Nefrite lupica: l’impiego di obinutuzumab, una terapia di deplezione delle cellule B, in aggiunta alla terapia standard, è risultato superiore per efficacia
Il ricorso all’impiego di obinutuzumab, una terapia di deplezione delle cellule B, in aggiunta alla terapia standard, è risultato superiore per efficacia alla sola terapia standard nell’ottenere una risposta renale completa in pazienti con nefrite lupica attiva.
Queste le conclusioni del trial di fase 3 REGENCY, presentato in occasione del Congresso Mondiale della Società Internazionale di Nefrologia, che ha recentemente tenuto i suoi lavori a New Delhi, in India, e contemporaneamente pubblicato sulla rivista NEJM.
“I risultati positivi dello studio REGENCY hanno confermato i risultati di uno studio precedente di fase 2, lo studio NOBILITY, secondo cui la somministrazione di obinutuzumab aveva apportato maggiori benefici ai pazienti con nefrite lupica rispetto al solo trattamento standard – hanno affermato i riccercatori durante la presentazione del lavoro-. Nello specifico, in questo studio, il 19% in più dei pazienti trattati con obinutuzumab ha ottenuto una risposta renale completa entro la settimana 104 rispetto a quelli trattati con placebo. Inoltre, dai risultati di un’analisi post hoc di questo trial era emerso come il rischio di un insieme di outcome sfavorevoli fosse stato ridotto del 60% con obinutuzumab, mentre i tassi di alcuni singoli outcome avversi fossero stati ridotti fino al 90%”.
Informazioni su obinutuzumab
Obinutuzumab è un anticorpo monoclonale ricombinante, umanizzato di tipo II anti-CD20 IgG1, utilizzato per potenziare la citotossicità cellulo-mediata anticorpo-dipendente e la fagocitosi. E’ attualmente approvato solo per il trattamento di neoplasie ematologiche, ma Genentech, facente parte della multinazionale farmaceutica Roche, è alla ricerca di ulteriori indicazioni per questo antocorpo monoclonale, in quanto le cellule B sono alla base di molte malattie autoimmuni e infiammatorie.
Razionale e disegno dello studio
E’ nota da tempo l’importanza delle cellule B nella patogenesi della nefrite lupica: di qui l’avvio di studio che hanno visto nella deplezione delle cellule B un approccio terapeutico scientificamente valido”, hanno ricordato ricercatori.
Per quanto non sia approvato per la nefrite lupica, fino ad ora il rituximab, il farmaco anti—CD20 first in class di questo gruppo di agenti farmacologici è stato impiegato nei pazienti con nefrite lupica refrattari agli altri trattamenti, anche di nuova generazione (belimumab e voclosporina), in modalità off-label. Tuttavia obinutuzumab è molto più potente del rituximab, e si caratterizza per una citotossicità anticorpo-dipendente 100 volte superiore e una minore dipendenza dalla citotossicità complemento-dipendente.
I risultati di uno studio di fase 3 sull’impiego di rituximab nella nefrite lupica che non avevano dimostrato un’efficacia clinica del farmaco alla 52a settimane, hanno portato i ricercatori a verificare l’efficacia clinica in questi pazienti “difficili” in un trial di fase 3, lo studio REGENCY.
A tal scopo, sono stati reclutati in questo trial 135 pazienti, che sono stati randomizzati ad uno dei due schemi di dosaggio di obinutuzumab previsti (1.000 mg il giorno 1 e alle settimane 2, 24, 26 e 52, con o senza una dose alla settimana 50), mentre 136 sono stati randomizzati a trattamento con placebo. I pazienti avevano un’età compresa tra i 18 e i 75 anni, con lupus eritematoso sistemico e nefrite lupica attiva di classe III o IV confermata dalla biopsia renale, con o senza malattia di classe V concomitante.
Entrambi i gruppi di trattamento erano stati sottoposti a trattamento con una terapia standard a base di micofenolato mofetile e prednisone al momento della randomizzazione, se non erano già trattati con questa terapia, con una dose target di prednisone di 7,5 mg/die entro la settimana 12 e di 5 mg/die entro la settimana 24.
Sono stati esclusi i pazienti con un eGFR inferiore a 30 mL/min/1,73m2 di superficie corporea o con una malattia renale allo stadio terminale che richiede dialisi o trapianto, con evidenza di infezione attiva, con una terapia anti-CD20 somministrata durante o nei 9 mesi precedenti lo screening e con una terapia a base di ciclofosfamide, tacrolimus, ciclosporina o voclosporina somministrata durante o nei 2 mesi precedenti lo screening.
