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Psoriasi: con nuovi farmaci diminuisce il rischio di artrite psoriasica


La progressione da psoriasi verso l’artrite psoriasica (PsA) è stata più comune nei pazienti trattati con inibitori del TNF rispetto a quelli in terapia con inibitori dell’IL-17 o dell’IL-23

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Uno studio monocentrico condotto presso l’Università di Verona, che vede come primo nome il prof. Paolo Gisondi, ha rilevato che la progressione da psoriasi verso l’artrite psoriasica (PsA) è stata più comune nei pazienti trattati con inibitori del TNF rispetto a quelli in terapia con inibitori dell’IL-17 o dell’IL-23. Lo studio è stato da poco pubblicato su Annals of Rheumatic Diseases.

In particolare, il 14,2% dei 317 pazienti trattati con anti-TNF ha sviluppato PsA, contro il 5,5% dei 164 pazienti in terapia con inibitori dell’IL-17 e il 4,3% dei 141 pazienti trattati con inibitori dell’IL-23.

Dopo adeguamenti statistici per tenere conto di possibili fattori di confondimento (propensity score a tre gruppi), i rapporti di rischio (HR) per lo sviluppo di PsA erano 0,63 per gli inibitori dell’IL-17 (IC 95%: 0,38-1,05) e 0,57 per gli inibitori dell’IL-23 (IC 95%: 0,34-0,96) rispetto ai farmaci anti-TNF.

Nello studio, che è stato realizzato in collaborazione con il dr Alen Zabotti dell’Università di Udine, il prof. Dennis Mcgonagle di Leeds e la dr.ssa Carlotta Galeone dell’Università di Milano, sono stati considerati 622 pazienti con psoriasi moderata severa trattati presso la clinica ambulatoriale dell’Università di Verona tra gennaio 2012 e giugno 2023.
“Il tema di questo studio è il passaggio da psoriasi moderata severa ad artrite psoriasica; circa l’80% dei pazienti con psoriasi moderata severa è a rischio, per definizione, di sviluppare nel tempo anche artrite psoriasica.

La domanda che ci siamo posti già qualche anno fa è stata: se trattiamo adeguatamente la psoriasi moderata-severa, possiamo prevenire o rallentare la progressione verso l’artrite psoriasica? La risposta sembrerebbe essere sì. Diversi studi, compresi alcuni a cui ho contribuito personalmente, hanno dimostrato che i pazienti trattati con farmaci sistemici hanno una minore probabilità di sviluppare la PsA rispetto a quelli non trattati o trattati solo con terapie topiche o fototerapia” ha evidenziato il prof. Paolo Gisondi, Professore Associato di Dermatologia; Dipartimento di Medicina, Sezione di Dermatologia e Venereologia, Università di Verona, ai microfoni di Pharmastar.

“Questo concetto, sebbene intuitivo, non era mai stato dimostrato in modo chiaro ed è ora consolidato nella letteratura scientifica. Tuttavia, il passo successivo, affrontato in questo nuovo studio, riguarda un altro quesito cruciale: tra i diversi farmaci sistemici disponibili, ci sono differenze nella loro capacità di prevenire la progressione da psoriasi a PsA?
In questo studio abbiamo classificato i farmaci in base al loro meccanismo d’azione, raggruppandoli in tre classi principali: inibitori del TNF-alfa, inibitori dell’IL-23, inibitori dell’IL-17. Abbiamo quindi condotto un’analisi del rischio di insorgenza della PsA per ciascuna di queste classi, senza distinguere tra le singole molecole. Per quanto riguarda i pazienti inclusi nello studio, abbiamo considerato solo coloro che ricevevano il loro primo trattamento biologico. Se un paziente ha cambiato farmaco, è stato analizzato solo per il periodo in cui ha assunto il primo biologico, in modo da evitare l’effetto potenzialmente confondente della esposizione del paziente a classi diverse di farmaco” ha proseguito il prof. Gisondi.

