Gli inibitori della Janus chinasi (JAK) sembrano essere una buona opzione terapeutica per una rara malattia autoimmune recentemente riconosciuta come insufficienza di SOCS1
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Gli inibitori della Janus chinasi (JAK) sembrano essere una buona opzione terapeutica per una rara malattia autoimmune recentemente riconosciuta come insufficienza di SOCS1. Lo dimostrano i risultati di uno studio pubblicato su The Lancet Rheumatology.
Lo studio ha dimostrato anche che l’insufficienza di SOCS1 si distingue da altri disordini genetici autoimmuni linfoproliferativi per la presenza di frequenti manifestazioni atopiche e reumatologiche e per un maggiore riscontro di questa condizione negli individui di sesso femminile.
Che cosa è l’insufficienza SOCS1
Nel 2020, l’insufficienza del soppressore della segnalazione delle citochine 1 (SOCS1) è stata aggiunta al gruppo di disregolazioni immunitarie monogeniche, ovvero condizioni causate da mutazioni in un singolo gene. SOCS1 è un regolatore negativo cruciale della segnalazione della Janus chinasi (JAK)-STAT, che regola l’attività di oltre 30 citochine e fattori di crescita coinvolti nelle risposte immunitarie, in particolare quelli che segnalano attraverso la catena γc (la famiglia IL-2) e gli interferoni. SOCS1 regola diversi processi immunitari, quali la funzione delle cellule T regolatorie, la funzione delle cellule B e le risposte infiammatorie o allergiche.
La manifestazione più comune è la proliferazione delle cellule immunitarie, che può trasformarsi in neoplasie ematologiche; ma anche i sintomi clinici di allergia e infiammazione sembrano essere frequenti.
Caratterizzazione clinica dei pazienti
Il nuovo studio si è concentrato sulla frequenza e sulle strategie di gestione dell’insufficienza di SOCS1. A tal scopo, i ricercatori hanno analizzato due gruppi di pazienti: 67 individui registrati nel database multinazionale della European Society for Immunodeficiencies (ESID), che raccoglie dati anche da Cina, Taiwan e Stati Uniti, e 52 individui individuati attraverso la U.K. Biobank.
I pazienti ESID erano stati inseriti nel registro dai loro medici curanti dopo una diagnosi confermata, che includeva test genetici per identificare le mutazioni responsabili, oltre ad informazioni sui sintomi clinici, ulteriori esami, trattamenti ricevuti ed eventuali outcome clinici.
La U.K. Biobank, un ampio studio longitudinale, aveva arruolato oltre mezzo milione di adulti britannici tra il 2006 e il 2010. In questo caso, le diagnosi di insufficienza di SOCS1 non erano state formalmente registrate, ma il progetto aveva incluso il sequenziamento dell’intero esoma per tutti i partecipanti. I ricercatori, pertanto, hanno esaminato questi dati alla ricerca delle mutazioni identificate nel registro ESID, individuando 52 individui con alterazioni genetiche di SOCS1.
Punti di contatto e di divergenza tra le due coorti
Le due coorti presentavano similitudini e differenze. I pazienti ESID erano stati diagnosticati principalmente in base alla sintomatologia clinica, mentre quelli della Biobank erano portatori genetici che potevano non aver mai sviluppato manifestazioni evidenti della malattia.
Dai dati del registro ESID è emerso che la malattia tende a manifestarsi precocemente, con un’età mediana di esordio dei sintomi pari a 10 anni (intervallo inter quartile 5-15).
Al contrario, i partecipanti alla Biobank erano stati arruolati tra individui di età compresa tra i 40 e i 69 anni e non erano disponibili dati sull’età di insorgenza dei sintomi.
Tra i punti di somiglianza delle due coorti vi era una leggera prevalenza di individui di sesso femminile, mentre oltre tre quarti dei partecipanti allo studio presentavano mutazioni già validate come causa di insufficienza di SOCS1.
Ciò detto, lo studio ha rilevato differenze nella frequenza dei sintomi: il 42% dei pazienti della Biobank non mostrava registrazioni di sintomi, a fronte solo di un 7% di pazienti della coorte ESID, a suggerire che la penetranza della mutazione – ossia la probabilità che una mutazione provochi sintomi clinici – fosse incompleta.
Nei pazienti sintomatici, lo spettro delle manifestazioni era variegato. Tra i partecipanti della coorte Biobank, il 54% presentava sintomi allergici o reumatologici, simili a lupus, sindrome di Sjögren e artrite reumatoide.
