mantenuta per almeno 24 mesi e per almeno 36 mesi sono stati da due a tre volte superiori con isatuximab-VRd rispetto a VRd: 35,8% contro 13,3% e 25,7% contro 7,2%, rispettivamente.

Il mantenimento del MRD-negatività nel tempo è rimasto costante anche quando l’MRD è stata valutata con una sensibilità pari a 10-6. Utilizzando questa soglia, il tasso di MRD-negatività mantenuta per 12 mesi o più è risultato del 27,9% nel braccio isatuximab contro 12,7% nel braccio di controllo, mente quello di MRD-negatività mantenuta per 36 mesi o più è risultato rispettivamente del 12,1% contro 3,9% VRd.

Una MRD-negatività mantenuta nel tempo è stata osservata anche in tutti i sottogruppi chiave, in particolare quelli dei pazienti considerati fragili, tra cui quello con citogenetica ad alto rischio, anche se, ha osservato Orlowski, il numero di pazienti in questi sottogruppi era limitato. In ogni caso, ha detto l’autore, anche in questi sottogruppi il trattamento con isatuximab più VRd ha offerto un beneficio davvero interessante.

Beneficio di MRD-negatività con isatuximab si traduce anche in un beneficio di PFS
Le risposte profonde osservate con la quadrupletta si sono infine tradotte in un beneficio precoce in termini di PFS, che si è mantenuto nel tempo.

Coloro che hanno raggiunto in qualsiasi momento l’MRD-negatività (misurata con una sensibilità pari a 10-5) hanno mostrato una riduzione del 44% del rischio di progressione o morte con isatuximab rispetto al controllo (HR 0,564; IC al 95% 0,325-0,979; P = 0,0418). Per coloro che hanno raggiunto l’MRD-negatività nei primi 6 mesi di trattamento, si è osservata una riduzione del 48% del rischio di progressione o morte con l’aggiunta di isatuximab al regime standard (HR 0,562; IC al 95% 0,296-1,068; P = 0,0784).

Per quanto riguarda il profilo di sicurezza e tollerabilità del regime sperimentale, i dati osservati in questo studio sono risultati coerenti con il profilo di sicurezza consolidato di isatuximab e della tripletta VRd, senza che siano stati osservati nuovi segnali di sicurezza.

Qualità della vita migliorata con la quadrupletta isatuximab-VRd
A San Diego sono stati poi riportati i risultati di un’ulteriore analisi dello studio IMROZ, focalizzata sulla valutazione della qualità di vita dei pazienti durante il trattamento.

In un paziente già di per sé non idoneo al trapianto, la qualità di vita è un aspetto rilevante nell’ambito di una terapia efficace, ma anche impegnativa, come la combinazione di un anticorpo monoclonale con un inibitore del proteasoma, un immunomodulante e desametasone.

I risultati dimostrano che l’aggiunta di isatuximab alla tripletta VRd non solo non impatta negativamente sulla qualità di vita legata alla salute, ma, al contrario, nell’arco di un periodo di 5 anni il trattamento con la quadrupletta si è associato a un miglioramento più rapido e duraturo di questo parametro, compreso un miglioramento di sintomi quali il dolore, la dispnea e l’insonnia.

«Aggiungere un quarto farmaco (al regime di trattamento, ndr) soprattutto nei pazienti più anziani, potrebbe comportare un aggravio in termini di tossicità e quindi un peggioramento della qualità di vita; questa analisi, invece, ha mostrato esattamente l’opposto», ha rimarcato Zamagni. «Il fatto che la quadrupletta porti più pazienti a ottenere una risposta profonda e duratura riduce i sintomi legati al mieloma e quindi migliora la qualità di vita dei pazienti; anche perché il sintomo principale di questa combinazione di farmaci è la neuropatia, che è legata al bortezomib, presente in entrambi i bracci di trattamento dello studio, e si manifesta soprattutto nei primi mesi di terapia, ma va scemando quando bortezomib viene sospeso».

Quadrupletta IsaVRd efficace e fattibile anche in pazienti molto anziani
La quadrupletta IdaVRd è stata valutata anche in uno studio di fase 1b in un’ampia popolazione di pazienti con mieloma multiplo di nuova diagnosi non candidabili al trapianto o per i quali non vi era l’intenzione di effettuare un trapianto nell’immediato, senza restrizioni per quanto riguarda l’età dei partecipanti; una popolazione, dunque, più ampia rispetto a quella arruolata nello studio IMROZ e che conteneva anche pazienti di età superiore agli 80 anni.

A San Diego sono stati riportati i risultati di efficacia e sicurezza a lungo termine di questo trial, analizzando nello specifico anche i pazienti più anziani, quelli over 75.

I risultati di PFS sono apparsi sovrapponibili a quello di IMROZ, evidenziando che il beneficio a lungo termine della quadrupletta IsaVRd rispetto alla tripletta si estende anche a questa popolazione più ampia di pazienti con mieloma multiplo di nuova diagnosi.

In questo studio del gruppo spagnolo, ha osservato Zamagni, «circa il 20% di pazienti aveva un’età superiore a 75 anni e circa il 5% sopra gli 80 anni. La quadrupletta si è dimostrata fattibile anche in questo contesto. Quindi, anche se le scelte terapeutiche vengono sempre personalizzate sulla base della situazione del paziente, il messaggio chiave di questa analisi è che in termini di sicurezza, fondamentalmente, non vi è una impossibilità assoluta di proporre questa quadrupletta anche nella popolazione più fragile e più anziana, nella quale, peraltro, i dati a lungo termine hanno evidenziato il mantenimento dell’efficacia riscontrata nello studio IMROZ».

Possibile anche somministrazione monosettimanale di bortezomib senza perdere in efficacia
Infine, al congresso americano sono stati presentati anche dati dello studio BENEFIT, nel quale si è valutata la stessa quadrupletta dello studio IMROZ nel medesimo setting di malattia, ma con una schedula che prevedeva una somministrazione di bortezomib monosettimanale (anziché bisettimanale come nel protocollo di IMROZ).

I risultati evidenziano che anche con questa schedula, e quindi con una somministrazione meno frequente di bortezomib, si ottiene un buon risultato su tutta la popolazione, ancora maggiore nei pazienti ad alto rischio.

«Lo studio BENEFIT è uno studio accademico del gruppo francese, con un disegno simile, ma non identico, all’IMROZ e la bella notizia è che ha dimostrato risultati analoghi allo studio registrativo, cioè che la quadrupletta fa la differenza e che, pertanto, è il farmaco aggiunto, isatuximab, a spostare l’ago della bilancia », ha commentato Zamagni. «Anche in questo caso, la quadrupletta si è dimostrata superiore alla tripletta in termini di PFS e MRD-negatività, con valori molto simili a quelli del trial registrativo, e lo studio BENEFIT fornisce la dimostrazione che nella real life il clinico potrà adattare l’impiego e il dosaggio del bortezomib all’interno della quadrupletta», senza perdere in efficacia.

Bibliografia
R.Z. Orlowski, et al. Isatuximab, bortezomib, lenalidomide, and dexamethasone (Isa-VRd) in patients with newly diagnosed multiple myeloma (NDMM): analyses of minimal residual disease (MRD) negativity dynamics in the phase 3 Imroz study. ASH 2024; abstract 770. leggi

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