Più della metà dei pazienti ha ricevuto un anti-TNF, mentre i restanti erano equamente distribuiti tra inibitori dell’IL-17 e dell’IL-23. Nel dettaglio i farmaci delle tre categorie considerate erano i seguenti: per gli anti-TNF: etanercept, infliximab, adalimumab (quasi il 70% di questo gruppo) e certolizumab pegol; inibitori dell’IL-17: secukinumab, ixekizumab e brodalumab; inibitori dell’IL-23: guselkumab, tildrakizumab, risankizumab e ustekinumab (che blocca sia IL-12 che IL-23).

Con un follow-up medio di 4,1 anni, il 10% dei pazienti ha sviluppato PsA. La forma più comune è stata l’oligoartrite (50%), seguita da entesite (25%) e dattilite (25%).
Nei pazienti trattati a partire dal 2016, quando gli inibitori di IL-17 e IL-23 erano più ampiamente disponibili, il rischio di sviluppare PsA è stato significativamente più basso con questi farmaci rispetto agli anti-TNF, con HR di 0,52 per gli inibitori di IL-17 e 0,42 per gli inibitori di IL-23.

“I risultati hanno evidenziato che gli inibitori dell’IL-23 sono associati a un rischio significativamente minore di sviluppare l’artrite psoriasica rispetto agli inibitori del TNF-alfa. Anche gli inibitori dell’IL-17 mostrano una riduzione del rischio rispetto ai TNF-alfa, ma la differenza è leggermente meno marcata rispetto agli IL-23” precisa il prof. Gisondi che ha aggiunto: “Questo studio, basato su dati reali e su pazienti seguiti clinicamente, è coerente con un altro lavoro precedente pubblicato su Lancet Rheumatology. Quest’ultimo, basato su una grande coorte di dati amministrativi provenienti dagli Stati Uniti, aveva già riscontrato che gli inibitori del TNF-alfa fossero meno efficaci nel prevenire la progressione verso la PsA rispetto alle terapie più recenti. Quando questo dato è emerso, ha suscitato grande interesse nella comunità scientifica reumatologica, perché non era un risultato atteso.

La mia ricerca si distingue da quello studio perché, invece di basarsi su dati amministrativi, si è concentrata su pazienti visitati e seguiti nel tempo direttamente da me. Ho potuto analizzare numerosi dettagli clinici, tra cui comorbilità, caratteristiche fisiche e storia terapeutica, aumentando così l’affidabilità dei risultati”.
Questo lavoro presenta sicuramente delle limitazioni essendo uno studio monocentrico,non randomizzato e retrospettivo, ed in aperto (il reumatologo era consapevole consapevole del trattamento ricevuto dal paziente).

In conclusione, lo studio suggerisce che gli inibitori di IL-17 e IL-23 riducono significativamente il rischio di progressione della psoriasi verso l’artrite psoriasica rispetto agli inibitori del TNF. Tuttavia, gli autori raccomandano cautela nell’applicare questi risultati alla pratica clinica e sottolineano la necessità di ulteriori studi prospettici per confermare tali evidenze come sottolinea il prof. Gisondi: “per confermare definitivamente questi dati, il passo successivo della ricerca dovrebbe essere un trial clinico randomizzato e prospettico, che permetta di valutare con maggiore precisione il rischio di progressione alla PsA in base al trattamento utilizzato. Infine, è importante sottolineare come negli ultimi anni sia cambiato l’approccio terapeutico alla psoriasi. In passato, il biologico era considerato un trattamento di ultima istanza, da riservare solo ai casi più gravi. Oggi, invece, grazie alla disponibilità di biosimilari a basso costo e alla maggiore esperienza clinica, si tende a utilizzarlo molto prima, garantendo un controllo della malattia più efficace e duraturo. Questo è particolarmente importante considerando che la psoriasi è una patologia cronica, che richiede un trattamento a lungo termine”.

Gisondi P, et al “Risk of developing psoriatic arthritis in patients with psoriasis initiating treatment with different classes of biologics” Ann Rheum Dis 2025; DOI: 10.1016/j.ard.2025.01.006.
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