Nel gruppo ESID, invece, solo il 31% riportava tali sintomi, ma la gamma di manifestazioni era più ampia: più della metà dei pazienti presentava quattro o più sintomi distinti, mentre nella Biobank solo tre individui presentavano più di tre manifestazioni.
Rispetto al gruppo Biobank, nel gruppo ESID erano più comuni alcuni sintomi quali linfoproliferazione, citopenia autoimmune e coinvolgimento epatico e gastrointestinale.
I sintomi coinvolgevano un ampio spettro di condizioni autoimmuni. Alcuni pazienti soddisfacevano i criteri per il lupus, con test positivi per gli anticorpi antinucleo e altri biomarcatori correlati, mentre altri presentavano sintomi gastrointestinali compatibili con una diagnosi di malattia infiammatoria intestinale.
Ulteriori manifestazioni coinvolte includevano la dermatite atopica, esofagite eosinofila e la malattia polmonare interstiziale granulomatosa.
Terapia
Assodata la variabilità sintomatologica sopra descritta, anche gli approcci terapeutici erano diversificati. Circa il 60% dei pazienti sintomatici nella coorte ESID era stata sottoposta a trattamento con corticosteroidi sistemici, mentre altri erano stati trattati con DMARD convenzionali, quali azatioprina, mofetil micofenolato, metotrexato e idrossiclorochina. Inoltre, alcuni erano stati trattati con DMARDb, tra cui inibitori del TNF e rituximab.
Un sottogruppo di 13 pazienti della coorte ESID, di cui 10 pediatrici, era stato trattato con JAK inibitori, principalmente ruxolitinib e baricitinib, mentre due pazienti erano stati trattati con tofacitinib.
La risposta al trattamento è stata valutata su una scala da 1 a 10: in nove pazienti il punteggio era “molto buono” (≥8), in tre era “buono” (4-7) e solo un paziente ha ottenuto una risposta “scarsa” (≤3).
Limiti e implicazioni dello studio
Nel commentare i risultati, i ricercatori hanno ammesso alcuni limiti dello studio. In primo luogo, il registro ESID è soggetto ad un significativo bias di selezione, poiché include solo pazienti seguiti da medici che partecipano alla rete ESID. A causa dell’ampio spettro di manifestazioni cliniche, molti pazienti sono seguiti da altri specialisti non coinvolti nel registro.
Inoltre, essendo molti partecipanti registrati durante l’infanzia, vi è un bias legato al discrimine tra manifestazioni a esordio precoce rispetto a quelle a esordio tardivo.
Il registro ESID contiene pochi partecipanti non europei. Dato che l’insufficienza di SOCS1 è stata descritta solo nel 2020, molti individui affetti probabilmente non sono ancora stati diagnosticati.
Passando al registro UK Biobank, anche questo è affetto da bias significativi: i partecipanti sono prevalentemente di etnia Caucasica e tendono ad essere più sani, più istruiti e meno svantaggiati socio-economicamente rispetto alla popolazione generale del Regno Unito.
Inoltre, lo studio ha considerato solo le varianti SOCS1 ad impatto elevato, escludendo possibili varianti missense con perdita di funzione.
Ciò premesso, lo studio ha importanti implicazioni per la pratica clinica. Innanzitutto, fornisce una base per considerare i test genetici per difetti immunitari congeniti, inclusi quelli nelle varianti SOCS1, seguiti da una valutazione funzionale nei pazienti con malattie autoimmuni multisistemiche a esordio precoce, specialmente se associate a manifestazioni reumatologiche e allergiche.
In secondo luogo, sottolinea la necessità di un approccio multidisciplinare nella gestione dell’insufficienza di SOCS1, coinvolgendo reumatologi, ematologi, allergologi, immunologi e altri specialisti.
Inoltre, la penetranza incompleta e la maggiore prevalenza di questa condizione nel sesso femminile evidenzia l’importanza di strategie diagnostiche e terapeutiche personalizzate.
È significativo che l’introduzione di un JAK inibitore abbia consentito una riduzione d’impiego degli steroidi e di altri immunosoppressori nel 77% dei pazienti trattati, hanno osservato i ricercatori. Tuttavia, dato che il numero di pazienti trattati con questa classe di farmaci era limitato, non è stato possibile determinare se uno specifico inibitore di JAK fosse più efficace degli altri.
Bibliografia
Hadjadj J, et al “Clinical manifestations, disease penetrance, and treatment in individuals with SOCS1 insufficiency: a registry-based and population-based study” Lancet Rheumatol 2025; DOI: 10.1016/S2665-9913(24)00348-5.
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