Risultati principali
Considerando l’endpoint primario del trial, rappresentato dalla risposta renale completa, è emerso che il 46,4% dei pazienti randomizzati a trattamento con obinutuzumab ha raggiunto una risposta renale completa alla settimana 76 rispetto al 33,1% di quelli randomizzati al placebo (P=0,02). (NdR: la risposta renale completa era definita dal riscontro di un rapporto proteine urinarie/creatinina (UPCR) inferiore a 0,5 sulla base di una raccolta temporizzata di urine nel corso delle 24 ore, un eGFR pari almeno all’85% del valore basale e dall’assenza di eventi intercorrenti quali il ricorso alla terapia di salvataggio, il fallimento del trattamento, il decesso o l’abbandono precoce dello studio).
Per quanto riguarda un endpoint secondario chiave, un maggior numero di pazienti trattati con obinutuzumab ha raggiunto una risposta renale completa con un tapering del prednisone a 7,5 mg/die o inferiore tra le settimane 64 e 76 (42,7% vs 30,9%, P=0,04).
I ricercatori hanno sottolineato con soddisfazione che i pazienti trattati con obinutuzumab non solo hanno avuto maggiori probabilità di raggiungere il risultato desiderato, ma sono stati anche in grado di ridurre la posologia d’impiego degli steroidi allo stesso tempo.
Inoltre, il 55,5% dei pazienti trattati con obinutuzumab aveva un rapporto proteine urinarie/creatinina inferiore a 0,8 senza eventi intercorrenti, rispetto al 41,9% di quelli trattati con placebo (P=0,02).
Anche se non è stata raggiunta la significatività statistica, alcuni altri risultati secondari chiave hanno favorito obinutuzumab rispetto al placebo. Tra questi segnaliamo:
– variazione della velocità di filtrazione glomerulare stimata (eGFR): 2,31 vs -1,54 mL/min/1,73 m2
– morte o evento correlato alla funzione renale: 18,9% vs 35,6%
– risposta renale complessiva alla 50a settimana: 59,1% vs 50,7%
– variazione del punteggio della valutazione funzionale della terapia delle malattie croniche (Functional Assessment of Chronic Illness Therapy-Fatigue): 1,8 vs 3,1
Da ultimo, in un’analisi per sottogruppi, i ricercatori hanno identificato alcune popolazioni di pazienti che hanno beneficiato del trattamento con obinutuzumab più di altre:
– Pazienti di sesso femminile vs. maschile
– Pazienti di altre etnie rispetto all’etnia Afro-Americana
– Pazienti residenti in altra regione geografica vs Stati Uniti o Canada
– Pazienti con UPCR nelle 24 ore ≥3 al basale vs <3
– Pazienti con livello di anticorpi anti-dsDNA >120 UI/mL al basale vs ≤120 UI/mL
– Pazienti con livelli di Complemento C3 <0,9 g/L al basale vs ≥0,9 g/L
– Pazienti con livelli di Complemento C4 <0,1 g/L al basale vs ≥0,1 g/L
– Pazienti con nefrite lupica di classe IV vs classe III
– Pazienti con malattia di classe V concomitante al basale vs non affetti da malattia
– Pazienti con nefrite lupica di nuova diagnosi vs malattia precedentemente diagnosticata
Safety
Non sono stati registrati segnali di sicurezza inattesi, anche se un numero maggiore di pazienti trattati con obinutuzumab ha sperimentato un evento avverso grave (32,4% contro 18,2%), più comunemente eventi correlati a COVID-19, infezione del tratto urinario, polmonite e gastroenterite. Quattro pazienti sono deceduti durante lo studio: tre nel gruppo obinutuzumab (due per polmonite correlata a COVID-19 e uno per sindrome nefrosica) e uno nel gruppo placebo a causa di COVID-19.
Implicazioni dello studio
In conclusione, lo studio REGENCY ha dimostrato che obinutuzumab, quando aggiunto alle cure standard, è in grado di far raggiungere la remissione completa in un numero maggiore di pazienti affetti da nefrite lupica rispetto al placebo.
Inoltre, un numero maggiore di pazienti trattati con l’agente di deplezione delle cellule B è stato anche in grado di raggiungere la remissione, riducendo contemporaneamente la posologia d’impiego dei corticosteroidi.
Roche, azienda responsabile del programma di sviluppo clinico del farmaco per questa indicazione, ha dichiarato di esser pronta a condividere i dati in toto con l’ente regolatorio Usa (Fda), al fine di rendere possibile, in caso di esito affermativo del processo di valutazione, l’ampliamento delle opzioni di trattamenti disponibili per la nefrite lupica.
Bibliografia
Furie RA, et al “Efficacy and safety of obinutuzumab in active lupus nephritis” N Engl J Med 2025; DOI: 10.1056/NEJMoa2410965.
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