Myanmar, dopo il terremoto gli ospedali sono al collasso. La testimonianza di Swe Swe, rappresentante della Fondazione Avsi nel Paese del sud-est asiatico
Dal giorno del terremoto che ha colpito il Myanmar, venerdì 28 marzo, oltre 2.700 persone hanno perso la vita, 3.500 sono rimaste ferite e 3,5 milioni si trovano senza casa, costrette a rifugiarsi all’aperto o in ripari di fortuna. Il sisma, di magnitudo 7,7, è stato 300 volte più potente di quello che ha colpito Amatrice nel 2007 e ha devastato un territorio già estremamente vulnerabile. Già prima dell’emergenza, infatti, il Myanmar viveva le conseguenze del colpo di stato militare del 2021: con la legge marziale che costringeva molti giovani a nascondersi per evitare l’arruolamento forzato, interruzioni della connessione a Internet e file lunghissime per acquistare beni di prima necessità, a causa dell’inflazione crescente. In questo contesto, 15 milioni di persone si trovavano già in condizioni di insicurezza alimentare e una persona su due aveva bisogno di aiuti umanitari. Fin dalle prime ore dopo il terremoto, il team locale dell’organizzazione umanitaria Avsi, in coordinamento con i colleghi italiani, ha avviato un lavoro di valutazione per identificare le necessità della popolazione colpita e definire gli interventi più urgenti. “Quando ho sentito la prima scossa ero in una sala riunioni, al quarto piano di un edificio. Non avevo mai vissuto un terremoto di tale intensità. Siamo corsi fuori per cercare riparo, ma non sapevamo cosa fare. Sono stati momenti di panico” racconta Swe Swe, rappresentante Paese di Avsi in Myanmar dal 2007. Nello stato dello Shan, vicino all’epicentro del terremoto, interi villaggi sono stati rasi al suolo, con un tasso di edifici danneggiati o distrutti che in alcuni casi raggiunge il 100%. “In questo momento migliaia di persone hanno un immediato bisogno di aiuto umanitario” aggiunge la rappresentante Paese di Avsi. “Servono con urgenza tende, coperte, cibo, acqua potabile e materiale sanitario. Gli ospedali sono al collasso: mancano forniture mediche e personale specializzato”.
Ad oggi, il lavoro di Avsi, in collaborazione con i partner locali, ha permesso di raggiungere 10.000 persone con beni di prima necessità e acqua potabile in sette villaggi di montagna nei pressi del lago Inle, nello Shan State. Tuttavia, gli interventi umanitari sono ostacolati da comunicazioni instabili, continue interruzioni di elettricità, check point militari e infrastrutture danneggiate, che rallentano o impediscono gli spostamenti delle vetture di soccorso.
IL CONFLITTO ARMATO
A complicare ulteriormente il lavoro delle organizzazioni umanitarie vi sono poi gli scontri e i bombardamenti tra il regime e l’Esercito per l’Indipendenza Kachin (Kia), che continuano in questi giorni, nonostante l’emergenza. A rimetterci sono soprattutto i civili: “Dal 2021 c’è in atto un conflitto, per cui il nostro staff già prima aveva delle difficoltà importanti a raggiungere certe aree del Paese. Noi lavoriamo soprattutto nello Shan e a Kayah, dove nell’ultimo periodo il conflitto è stato molto attivo. Stiamo cercando di raggiungere tutte le zone dove normalmente interveniamo, ma le comunicazioni sono molto complicate, con interruzioni delle linee elettriche e comunicative” spiega Guido Calvi, coordinatore dell’emergenza per Avsi. “Sfortunatamente la situazione non è calma: ci sono scontri e bombardamenti. Dopo tutto quello che è successo, in questo momento la popolazione avrebbe davvero bisogno di un momento di pace”. Per rispondere a questa crisi, Avsi ha lanciato la campagna di raccolta fondi “Emergenza Terremoto in Myanmar”, con l’obiettivo di continuare a garantire assistenza alla popolazione colpita e prevedere degli interventi di ricostruzione: https://www.avsi.org/cosa-puoi-fare-tu/progetti/emergenza-terremot o-in-myanmar Attiva in 42 Paesi del mondo, Avsi opera in Myanmar dal 2007 con progetti di emergenza e sviluppo nei settori dell’istruzione, della protezione, della sicurezza alimentare e di inserimento lavorativo.
FONTE: AGENZIA DI STAMPA DIRE (WWW.DIRE.IT)