Arresto cardiaco extraospedaliero: studio evidenzia che il tempo in cui è eseguita la rianimazione cardiopolmonare (CPR) è un fattore fondamentale per la sopravvivenza
L’arresto cardiaco extraospedaliero (OHCA) rappresenta una delle principali emergenze mediche in ambito cardiovascolare, con tassi di sopravvivenza ancora allarmanti. Una nuova ricerca presentata al congresso ESC Acute Cardiovascular Care 2025 di Firenze evidenzia che il tempo in cui è eseguita la rianimazione cardiopolmonare (CPR) è un fattore fondamentale per la sopravvivenza.
Lo studio, condotto da un team di ricercatori dell’Università di Trieste guidati dalla professoressa Aneta Aleksova, in collaborazione con il cardiologo interventista Dr. Andrea Perkan, ha analizzato dati relativi a oltre vent’anni (2003-2024) nella regione Friuli Venezia Giulia. I risultati indicano che, nonostante l’aumento del numero di cittadini che praticano la CPR rispetto al passato, l’intervallo di tempo che intercorre tra l’evento e il ritorno della circolazione spontanea (ROSC) è il principale determinante della sopravvivenza.
Dati dello studio: ruolo del tempo nella sopravvivenza
La ricerca ha preso in esame 3.315 pazienti con infarto miocardico con sopraslivellamento del tratto ST (STEMI) ricoverati presso l’Azienda Sanitaria Universitaria Friuli Centrale tra il 2003 e il 2024.
Tra questi, 172 hanno subito un arresto cardiaco extraospedaliero (OHCA), e in 44 casi la CPR è stata eseguita da un soccorritore occasionale prima dell’arrivo dei soccorsi. Lo studio ha osservato un aumento significativo nel numero di interventi di rianimazione da parte dei testimoni presenti nel corso degli anni: dal 26% nel periodo 2003-2007 al 69% nel periodo 2020-2024.
Il tempo mediano per il ritorno della circolazione spontanea (ROSC) è risultato essere mediamente di 10 minuti, ma con una differenza sostanziale tra CPR eseguita da un testimone (20 minuti) e quella effettuata dai soccorritori professionisti (5 minuti). Inoltre, i pazienti rianimati da soccorritori occasionali hanno subito più frequentemente l’intubazione endotracheale (91% contro il 65% dei pazienti rianimati da operatori sanitari).
Nonostante questa differenza, i dati mostrano che avviare tempestivamente le manovre di rianimazione, indipendentemente da chi le esegua, è il fattore determinante per la sopravvivenza. Ogni ritardo di 5 minuti nel ROSC è associato a un aumento del rischio di morte del 38%, mentre una riduzione del 5% della frazione di eiezione ventricolare sinistra (LVEF) ha comportato un incremento del rischio di mortalità. L’età avanzata è un altro fattore determinante: ogni incremento di 5 anni corrisponde a un aumento del rischio di morte del 46%.
Ruolo della formazione nella rianimazione cardiopolmonare
Sebbene la sopravvivenza globale dei pazienti con OHCA rimanga bassa, i risultati di questo studio suggeriscono che l’aumento delle persone addestrate alle manovre di rianimazione può migliorare significativamente le possibilità di sopravvivenza.
Lo studio sottolinea che circa l’80% degli arresti cardiaci extraospedalieri si verifica in ambienti residenziali, rendendo cruciale la formazione della popolazione sulle tecniche di Basic Life Support (BLS). Nonostante la crescente diffusione della CPR tra i cittadini, i ricercatori ribadiscono l’importanza di migliorare ulteriormente la formazione pubblica per aumentare i tassi di sopravvivenza.
La professoressa Aleksova e il suo team enfatizzano che, sebbene la rapidità dell’intervento sia fondamentale, fare qualcosa è sempre meglio che non fare nulla mentre si attende l’arrivo dei soccorsi. Una maggiore sensibilizzazione della popolazione può contribuire a ridurre i tempi di intervento, aumentando così le probabilità di sopravvivenza dei pazienti colpiti da OHCA.
Sopravvivenza e fattori di rischio
Complessivamente, il 25,6% dei pazienti è deceduto durante la fase iniziale del ricovero ospedaliero. L’analisi dei dati ha evidenziato che i pazienti deceduti erano mediamente più anziani (età media di 67 anni contro i 62 anni dei sopravvissuti) e presentavano più comorbidità. I principali predittori di mortalità in ospedale sono risultati essere l’età avanzata, una frazione di eiezione ventricolare sinistra (LVEF) più bassa e un tempo più lungo per il ripristino della circolazione spontanea.
Durante un follow-up mediano di 7 anni, il 14% dei pazienti è deceduto, ma l’analisi non ha mostrato differenze significative nella mortalità a lungo termine tra i pazienti rianimati dai testimoni e quelli rianimati dai soccorritori professionisti.
Migliorare i tassi di sopravvivenza
I tassi di sopravvivenza osservati in questo studio sono superiori rispetto alla media dei pazienti con OHCA. Secondo gli autori, ciò potrebbe essere attribuito a più fattori: la tipologia di arresto cardiaco studiato (STEMI, che ha una prognosi migliore rispetto ad altre cause di OHCA), una maggiore percentuale di cittadini formati nelle tecniche di CPR e un sistema sanitario efficiente in grado di intervenire tempestivamente.
Alla luce di questi dati, i ricercatori suggeriscono di potenziare le campagne di formazione pubblica sulla CPR e di incentivare la diffusione dei defibrillatori automatici esterni (DAE) nei luoghi pubblici. L’obiettivo principale rimane quello di ridurre il tempo di intervento, aumentando la probabilità di sopravvivenza dei pazienti con OHCA.
Bibliografia
Comunicato ESC “Resuscitation in out-of-hospital cardiac arrest – it’s how quickly it is done, rather than who does it” leggi
Gräsner JT, Wnent J, Herlitz J, et al. “Survival after out-of-hospital cardiac arrest in Europe – Results of the EuReCa TWO study.” Resuscitation, vol. 148, 2020, pp. 218-226. leggi