Linfoma mantellare, ibrutinib più rituximab in prima linea possibile opzione di cura per i pazienti anziani secondo uno studio
In pazienti con linfoma mantellare di almeno 60 anni non trattati in precedenza, il trattamento con la combinazione chemo-free ibrutinib più rituximab può allungare la sopravvivenza libera da progressione (PFS) di quasi 2 anni rispetto rituximab più la chemioterapia. A dimostrarlo sono i dati aggiornati dello studio di fase 3 ENRICH, presentati di recente al convegno annuale dell’American Society of Hemathology (ASH) a San Diego.
A un follow-up mediano di 47,9 mesi, nel braccio trattato con ibrutinib più rituximab la PFS è risultata di quasi 5,5 anni, circa 23 mesi più lunga rispetto a quanto ottenuto con rituximab più la chemioterapia.
Secondo quanto riferito da David John Lewis, dello University Hospitals Plymouth NHS Trust, nel Regno Unito, ENRICH è il primo studio randomizzato a dimostrare un miglioramento della PFS con un regime chemo-free rispetto all’immunochemioterapia in questa popolazione di pazienti.
Lo studio ENRICH
Lo studio ENRICH è un trial multicentrico europeo che ha incluso 397 pazienti con linfoma mantellare non trattato in precedenza di almeno 60 anni di età. Prima della randomizzazione, gli sperimentatori hanno scelto il regime immunochemioterapico tra bendamustina più rituximab o rituximab più ciclofosfamide, doxorubicina, vincristina e prednisolone (R-CHOP).
I partecipanti sono stati poi assegnati in modo casuale al trattamento con ibrutinib più rituximab (199) o rituximab più la chemioterapia (198), creando due gruppi paralleli di confronto: ibrutinib-rituximab contro bendamustina-rituximab (73%) e ibrutinib-rituximab contro il regime R-CHOP (27%).
Le caratteristiche dei pazienti al basale erano generalmente simili tra i bracci di trattamento.
Nuovo standard di cura?
La PFS mediana è risultata significativamente più lunga nel braccio ibrutinib-rituximab rispetto al braccio rituximab più chemioterapia: 65,3 mesi contro 42,4 mesi (HR 0,69; IC al 95% 0,52-0,90; P = 0,003).
Tuttavia, Lewis ha sottolineato che il tipo di chemioterapia scelta dallo sperimentatore ha influenzato in modo significativo la PFS nei diversi bracci (P = 0,004); infatti, la combinazione ibrutinib-rituximab ha superato il regime R-CHOP, ma è risultata simile a bendamustina-rituximab.
Nel gruppo di confronto con R-CHOP, il tasso di PFS a 5 anni è risultato del 52,4% con ibrutinib più rituximab contro 19,2% con l’immunochemioterapia (HR 0,37; IC al 95% 0,22-0,62). Nel gruppo di confronto con bendamustina-rituximab, invece, il tasso di PFS a 5 anni è risultato del 50,8% contro 47,4% (HR, 0,91; IC al 95% 0,66-1,25).
Lewis ha osservato, inoltre, che i pazienti con malattia blastoide sembrano trarre meno beneficio da ibrutinib pù rituximab, anche se questa tendenza non è risultata significativa. In questa sottopopolazione di pazienti, la PFS mediana è risultata di 6,9 mesi con ibrutinib-rituximab e di 21,1 mesi con rituximab più la chemioterapia (HR 2,33; IC al 95% 0,83-6,52).
Sopravvivenza globale simile nei due bracci
La sopravvivenza globale (OS) non ha mostrato differenze statisticamente significative fra i due bracci di trattamento. Il tasso di OS a 5 anni è risultato, infatti, del 57,7% con ibrutinib-rituximab contro 54,5% con la chemioterapia (HR 0,87; IC al 95% 0,64-1,18).
Nel gruppo di confronto con R-CHOP il tasso di OS a 5 anni è risultato rispettivamente del 59,4% contro 46,3% (HR 0,64; IC al 95% 0,36-1,13), mentre nel gruppo di confronto con bendamustina-rituximab è risultato rispettivamente del 57,2% contro 58,1% (HR 1,00; IC al 95% 0,70-1,44).
Sicurezza confermata
Complessivamente, il tasso di eventi avversi di grado 3/4 è risultato del 63,1% con ibrutinib-rituximab, 67,8% con bendamustina-rituximab e 69,2% con il regime R-CHOP.
Nel braccio ibrutinib-rituximab la tossicità ematologica è stata inferiore, ha riferito Lewis, mentre i punteggi relativi alla qualità della vita misurata a metà del trattamento sono risultati migliori.
Il tasso di eventi avversi cardiaci di grado 3/4 è risultato rispettivamente del 22,2%, 4,9% e 13,5%, mentre il tasso di sanguinamento di grado 3/4 è risultato rispettivamente del 5,1%, 2,1% e 5,8% e quello di malattia da COVID-19 di grado 3/4 rispettivamente del 5,1%, 7% e 0%.
Possibile standard di cura?
Sulla base di questi risultati, Lewis ha concluso che ibrutinib più rituximab «può essere considerato uno standard di cura» nei pazienti anziani con linfoma mantellare non trattati in precedenza.
La combinazione non è approvata per questa indicazione negli Stati Uniti e nemmeno nell’Unione europea, ma l’approvazione di ibrutinib per il trattamento di pazienti con linfoma mantellare trattato in precedenza è stata ritirata lo scorso anno.
Bibliografia
D.J. Lewis, et al. Ibrutinib-rituximab is superior to rituximab-chemotherapy in previously untreated older mantle cell lymphoma patients: Results from the international randomised controlled trial, Enrich. ASH 2024; abstract 235. leggi